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Brexit, il brutto risveglio dei giovani socialisti europei

«Ha vinto il Leave». Questa è la prima cosa che ho sentito questa mattina quando mi sono svegliata, verso le 6. La notizia mi è stata data dalla mia compagna di stanza. «Scusa?» «Ha vinto il Leave». Il messaggio è arrivato, ma non aveva alcun senso. Ho cercato il cellulare sul comodino e sono andata sul sito del Guardian per verificare la notizia, perché continuava a sembrare troppo irreale. E la notizia era lì, in apertura, accompagnata da un grafico inequivocabile: 51.9% per il Leave e 48.1% per il Remain. Quindi, sì, era davvero Brexit. Mi sono girata dall’altra parte e ho continuato a dormire. Quando mi sono risvegliata, un’ora più tardi, la notizia continuava a sembrarmi irreale, per un momento ho sperato si trattasse di un brutto sogno. Ho acceso la tv, mi sono sintonizzata sulla BBC, e iniziato a processare la cosa.

In questo momento sono a Vienna, dove si sta tenendo la quarta scuola di formazione del Partito Socialista Europeo. In questi quattro giorni, ragazze e ragazzi da tutta Europa si riuniscono per affinare le proprie competenze e condividere le proprie conoscenze. E, sì, legare. Non è difficile, abbiamo due cose fondamentali in comune: il fatto di militare in partiti della famiglia del PSE ed essere cittadini europei. Cittadini europei che, nella maggior parte dei casi, con l’idea di un’Europa unita ci sono nati o comunque cresciuti.

La Brexit, quindi, non è solo drammatica, ma è anche inconcepibile. Sia per i giovani britannici che per i giovani del resto d’Europa. Il 64% dei ragazzi britannici fra i 18 e i 24 anni ha infatti votato per restare.

Confrontandomi con i compagni degli altri paesi, mi rendo conto che, per molti, è il voto più importante della loro vita. I governi, i presidenti, le maggioranze vanno e vengono, questo invece è qualcosa di duraturo. Un voto storico, che è destinato a cambiare per sempre le cose.

«Potrebbe dare la scossa all’Europa, svegliarla, spingerla a cambiare le proprie politiche. Magari, così, potremmo avere un’Europa più sociale, più giusta» commenta una compagna belga. «Ma – obietta un’altra – non è detto che si vada in questa direzione. Saremo in grado di dare le risposte giuste a questa nuova crisi? Con la crisi economica non ne siano stati in grado».

Il punto è questo: bisogna affrontare il problema alla radice, per evitare che altri Stati membri decidano di imboccare questa strada. Come i Paesi Bassi, dove Geert Wilders, il leader del PVVPartito della Libertà – sta già chiedendo la #Nexit.

«Come possiamo chiedere alle persone di essere pro-Europa, se non c’è nulla per loro? Se l’Europa non è dalla loro parte? Se si portano avanti quelle politiche neo-liberiste che hanno causato la crisi?», si chiede Sergej Stanišev, presidente del Partito Socialista Europeo, che è qua per incontrarci. Dovevamo parlare delle politiche giovanili europee, ma la Brexit si è imposta con prepotenza nel dibattito, nei nostri pensieri. Questa, quella per fermare la disgregazione dell’Europa, è la madre di tutte le battaglie. «Chi potrebbe averlo immaginato, solo 10 anni fa, che un paese lasciasse volontariamente l’Unione Europea? Quella bellissima idea adesso è in pericolo». Come salvarla?

Dobbiamo trovare soluzioni che non creino un’Europa ancora peggiore. Alla crisi abbiamo risposto con l’austerità, portato avanti politiche che hanno esacerbato il problema. Il Partito Socialista Europeo avrebbe dovuto opporsi a tutto questo. Invece, abbiamo inseguito le politiche conservatrici e le abbiamo difese, perdendo la nostra identità, facendo compromessi, dimenticando la crescita, il lavoro, gli investimenti.

La Brexit non è un campanello d’allarme, la Brexit è già una catastrofe. Seamas, dell’SDLP, il Partito Socialdemocratico e laburista dell’Irlanda del Nord, ci parla della situazione del suo paese, della parte che ha votato per restare. «Siamo europeisti. E l’Inghilterra ci ha spinto fuori dall’Europa. E quello che abbiamo costruito in questi anni si basa sulla nostra appartenenza all’Unione Europea». Ti viene il groppo in gola a sentirlo, perché ha lo sguardo di uno che ha appena visto la fine del mondo, o, almeno, la fine di un mondo. E continua: «Siamo irlandesi e siamo europei. E vogliamo che le cose rimangano così. Aiutateci».

Aiutateci. E aiutiamoci. Ne saremo in grado?

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