Il prossimo 4 marzo festeggeremo il 75° compleanno di Lucio Dalla (per noi è sempre vivo) e celebreremo le elezioni politiche. In alcune Regioni si voterà anche per il rinnovo del Consiglio Regionale. Tra queste, Lombardia e Lazio. Succede che, all’improvviso, l’attuale Governatore della Lombardia e naturale candidato del centrodestra, Roberto Maroni, annunci che non si ricandiderà. Fibrillazioni conseguenti in quell’area politica e nel centrosinistra. Il PD ha già da tempo candidato Giorgio Gori, attuale sindaco di Bergamo senza aver trovato però il consenso e sostegno, ad oggi, di Liberi e Uguali. Parrebbe, e probabilmente è così, che l’improvvisa rinuncia di Maroni riaprirebbe i giochi e che la Lombardia possa diventare contendibile. Personalmente ci credo poco, ma al di là delle mie relative e poco interessanti convinzioni mi interessa evidenziare il dato politico.

Tornano a farsi sentire, e lo fanno sempre in maniera accorata, Prodi e Veltroni. I loro appelli dai toni propri dei “posteggiatori” napoletani, puntano sempre sullo stesso refrain: un delitto dividersi in aree così importanti; logico, viste le novità, mettersi tutti insieme; preoccupazione per il futuro del Paese; ecc. ecc.
Non ci aspettiamo nessuna riflessione serenamente critica sul perché ci troviamo in questa situazione (siamo oggettivamente fuori tempo massimo con le elezioni alle porte), ma almeno che l’appello fosse rivolto anche al PD, pregandolo di meno arroganza e meno solipsismo politico. La Repubblica, obnubilata dalla sua acredine verso scissionisti & co., ci spiega che la scarsa propensione di MDP a sostenere Gori deriverebbe dal “suo passato nelle televisioni di Berlusconi”, considerato “un ostacolo insormontabile”.

Tralascio la circostanza di aver speso inutilmente anche oggi € 1,50, perché certe cose non si possono assolutamente leggere e, quindi, scrivere, ma da nessuna parte c’è chi abbia ricostruito con onestà i passaggi che hanno portato all’indisponibilità (ripeto, ad oggi) di LeU di sostenere il candidato democratico. Quando la candidatura fu lanciata, da parte di MDP (Liberi e Uguali non era ancora nata) non vi fu nessuna avversione pregiudiziale. Fu chiesto, al contrario, che la scelta del candidato, se alleanza doveva essere, fosse condivisa. E se proprio non si riusciva a trovare un nome che fosse gradito ad entrambi, si sarebbe dovuto procedere alle tanto care ed amate (dal PD) primarie. Nulla, per i democratici l’alleanza doveva avvenire semplicemente per adesione. In effetti, posta così, la questione risulta quantomeno urtante, ma, del resto, che la strategia sia quella di dimostrare che la sconfitta della sinistra dipenda dalle nostre bizze e pregiudizi e non da altro è arcinota e in fin dei conti stucchevole.

Personalmente vorrei che non ci fossero alibi, per noi e per loro e sarei per accogliere l’invito a casa Gori. Però, perché l’incontro non naufraghi e non volino gli stracci come nella geniale commedia di Ugo Chiti, occorrerebbe che una cosa sia chiara da subito: Liberi e Uguali ha proposte ben precise in materia di sanità, di ambiente, di welfare. Precise, chiare ed irrinunciabili. Se da parte di Gori e delle forze che attualmente lo sostengono, quelle proposte saranno accolte e diverranno parte qualificante del programma di governo regionale, non vedo alcun ostacolo ad una alleanza, seppur sul filo di lana. E’ lo stesso schema che Bernie Sanders usò per garantire il suo appoggio a Hillary Clinton (speriamo, però, con un esito diverso). Questi sono i veri ostacoli da rimuovere, del fatto che Gori abbia prodotto “il Grande Fratello” non ci interessa una beata mazza.

Diversa, solo per certi aspetti, la questione Lazio. Qui non c’è da scegliere un candidato ma, piuttosto, valutare se l’attuale Governatore di centrosinistra, Nicola Zingaretti, meriti di essere sostenuto per il suo secondo mandato o meno. Se la sua azione di governo fosse ritenuta sostanzialmente positiva, non vedo sinceramente motivi che ci impediscano di sostenerlo. Ho sempre apprezzato Zingaretti come politico, ma non posso dare alcun giudizio su di lui come amministratore, non vivendo nella sua regione. Registro, però, che a parte alcune critiche su aspetti pur importanti e strategici (gestione del ciclo dei rifiuti), sembrerebbe che abbia portato la Regione Lazio fuori dalle secche e dalle imbarazzanti politiche della sua predecessora, l’ineffabile Renata Polverini. A chi, giustamente, reclama discontinuità nell’azione politica e amministrativa, oppongo che un conto è reclamare ed esigere discontinuità dalle politiche di Formigoni e Maroni, e su questo occorrerebbe maggiore chiarezza da parte di Gori perché non si tratta, come vorrebbe, di fare meglio (questo il suo slogan) ma di fare diversamente. Altro è, casomai, correggere errori che sicuramente saranno stati commessi nel Lazio e, rispetto a ciò che di buono è stato fatto, reclamare … continuità.
Questo, secondo il mio modestissimo avviso, è il vero schema logico da seguire: far apprezzare e prevalere la nostra agenda politica. E se prevarrà, se sarà, quindi, accolta, non dovremmo permettere che possa essere messa a rischio da dei Fontana o Gasparri qualsiasi.

Nella foto: Giorgio Gori, sindaco di Bergamo

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