“Avevo 16 anni quando ho preso la prima tessera di partito. Oggi vivo questa nuova fase politica con la stessa emozione e passione di allora”. Era commosso ed emozionato Francesco Bonito, giudice di Cassazione ed ex deputato dei DS, a conclusione del suo intervento nella prima manifestazione pubblica di Liberi e Uguali a Cerignola. E’ stato un intervento lungo e davvero appassionato. Passione che non ha comunque compromesso la lucidità delle sue argomentazioni.

L’esordio lo ha dedicato allo scampato pericolo di avere, per la prima volta dal dopoguerra, un Parlamento in cui la sinistra non fosse rappresentata. Non che nel PD non siano presenti genuine pulsioni di sinistra, ma sono state assolutamente marginalizzate dalle politiche di due governi, Renzi e Gentiloni, che hanno nettamente spostato verso il centro, se non destra come nel Jobs Act o nelle misure di contenimento dei flussi migratori, la barra delle proprie attenzioni ed azioni. Lo svilimento dei diritti dei lavoratori è tema reale e non solo un pericolo e ha trovato sponda anche in molte sentenze dei Giudici del lavoro. Ma la reintroduzione dell’art. 18 e l’allargamento delle tutele anche a chi non è dallo stesso garantito, prima ancora che una questione giuridica e giudiziaria, è questione di tutela della dignità del lavoratore.

Qualche dubbio Bonito lo ha espresso a proposito della proposta di Pietro Grasso sull’abolizione delle tasse universitarie. La critica è più di metodo che di merito. Liberi e Uguali, secondo Bonito, dovrebbe distinguersi per la sua offerta politica, non inseguire tutte quelle forze politiche, dal PD ai 5Stelle, da Forza Italia alla Lega, che battono tutte e sempre sullo stesso tasto: la riduzione generalizzata della pressione fiscale, senza alcuna distinzione tra chi ha molto, se non moltissimo, e chi ha poco, se non pochissimo. La nostra attenzione, le nostre proposte, devono rivolgersi soprattutto a coloro che hanno pagato (e stanno pagando) il prezzo maggiore della crisi. Crisi, si aggiunga, che non è assolutamente alle nostre spalle se è vero, come è vero, che in larga parte del Paese, nel Mezzogiorno soprattutto, l’aumento pur limitato del PIL nazionale non ha prodotto alcun effetto benefico.
E’ necessaria, quindi, una forza nettamente e dichiaratamente di sinistra che di queste diseguaglianze, di questi problemi si faccia carico e sia in grado di fornire proposte e risposte convincenti.

Sollecitato da Antonella Cappelli, che ha introdotto e moderato la manifestazione, Enrico Rossi ha iniziato parlando dello stato della sanità pubblica in Italia lanciando un campanello d’allarme: i finanziamenti sono gli stessi dal 2011. Sono, quindi, diminuiti spostando non solo risorse importanti verso la sanità privata ma non permettendo a milioni di cittadini di potersi curare dignitosamente. Quello che, dopo la riforma degli anni settanta, era diventato un modello per l’intera Europa, seconda solo, stando ai dati che forniva l’OMS, a quella francese, è precipitata sia per le risorse dedicate che, conseguentemente, per la qualità delle prestazioni. Sono stati spesi inutilmente 23 miliardi di euro in decontribuzioni per creare occupazione. L’occupazione che ne è derivata non solo è per quasi il 90% precaria, ma il 50% dei contratti a tempo indeterminato e a tutele crescenti sono stati disdetti dalle imprese prima della scadenza dei tre anni (termine oltre il quale, seppur parzialmente, sarebbero stati protetti dall’art. 18). Questa imponente somma a disposizione delle aziende non è stata in alcun modo destinata ad investimenti, ma ad incremento dei profitti. Una parte, anche sostanziosa, di quella cifra, poteva e doveva essere destinata alla sanità. Ma Rossi ha segnalato anche i ritardi e gli errori di alcune Regioni, in particolare del sud, nelle politiche sanitarie. Ha ricordato, ad esempio, di aver più volte spiegato al governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, che non basta reclamare più risorse per la sanità se non si creano strutture adeguate per qualità e quantità. In assenza di questo presupposto, le eventuali maggiori risorse altro non sarebbero che una “partita di giro” a favore delle regioni del centro nord dove i pazienti sono costretti a recarsi per usufruire di prestazioni che non è possibile ricevere nelle regioni d’origine. Il problema maggiore per Enrico Rossi, nel campo della sanità come in altri settori strategici della nostra economia e società, è che insieme ad altro si è cercato di rottamare un metodo chiave: la programmazione. Si preferisce l’intuizione, lo slogan, le promesse, piuttosto che lo studio dei fenomeni e, appunto, la programmazione seria e sostenibile degli interventi.
E a proposito di promesse e programmazione, concorda con Bonito sul fatto che la questione relativa alle tasse universitarie è stata in realtà mal posta da un punto di vista comunicativo.

Il problema del diritto allo studio, in particolare quello universitario, è un problema serio. Il nostro è un Paese che è ai primi posti per quantità di tasse universitarie da pagare (al terzo posto in Europa) e agli ultimi per numero di laureati e borse di studio (penultimo, dopo di noi solo la Romania). Esiste, è evidente, una correlazione tra questi dati, vi è una sorta di causa ed effetto. E’ la somma delle tasse e dei costi per mantenere un figlio all’università che mette seriamente in pericolo l’universalità del diritto allo studio. La soluzione di questi problemi, l’eliminazione delle tasse per gli studenti meritevoli per profitto e per condizioni economiche – innalzando l’attuale tetto per le esenzioni – un netto incremento delle borse di studio e, aggiunge, l’eliminazione del numero chiuso che non garantisce una selezione qualitativa degli studenti, dovranno permettere di aumentare numero e qualità dei nostri laureati, perché lo studio è un valore irrinunciabile per lo sviluppo culturale e sociale di una qualsiasi società.

E’ necessaria, secondo Rossi, una affermazione delle liste di Liberi e Uguali nella prossima competizione elettorale perché tutte le nostre proposte abbiano modo di entrare ed affermarsi nell’agenda politica del prossimo Parlamento, ma la sua attenzione è rivolta anche, forse soprattutto, al 5 marzo. E’ rivolta, cioè, al processo di formazione di una nuova e strutturata forza politica di sinistra e di governo. Un nuovo soggetto che dovrà porsi come riferimento e rappresentanza dei lavoratori, del ceto medio sempre più impoverito e che teme per il proprio futuro, dei professionisti che devono veder premiati anni di sacrifici e di duro lavoro di formazione, delle imprese che innovano e che offrono lavoro qualificato e duraturo. Un Partito del Lavoro che si richiami agli ideali del socialismo e che sia aperto alle contaminazioni del cattolicesimo democratico e dell’ambientalismo.

Nella foto: Pasquale (Pasqualino) Panico, iscritto al Pci dal 1944, a capo della lega dei braccianti, poi segretario della Camera del Lavoro di Cerignola, vicepresidente del Consilgio regionale della Puglia, senatore della Repubblica.

E se fosse per nostalgia/tutta questa malinconia/che mi prende tutte le sere”. E’ l’incipit di “Benedetta passione” una canzone di Vasco Rossi scritta per Laura Pausioni.
Né in Francesco Bonito, né in Enrico Rossi abbiamo scorto alcuna malinconia, meno ancora neppur nostalgia di nulla. Anzi, sì. La nostalgia di quando la passione era il primo sentimento che ispirava l’azione e l’impegno in politica. Proprio mentre si celebrava la nostra manifestazione, si spegneva Pasquale (Pasqualino) Panico. Un uomo che dedicato per intero la sua lunga vita ad obiettivi irrinunciabili e non negoziabili: il riscatto, l’emancipazione (che bella parola!), i diritti di chi lavora. La lotta per dare un futuro diverso agli ultimi. In un momento storico in cui tutto è rimesso in discussione e riaffiorano prepotentemente vecchie e nuove forme di schiavitù, gli ideali di Pasqualino, di Francesco, di Enrico, sono quanto mai attuali e ancora irrinunciabili. Perché ditemi, se non il socialismo what else?

Nella foto di copertina: Enrico Rossi all’iniziativa di Liberi e Uguali di Cerignola

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