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Arturo Scotto: una politica forte e autonoma sarebbe il vero Cambiamento

Sarebbe troppo comodo fare il moralista contro i professionisti del moralismo. E polemizzare con “le bucce di banana” su cui sono scivolati Lega e Cinque Stelle appena dieci giorni dopo la nascita del governo Conte. Ma la vicenda dello Stadio di Roma e l’inchiesta su Parnasi ci consegna tre spunti su cui occorre fare una riflessione seria e approfondita. Perché non accada mai più.

1) La politica è troppo debole ed esposta. E la società civile che è arrivata al potere contro la dittatura dei cosiddetti professionisti della politica si rivela spesso un crocevia di conflitti d’interesse. Lanzalone non è il Mario Chiesa dei Cinque Stelle, ma il passe-partout per relazioni importanti, decisive per entrare nel salotto buono del capitalismo italiano. E per incidere in quella girandola di incarichi e di nomine che segnano la cifra dei rapporti di forza nel paese. Quando hai l’ossessione di entrare nella stanza dei bottoni a tutti i costi finisci per coltivare un trasversalismo politico che rapidamente può trasformarsi in trasversalismo degli affari. Annichilendo e svuotando qualsiasi presunzione di alterità rispetto al sistema.

2) La fine del finanziamento pubblico ai partiti è stato uno schiaffo all’autonomia della politica. La responsabilità principale sta in capo a quel centrosinistra che per governare la bestia populista ha finito per assecondare i suoi stessi argomenti. E ha perso. L’Italia è l’unico paese occidentale a non averlo. Non è un caso infatti che questo abbia prodotto nel medio periodo un arretramento delle forze democratiche che tradizionalmente si contraddistinguevano per strutture di partito radicate nel territorio, promotrici di una dimensione culturale forte e capaci di garantire luoghi fisici di partecipazione. Oggi invece fai politica se hai i soldi o se hai relazioni con quelli che hanno i soldi. Ma questo sul lungo periodo trasforma la democrazia in un’oligarchia. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

3) I finanzieri comandano e decidono, i tecnici eseguono e i politici vanno in televisione. Lo diceva il vecchio Reichlin. Oggi più che mai è calzante questa frase. Le democrazie sono impotenti e si riduce sempre di più lo spazio di autodeterminazione dei parlamenti e dei governi. Allo stesso tempo, nel territorio gli interessi della rendita fondiaria sono ancora una volta lo snodo decisivo per lo sviluppo degli enti locali. A Roma in particolare dove il ciclo edilizio spesso condiziona i cicli politici ed elettorali. Esiste dunque in Italia una “questione Roma Capitale” da cui non può sfuggire il dibattito pubblico. E non riguarda solo i risvolti giudiziari, ma prevalentemente la dinamica relazionale di un capitalismo parassitario che continua a influenzare la spesa pubblica senza garantire alcuna capacità produttiva e inquinando un mercato che tiene ai margini chi fa impresa senza santi in paradiso. Occorre una legislazione seria che riduca lo spazio al ricorso all’urbanistica contrattata e che intervenga sulla governance dei suoli, sottraendola a interferenze e speculazioni. E, dunque, ad eventuali episodi di corruzione.

Per queste ragioni continuo a pensare che questione morale e questione democratica siano strettamente intrecciate. E condizionano profondamente il gioco istituzionale. Oggi, dall’inchiesta romana, sappiamo che il Governo del Cambiamento non nasce nella piena e completa autonomia della politica. Come sempre, purtoppo, il trasformismo delle classi dirigenti italiane conserva ancora un peso decisivo nella formazione della geografia del potere e degli interessi che ne derivano. Stare in silenzio di fronte a questa realtà sarebbe un delitto. Se passa l’idea che tutti sono uguali, la sinistra non si salva. Rinasce se prende la bandiera della “riforma morale e intellettuale del paese”. Dove politica e affari abitano in appartamenti separati. Tutto qui.

Arturo Scotto è cofondatore di Articolo 1.

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