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Alfredo Reichlin, il “cuore” della sinistra

Quando muoiono compagni che hanno segnato la vita di milioni di persone si perde un po’ la parola. Ci si vorrebbe rifugiare nel ricordo personale. Ed io ho molti ricordi di Alfredo Reichlin. Si vorrebbe ricordare a chi non sa e ai più giovani la straordinaria biografia di un figlio della borghesia pugliese che visse a Roma che attraversò la Resistenza, la militanza nella severa scuola del Pci di Togliatti e poi l’Unità e la straordinaria esperienza in Puglia e poi ancora il Parlamento e la collaborazione fitta con Enrico Berlinguer.
Tuttavia Alfredo Reichlin va ricordato soprattutto per una cosa da cui discendono tutte le altre. Alfredo aveva una sintonia profonda con l’Italia e sapeva trovare sempre quale fosse la posizione della sinistra per restare in dialogo con l’Italia.
Era un uomo politico, un intellettuale soprattutto, che sapeva parlare al popolo. Io li ricordo questi dirigenti del Pci nelle piazze bracciantili attesi da migliaia di uomini in coppola che ascoltavano concetti complicati, racconti di mondi lontani e poi via via si scendeva al governo nazionale fino alla classica fontanina di paese da riparare. Comizi seri, lunghissimi, con appunti o fogli interamente scritti, con rare battute e tanti riferimenti al cuore della sinistra.
Alfredo era molto amato dal suo popolo. I suoi comizi erano pieni di gente che non sapeva dire il suo cognome ma che lo chiamava familiarmente Alfredo. E lui spesso così intellettuale e persino snob con questa gente nostra era in una sintonia impressionante.
Reichlin è stato anche un grande giornalista. Scrittura elegante, severissimo con i suoi redattori, fece un giornale a cui toccò, nella sua seconda direzione, scontrarsi con l’armata nascente di “Repubblica”. Andate a guardarlo quel giornale in cui c’era tutto il nostro passato, la linea, la periferia, ma c’era anche l’informazione moderna, quella che faceva cronaca e raccontava sentimenti.
Reichlin è stato, dicevo, un grande intellettuale. Se penso alla classe dirigente del Pci ancora mi stupisco per il livello eccezionale toccato per decenni. Gente di scorza dura, non sempre amica l’uno on l’altro, ma rispettosa delle qualità di ciascuno e poi capace di raccontare l’Italia fuori dagli schemi, il che non vuol dire senza errori, ma in modo accurato.
Ricordo quando Reichlin inventò la cosiddetta “figura mista”, cioè quel bracciante con un po’ di terra e spesso anche colono. Oggi sembra una cosa futile, allora ci fece capire come fosse complessa l’interpretazione delle masse popolari e come gli schemi della dottrina spesso fossero un ostacolo per capire.

Uno dei miei primi ricordi politici riguarda la Puglia, ai primi passi del ’68 che nella mia città ebbe momenti molto forti. Un giorno a noi che apparivamo come i dirigenti di questo moto giovanile venne la proposta di una cena a casa del segretario regionale del Pci. Era Alfredo Reichlin che volle conoscerci, parlare, ascoltare. Molti di noi anni dopo tornarono o si iscrissero per la prima volta al Pci.
Io penso che sia stato un vero maestro. Non solo il mio maestro, ma un vero maestro, anche per la sua lontananza dal potere. La sua egemonia era fondata su quello che scriveva, sulle idee che metteva in circolo, sulle relazioni con militanti di varia ispirazione pur mantenendosi lontano e anzi noncurante di affiliazioni di corrente. Da molti cognomi di leaders sono venute fuori denominazioni correntizie, da quello di Reichlin no. Non voleva, non sapeva farlo, si sarebbe sentito chiuso in un recinto mentre la sua testa ragionava sul mondo. Da ieri davvero dobbiamo contare sulle nostre forze perché non abbiamo più la sua ispirazione. Spero che ne saremo capaci.

Nella foto di copertina: Alfredo Reichlin nel discorso di commemorazione di Pietro Ingrao.

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