Banca_Italia

Basta la sola povertà per bocciare il Pd e Renzi

La Banca d’Italia ha pubblicato un documento di grande importanza, intitolato “Indagine sui bilanci delle famiglie italiane“, riferito all’anno 2016 (*). Notiamo, en passant, che il 2016 è l’anno in cui si è concluso il Governo Renzi, che era iniziato a fine febbraio 2014.
(* riportato integralmente a http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/indagine-famiglie/bil-fam2016/Statistiche_IBF_20180312.pdf)

Farebbero bene a leggerlo attentamente, l’ex Presidente del Consiglio (per 1.000 giorni) ed ormai ex segretario del Pd (per oltre 1.500 giorni) Matteo Renzi ed i suoi sodàli del “Giglio magico” e del Governo, che continuano a sostenere, con smisurata impudenza, di essere “orgogliosi” di quanto è stato fatto in questi cinque anni di governo del Pd (“risultati straordinari“, dicono in ogni occasione – perseverare diabolicum): farebbero bene a meditarlo, anzi li si dovrebbe obbligare – come si faceva una volta alle scuole elementari – a leggerlo tre volte al giorno per un mese per poi ripeterlo ad alta voce in pubblico. Forse così – ma forse nemmeno così – riuscirebbero a capire perché, nonostante “l’orgoglio” di cui vanno blaterando, gli italiani li hanno così clamorosamente e fragorosamente bocciati, relegandoli ad un risultato che è il più basso della storia del Pd (Renzi stesso ha dichiarato ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, in un’intervista “di fine ciclo” del 12 Marzo, «siamo passati da 13 milioni di voti del referendum [ricordiamo: dicembre 2016] ai 6 milioni di domenica scorsa. Abbiamo dimezzato i voti assoluti rispetto a quindici mesi fa», oltre ad essere diminuiti, come osserva Cazzullo, «da 11 milioni e 200.000 voti nel 2014 [ricordiamo: le europee del 40,8%] a poco più di 6 milioni» e, per ricordare il risultato del 2013 – la “non-vittoria” – del Pd di Bersani, così spesso e così tanto irriso da Matteo Renzi, dal 25,42% al 18,72% -; e tuttavia non c’è nemmeno un accenno della benché minima autocritica, nello snocciolare quel “bollettino del disastro“. In quelle 14 pagine e quelle cifre, lucide ed impietose, del documento di Bankitalia c’è una delle più importanti chiavi di lettura – forse la principale – del devastante risultato elettorale ottenuto dal Pd e la più irrimediabile bocciatura del partito che ha amministrato l’Italia nell’ultimo quinquennio e di colui che per 1.000 giorni ne ha avuto la responsabilità.

Ricordiamo solo qualcuno dei dati, veramente gravissimi – e tanto più in quanto indubitabili, per la fonte che li ha generati -, riportati nel Rapporto della nostra Banca Centrale. Cominciamo da quello che può sembrare un dato positivo: l’incipit recita che «Il reddito medio delle famiglie italiane rilevato dall’indagine sul 2016 … è cresciuto del 3,5 per cento rispetto a quello rilevato dalla precedente indagine sul 2014». Sembra, si diceva, un dato positivo: in realtà, non lo è, o almeno non lo è in modo diffuso ed avvertibile, perché – come si legge poco più avanti e come mostrano i diagrammi a fondo pagina – «È aumentata la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi che, misurata dall’’indice di Gini, è tornata in prossimità dei livelli prevalenti alla fine degli anni novanta del secolo scorso». Si vede, dai diagrammi citati, che il grafico dell’indice di Gini del “reddito equivalente” (“ovvero modificato per rendere confrontabili tra loro nuclei di dimensione e composizione diversa“, come spiega il documento in una sua parte) – che misura la distribuzione della ricchezza, che risulta tanto peggiore quanto più alto è l’indice – mostra un innalzamento dal valore di circa 0,328 che aveva nel 2014 al valore di circa 0,335 che ha assunto nel 2016. Per non dire che – piove non sul bagnato, ma sul fradicio – «Nel Mezzogiorno, il 13,3 per cento degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1 nel Nord e 6,9 nel Centro»: ma la cosa più agghiacciante, fra tutti questi dati negativi, è che «È aumentata anche la quota di individui a rischio di povertà … L’incidenza di questa condizione, che interessa perlopiù le famiglie giovani, del Mezzogiorno o dei nati all’estero, è salita al 23 per cento, un livello molto elevato»: circa una persona su quattro, dunque, è a rischio di povertà e, come mostra la Tav.1, il rischio sale a circa il 30% per le fasce di età fino a 45 anni ed è di circa il 40% al Sud (più “fradicio” di così …).

Dunque ci si può chiedere, rimandando alla lettura del documento per ricavarne dati più estesi: ma perché mai i cittadini non avrebbero dovuto “punire” chi, avendone avuto la responsabilità, è responsabile di una situazione così insoddisfacente e sperequata, per non usare parole più forti che pur sarebbero giustificate? Da dove “si parrebbe la nobilitate” di chi ha governato, se i dati sono in molti casi e per molti versi peggiorati, lungi dal poter essere vantati da chi li ha causati o non è stato capace di imporre un andamento diverso e migliore alle condizioni economiche e sociali della massima parte del Paese? Ha fatto bene il Renzi dott. Matteo da Rignano sull’Arno ad andar via (per la verità, sarebbe stato politicamente indecente non farlo): gli italiani lo hanno messo alla porta, a giusta ragione, dopo i disastri che ha compiuto. E’ improbabile – diciamo così – che lo rimpiangano e che possano mai essere presi dalla voglia di rivederlo in posti “di comando” (per quanto lui, incorreggibilmente, non nasconda di pensare ad una sua possibile “rivincita“: chi può, chi gli è vicino, farebbe bene ad “aiutarlo“).

 

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