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Benoît Hamon, l’antidoto a Macron?: “Noi siamo la sinistra poiché tutti gli altri non lo sono”

Traduzione dell’intervista di Rachid Laïreche, Laure Bretton e Jonathan Bouchet-Petersen a Benoît Hamon, pubblicata su Libération con il titolo “Benoît Hamon : «Nous sommes la gauche puisque tous les autres ne le sont pas»” (13 maggio 2018).

Tra le discussioni con gli ecologisti in vista delle Europee e lo scouting per le municipali, Benoît Hamon prepara il primo congresso del suo movimento, Génération·s, il fine settimana del 30 giugno a Grenoble. Tra Macron e Mélenchon, l’ex candidato presidenziale vede se stesso come l’unico in grado di riunire la sinistra.

Dopo un anno, l’opposizione fa fatica a farsi sentire. Lei che è a capo di una neonata forza politica, dopo un risultato basso nelle elezioni presidenziali, quali passi avanti ha fatto?

Per la sinistra, la situazione è diventata più chiara. Alla fine delle elezioni presidenziali, non c’era nessuno che fosse in grado di riunire la sinistra, che per il suffragio universale avesse la legittimità e l’autorità per farlo. C’era Jean-Luc Mélenchon. Ma ha declinato questa responsabilità. Mi sembra che tra i dirigenti del suo movimento, la maggioranza pensi che la conquista del potere non passerà per la riunificazione della sinistra, ma piuttosto per una strategia populista. Io rispetto quella scelta.

E quindi?

Ho intenzione di prendermi la responsabilità di riunire la sinistra. Perché sono stato candidato alle presidenziali e rimango, in alternativa a Jean-Luc Mélenchon, la personalità più popolare a sinistra. Ma anche perché i principali cambiamenti che ho portato nel 2017, restano forti nella loro precisione e nella loro capacità di aggregazione: la transizione ecologica, la metamorfosi del lavoro, la salute ambientale, la questione democratica. Il candidato de La France insoumise non crede più alla riunificazione della sinistra e il PS resta intrappolato nell’Hollandismo. Io, mi prenderò tutte le mie responsabilità.

Un PS a pezzi è positivo per lei?

No! Ma i socialisti continuano a sostenere l’idea che se la socialdemocrazia ha fallito sotto Hollande è stata colpa dei frondisti. Ma, ovunque in Europa, la socialdemocrazia crolla per essersi diluita nel liberismo. Senza i frondisti… al PS, l’influenza dell’ex presidente impedisce di fare il bilancio degli errori degli ultimi cinque anni.

Un Emmanuel Macron sempre più a destra è, tatticamente, una buona notizia per lei?

Non siamo ancora completamente usciti dalla finzione che ha stabilito che la divisione fra destra e sinistra è obsoleta. Ma oggi una buona parte delle maschere è caduta. Fate un blind test sulla politica Macron in dieci scuole di scienze politiche d’Africa, Europa o Asia, tutti vi diranno che siamo al 100% nella destra liberale e conservatrice. Il fatto che sia di destra lo rende più facile da combattere? La sua forza sta in primo luogo nell’omogeneità della base sociale che lo sostiene. È riuscito nella fusione della borghesia di destra con la borghesia cosiddetta di sinistra. In precedenza, c’era connivenza tra élite statali ed élite private. Oggi si sono fuse: un solo ordine del giorno, un solo capo. Macron ha legittimato e attuato la secessione dei ricchi. L’interesse generale è svanito. In un anno, il presidente ha fatto ingoiare una serie di rospi a quegli elettori che avevano votato per lui per bloccare il Front national in nome di valori che pensavano comuni: l’integrazione dello Stato d’emergenza nel diritto comune, il progetto di legge in materia di asilo e immigrazione, una politica di forza sistematica per affrontare i conflitti sociali.

Di fronte a questo dualismo fra Macron e Mélenchon, come definisce lei la sua sinistra?

Siamo la sinistra poiché tutti gli altri non lo sono. Ma non solo. Dobbiamo essere una sinistra in grado di pensare all’ecologia politica e di metterla al centro di tutto. Un anno dopo, l’analisi della mia campagna consente alcune conclusioni. La prima, è che non si può vincere le presidenziali nella Francia della V Repubblica con la campagna elettorale del primo ministro svedese. Quello era il Benoît Hamon del 2017! (ride). La seconda, un pensiero complesso non esclude una formulazione chiara. Avere ragione soli contro tutti non è la mia visione della democrazia. Infine, non possiamo stare solo sul registro della ragione. Dobbiamo suscitare passioni positive, sia sulla questione ecologica, che sui migranti o l’Europa. Ecco la mia sinistra.

Quali misure del suo programma presidenziale considera datate? Quali salva?

Un anno dopo, cosa dovrei togliere? Tutti gli studi confermano l’impatto radicale della rivoluzione digitale sul lavoro e l’importanza di anticipare questa rivoluzione con un reddito universale che slega il reddito dall’esercizio esclusivo di un lavoro, l’importanza di una tassazione moderna che tassa la ricchezza creata dai lavoratori tanto quanto quella creata dalle macchine. Tutto dimostra ancora l’urgenza di emancipare le politiche pubbliche dai dogmi di crescita del Novecento, dal consumismo e dalla convinzione irragionevole della supremazia dell’uomo sulla totalità della vita. Infine, tutto dimostra l’importanza di guarire la Repubblica dalle disuguaglianze che la indeboliscono, di fare attenzione alle conseguenze delle derive autoritarie e liberticide che colpiscono tutte le democrazie, in particolare la nostra. Mi sento confortato dai fatti. Per certi versi, ahimè.

Il macronismo lascia intendere che non c’è alternativa

È ancora peggio: il presidente afferma che l’unica alternativa alle sue politiche e al suo potere sarebbe il caos degli estremi. Ne sentiremo molte di queste argomentazioni nelle prossime elezioni europee, mentre in un certo senso l’eccesso liberale e la tentazione nazionalista sono due facce della stessa medaglia, il vecchio mondo. Per inciso, notiamo il terribile bilancio di Macron in Europa, dopo un anno. È ossessionato dall’idea arcaica secondo cui l’Europa funziona solo con la coppia franco-tedesca, ma Angela Merkel non lo segue su nulla. Alcuni dei francesi vedono ancora in Emmanuel Macron un presidente europeo, io vedo prima di tutto un presidente “pro-business”. Altrimenti, perché la Francia avrebbe rifiutato la direttiva europea che migliora la compensazione del congedo parentale? È stato un progresso innegabile! Appollaiato sul suo Olimpo, Emmanuel Macron considera solo i meriti dei vincitori, coloro che detengono il capitale, coloro che “creano” ricchezza, che “creano” lavoro, che “creano” coesione sociale: i demiurghi della nazione start-up.

La sua posizione europeista e “allo stesso tempo” critica non sarà facile da proporre l’anno prossimo

È molto facile, invece! Come uomo di sinistra, rimango un internazionalista e penso che la cooperazione tra i popoli sia migliore della competizione a tutto campo. Quindi l’ideale europeo rimane mio. Se continuiamo con questo liberismo pro-business, indifferente alle ferite ecologiche e sociali che infligge, un giorno in Francia, prima o poi, avremo un regime nazionalista e quindi la fine dell’Europa.

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Quale programma porterete?

È imperativo rispondere alla crisi democratica in Europa mettendo in atto un processo di convenzione democratica per rivedere l’architettura europea (quindi i trattati), coinvolgendo cittadini europei e organismi intermedi. Ma è ovvio che non possiamo aspettare fino alla fine di questo processo per agire. All’indomani delle elezioni, metteremo in atto un nuovo accordo ecologico, che permetterà di ridurre le disuguaglianze, crescendo in tutta Europa.

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Il conflitto dell’SNCF e dei ferrovieri continua, come uscire da quel braccio di ferro?

Voglio rendere giustizia a coloro che scioperano: nessuno lo fa per gusto e piacere. Il disprezzo con cui il governo e il Presidente li trattano avrebbe spinto molti altri a strategie più radicali. Apprezzo anche la reazione della maggioranza dei francesi che dimostra che nel nostro paese rimane una forte cultura sociale e politica. Ovviamente non spetta a me dire come uscire da questo conflitto, ma posso solo incoraggiare i sindacati a rimanere uniti e a trovare modi e mezzi per vincere la loro battaglia. I francesi devono capire che le conseguenze di questa riforma della SNCF sono meno stazioni, meno treni e meno servizi pubblici. Il Capo dello Stato dà l’impressione di essere un bambino felice di calpestare un castello di sabbia: la SNCF ma anche il Sécu, il codice del lavoro. Tra coloro che resistono, c’è oggi una divisione tra campo sindacale e campo politico. Dobbiamo andare oltre, durante la manifestazione del 26 maggio.

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Quale giudizio dà sulla diplomazia di Macron?

La trovo impotente e innocua, tutta basata sulla comunicazione. Questo è l’ibrido macroniano! Crede che, poiché è in prima pagina su Forbes, è il padrone del mondo. […] Non capisco perché non abbia scelto la sobrietà di fronte Trump. Quello non è un presidente qualsiasi: xenofobo, omofobo e ideologicamente pericoloso. E con lui sono strette di mano virili, abbracci e congratulazioni. Gli americani sono i nostri alleati storici, ma questa diplomazia della genuflessione è insopportabile. La verità è che i padroni e gli uomini d’affari intorno a Macron non desiderano che la Francia litighi con Trump e gli Stati Uniti. […] Macron non ha lanciato alcuna iniziativa, francese o europea, in grado di cambiare gli equilibri del potere. Perché non abbiamo scelto di riconoscere la Palestina quando Trump ha scelto di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele? In un anno, abbiamo avuto un’escalation in Iran, gli Stati Uniti sono usciti dall’accordo di Parigi, nessuna soluzione in Siria, tensioni mai viste tra Israele e Palestina e un Presidente che continua a mettere in scena una leadership internazionale virtuale. Macron fa brillare le prime pagine delle riviste, non la diplomazia francese.

Dopo un anno, c’è una decisione presidenziale di suo gradimento?

(Un silenzio molto lungo). Sulle cose secondarie qualcosa si può sempre trovare. Ma questo presidente è molto poco preoccupato della qualità democratica del dibattito nel Paese, indifferente alla povertà e alle disuguaglianze sociali. Il progetto presidenziale è in disaccordo con ciò che credo e voglio costruire. Fondamentalmente, Génération·s è l’antidoto a Macron.

Foto in evidenza: Benoît Hamon (di Samuel Kirszenbaum per Libération)

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