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Articolo 1 e Pisapia: Cambiare rotta!

L’altro ieri (20 luglio) Peppino Caldarola argomentava su Lettera43.it (ma le parole che seguono sono mie, quindi la responsabilità di quanto segue è tutta mia) la necessità di un ripensamento e di una sostanziosa correzione di rotta da parte di Articolo 1, ovvero da parte del suo gruppo dirigente di fatto, sul terreno del tentativo in atto da troppi mesi di un’aggregazione larga a sinistra senza che si riesca a togliere il ragno dal buco, anzi correndo il rischio di fratture, di più tipi, che potrebbe diventare difficile ricucire, e che pericolosissimamente alludono a due liste di sinistra alle prossime elezioni. Detto chiaramente, il tentativo così come è stato effettuato a tutt’oggi, o a tutto ieri, è stato semplicemente fallimentare, e non possiamo continuare a non constatarlo e a non dichiararlo. E le ragioni di questo fallimento sono palesemente tre e una più grossa dell’altra.

La prima, infatti, è che la visione politica di Pisapia è lontana e in parte significativa antitetica rispetto alla visione (dichiarata in origine e continuamente ribadita) di Articolo 1, del suo gruppo dirigente e della virtuale totalità dei suoi iscritti; la seconda, è che il “mitePisapia, pur disponendo di quasi nulla di organizzato e di militante (per esempio le “officine” di Pisapia letteralmente non esistono), pretende di comandare; il terzo, è che la sua proposta di Insieme, fatta sprovvedutamente propria, quanto meno ufficialmente, dal gruppo dirigente è stata palesemente un fatto di rottura nei confronti di forze indispensabili alla riaggregazione a sinistra, semplicemente perché esistono e dispongono di militanti e di simpatie, come Sinistra Italiana e i referendari, guidati da Anna Falcone e Tomaso Montanari, della neonata Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza – oltre, ovviamente, alla miriade di forme associative d’ogni natura a tale aggregazione interessate. In realtà, anzi, Pisapia è sin dall’inizio dell’esistenza di Articolo 1 che tenta operazioni di ritaglio e discriminazione; la prima di esse fu infatti a danno di D’Alema.
Davvero si ritiene di poter riaggregare credibilmente ed efficacemente a sinistra senza disporre del contributo e della valorizzazione dei protagonisti politici fondamentali, D’Alema, Falcone, Montanari, della battaglia referendaria? Dei protagonisti dell’unica grande vittoria politica della sinistra da trentacinque anni a questa parte?
E davvero si ritiene che una campagna elettorale gestita da Pisapia, dal suo eloquio vuoto, ambiguo e confuso, ci porterà a risultati a due cifre? “Pisapia grande risorsa della sinistra, senza di lui il flop elettorale è assicurato”, ecc.: questa retorica ci sta tenendo fermi da mesi anche sul piano organizzativo – con grave danno, essendo stati per esempio obbligati a partecipare in forma di Armata Brancaleone alle recenti elezioni amministrative in Lombardia, e avendo per questo perso (non temo smentite) Sesto San Giovanni. Alle elezioni amministrative di un anno fa la lista sponsorizzata a Milano da Pisapia prese il 3,4% (la votai anch’io, preoccupato di come i limiti gravi della sua sindacatura potessero consentire il ritorno della destra alla guida di Milano); il risultato di questa fu cioè lo zero virgola in più rispetto alla lista di sinistra esterna alla coalizione di centro-sinistra. La vittoria fu tutta del PD – di un PD invero abbastanza autonomo da Roma, secondo tradizione milanese riguardante tutte le forze politiche e dal dopoguerra in poi. Sei anni fa le periferie milanesi avevano premiato tutte il centro-sinistra; l’anno scorso esse hanno premiato tutte la destra.

Ciò che ha trasformato Pisapia in una “grande risorsa” è stata una rappresentazione fittizia della sua realtà ossessivamente tambureggiata dai media liberali: allarmati dalla possibilità che in Italia torni a esistere una consistente formazione di orientamento socialista e come tale erede, certo aggiornata, della grande tradizione comunista, socialista e libertaria del nostro paese; inoltre interessata a tutelare il più possibile, tale rappresentazione, modelli di governo aperti sul terreno del diritti civili ma chiusi a ogni richiesta economica, sociale e giuridica di classe popolare.
Non a caso quest’invenzione della risorsa Pisapia. Ciò che fondamentalmente motiva gli atti attuali di questi (le sue dichiarazioni, le sue interviste, le sue oscillazioni, i suoi veti) è l’obiettivo del riaggancio del più possibile di sinistra al PD. Prima Pisapia all’uopo guardava a Renzi; poi l’evoluzione parapopulista, il discorso sempre più sgangherato, il discredito sociale, l’abbandono mediatico del personaggio hanno spostato l’attenzione di Pisapia su altre figure, ma sempre nella prospettiva del rapporto organico al PD – o, meglio, di un rapporto di subalternità al PD, parliamoci chiaro, come mostra l’impressionante cinica proposta della doppia tessera a Cuperlo, Orlando, ecc. ecc.

Abbiamo tentato per mesi da Milano, “esperti” di Pisapia, di chiarire ai compagni che guidano Articolo 1 di che cosa si sia trattato guardando alla sua sindacatura. A suo merito certamente c’è l’aver portato Milano a sconfiggere, attraverso un patto tra borghesia istruita e civile del centro e popolo delle periferie, la precedente lunga gestione della componente borghese ladra, reazionaria e affaristica, altrettanto potente; e c’è l’aver collocato il comune di Milano e la maggioranza della sua gente a schierarsi dal lato dei servizi civili e dell’ospitalità ai migranti. A suo limite, tuttavia, ci stanno cose altrettanto grosse: il comportamento sistematicamente di rottura nei confronti delle richieste dei sindacati, l’abbandono assoluto delle periferie, il patrimonio enorme di case popolari lasciato a marcire e alle pantegane, in una città dove mettere su casa si riesce a farlo se si è ricchi, la fine del finanziamento a piccole cooperative di servizi alla popolazione povera, ecc.

Il discorso sistematicamente privo di contenuti di Pisapia, le sue approssimazioni molecolari di due o tre parole a questioni sociali (del tipo “il jobs-act è stato un errore”), il fatto che egli continui a ritenere che il suo “sì” al tentato golpe anticostituzionale di Renzi fu una scelta giusta, la sua attitudine al comando personale, la sua attitudine a disfarsi di chi gli faccia ombra, il suo uso di Gad Lerner come provocatore non sono quindi incidenti, idiosincrasie, “errori”: sono le manifestazioni concrete, data la situazione politica concreta, di una posizione fondamentalmente liberale e fondamentalmente orientata a rifare, per qual tanto che si può, la Democrazia Cristiana; e, dato che cos’è oggi il liberalismo, di una posizione neanche tanto di sinistra, in rottura anche, dunque, con ciò che fu la DC milanese. Ovvero sono le manifestazioni concrete che rispondono alle richieste di quanti sei anni fa selezionarono Pisapia come candidato sindaco: le figure portanti della borghesia civile ma antisociale del centro di Milano.

Quindi rivediamo la rotta. Ovviamente nella condizione concreta dell’Italia non ci si può permettere di escludere relazioni il più possibile di scambio e cooperative con il complesso delle componenti civili della società e della politica. Il rapporto con Pisapia, se portato a razionalità sul terreno di ciò che egli può davvero portare, è utile. Al tempo stesso all’Italia, non solo alle classi popolari ma alla grande maggioranza della sua popolazione, assolutamente serve che torni a esserci una sinistra che sappia rifarsi e relazionarsi prima di tutto ai bisogni e alle richieste popolari. Se non risultasse essere questo Articolo 1 saremmo solo alla vigilia dell’ennesimo fallimento e dell’ennesimo disfacimento in sede di ricostruzione di una sinistra italiana effettivamente utile ed effettivamente all’altezza della situazione. La conquista del comando politico su un’aggregazione di centro-sinistra da parte di Pisapia non solo, da questo punto di vista, non può funzionare, ma tende semplicemente a impedire che si ricrei una tale sinistra, attraverso l’impedimento ad Articolo 1 di costituirsi a tutti gli effetti in formazione politica, per quanto la sua intenzione possa utilmente essere quella di una sua transitorietà, guardando cioè alla congiunzione, in una forma o nell’altra, con altre forze politiche e con forze di movimento. Mentre ciò che con Pisapia si può utilmente costruire è un patto che abbia a propria base obiettivi sociali, economici, ecc. riguardanti le questioni immediate, e il resto è solo perdita di tempo e, quindi, danno.

Nella foto di copertina: Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, Enrico Rossi, tre esponenti di Articolo Uno, e Giuliano Pisapia insieme ad una manifestazione

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