La verità? Avverto dopo anni, finalmente, un senso di leggerezza, di liberazione. Per lealtà, frutto dell’educazione politica a cui sono stato formato, ho sempre e comunque difeso lo strumento delle primarie per l’elezione del segretario, fosse quello nazionale o quello di circolo. “Una festa della democrazia”, è questa l’espressione che ci siamo inventati per nascondere, in realtà, una fase che tutti abbiamo sempre temuto, per il portato della possibile illegalità politica che poteva produrre e, spesso, ha prodotto. L’impennata rapida e improvvisa del numero dei tesserati a ridosso dei congressi, non nasce con queste primarie. E’ stata una caratteristica di tutte le consultazioni di questo tipo da sempre, purtroppo. Nessuno, tra chi accusa e chi si difende, può millantare una verginità persa ormai da tempo.
Era, ed è, necessario rivedere profondamente senso e meccanismo delle primarie, con regole rigide e chiare che diano il senso di ciò che dovrebbero essere: la fase finale di un processo di formazione e selezione di una nuova classe dirigente. Uno dei punti qualificanti della proposta di Rossi e di altri compagni della minoranza era proprio la riorganizzazione del partito su regole nuove, essendo oramai evidente che quelle partorite all’atto della costituzione del PD rendevano questo un partito sì contendibile, ma non sulla base di principi e opzioni programmatiche, quanto piuttosto sulla fedeltà al leader e sulle “utilità” che questo poteva comportare, a Roma come in periferia.

Un partito diverso, quindi, non si poteva né voleva costruire. Avrebbe messo in discussione le ambizioni e le velleità di molti, di troppi. Molto più semplice liquidare, allora, le posizioni di chi dissentiva come mera nostalgia, rifiuto delle magnifiche e progressive sorti della politica liquida, alibi per rompere e trovarsi un posto al sole da qualche altra parte. Un “bla bla” ascoltato sin troppe volte in questi ultimi anni, una litania sempre uguale a se stessa. Un partito che perde militanti, consensi, credibilità nei ceti sociali che (presumibilmente) dovrebbe rappresentare, è un partito che (presumibilmente) mostra una qualche patologia? E’ possibile, accertata la diagnosi, che la terapia sia la riproposizione delle stesse politiche alla luce dei risultati prodotti? Due semplici, banali, domande a cui si è accuratamente evitato di rispondere, se non facendo appello ad una unità di facciata che in realtà nascondeva il mal dissimulato desiderio che chi poneva queste domande fosse costretto all’inevitabile scelta, visto le condizioni date, di uscire.

E siamo usciti. E ci siamo lasciati alle spalle Michel, don Gennaro, gli àscari di qualche governatore, la narrazione vecchia del presunto nuovo che avanza. Siamo salpati con entusiasmo ma con la consapevolezza, propria di chi fa seriamente politica per qualcosa e non per qualcuno, che l’approdo non sarà né facile né scontato. L’idea e l’obiettivo di parlare a quel nuovo “blocco sociale” fatto di lavoratori, che non ci votano, o non ci votano più, e di imprenditori diffidenti a cui offrire un’alleanza contro il nemico comune, il capitalismo finanziario che ha generato e sostiene la destra reazionaria e populista mondiale, ritenendola straordinariamente efficace per preservare e rafforzare i propri interessi, non è cosa semplice.

La sinistra sconta il peccato gravissimo di aver supinamente accettato e riproposto, quando è stata forza di governo in Italia e in Europa, politiche economiche e sociali neoliberiste, accettando di fatto come ineluttabile la schiavitù del capitale. Con tutto il rispetto, avere come riferimento la presunta “terza via” di Tony Blair e Bill Clinton come esempio di progressismo 2.0, è come ritenere che il futuro delle navi da crociera sia “l’inchino” in prossimità dell’Isola del Giglio: una catastrofe. Credo che Art. 1, oltre ad elaborare e veicolare nelle Istituzioni e nel Paese alcune semplici e chiare proposte su diritti e lavoro, politiche industriali, Mezzogiorno, accoglienza ed integrazione, povertà, debba chiamare a raccolta le migliori menti, le migliori esperienze, i migliori saperi ed essere incubatrice e, poi, propulsore di una nuova idea di società. Un laboratorio, insomma, che sia in grado di progettare qualcosa di diverso e di nuovo rispetto sia alla stanca ed immobile socialdemocrazia europea, che al pericoloso “sovranismo” tanto caro alla destra.

Questo ci deve impegnare e lasciamo volentieri ad altri le discussioni e le disquisizioni sui vari “cerchi magici” e sulle storture etiche che, inevitabilmente, hanno provocato. Il nostro sogno è riunire, un giorno, tutti i progressisti e riformisti e (ri)lanciare il famoso: “noi abbiamo le mani pulite”. Nostalgia? Sì, tanta. Ma per il bambino, non per l’acqua sporca.

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