albero della vita

Carlo Notarpietro: “Con la testa e con il cuore per fare l’albero della nuova sinistra”

In questi giorni confusi per la politica e il centrosinistra, tra autocandidature, coalizioni ad personam, passi in avanti e indietro, provocazioni e cambi repentini di strategie senza una minima base di progettualità e visione chiara del mondo, in questo marasma mi viene in mente una canzone che ascoltavo da bambino:

“Le cose di ogni giorno raccontano segreti
a chi le sa guardare ed ascoltare.
Per fare un tavolo ci vuole il legno
per fare il legno ci vuole l’albero
per fare l’albero ci vuole il seme […]”.

E così parafrasandola e riportandola alla politica e all’attualità mi viene in mente una sola frase: per fare le primarie di coalizione ci vuole la coalizione, per far la coalizione ci vuole un programma…per fare un programma ci vogliono valori condivisi…
Per arrivare a ricostruire con un minimo di logica ed entusiasmo un progetto politico nuovo e radicale bisogna partire, quindi, da un’analisi della società, dei suoi problemi, del suo tessuto sociale e delle possibili vie d’uscita.

Io ritengo ad esempio che la fase di grande recessione iniziata nel 2007 ha avuto conseguenze che ancora oggi si ripercuoto in misura più o meno drammatica con interessanti analogie nel mondo occidentale e differenti reazioni nel resto del mondo.
La grande recessione deve essere analizzata nelle sue cause e radici, che si possono rintracciare già negli anni ’80 con le politiche economiche di USA e GB che inesorabilmente si sono ripercosse a cascata anche in tutta Europa.
Ad accelerare la brusca transizione a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, il crollo del muro di Berlino e l’avvento di nuove tecnologie sovvertono completamente i cardini della società occidentale, introducendo il fenomeno ben descritto da Bauman della “società liquida“. In quegli anni il mondo intero e l’Italia, con una crisi aggiuntiva ma strettamente connessa a quanto accadeva altrove, si trovano coinvolti in una rivoluzione tecnologica, informatica, economica, e di conseguenza politica e sociale, i cui effetti ed evoluzioni ancora non sono del tutto evidenti.

Il Neoliberismo, la deregulation, la crisi dello stato hanno creato un divario tra cittadini ed istituzioni, che ad oggi non sembra ancora superabile, ma sopratutto la perdita di punti di riferimento.
Il modello dei consumi cambia così come quello della società dove anche i rapporti interpersonali sembrano soggetti alla logica consumistica usa e getta e all’apparire più che essere.
In questo quadro già abbastanza inquietante incombono oltretutto fenomeni migratori di dimensioni epocali e l’insorgere di un nuovo clima del terrore che vede come teatro il mondo intero, senza regole e senza alcuna logica.
Non è quindi sorprendente l’ascesa di forze cosiddette populiste, che trascinano elettorati trasversali nella speranza di recuperare dignità nazionale e personale.

Il nostro paese vede acuiti poi tutti questi problemi, vivendo una fase di recessione molto più grave del resto della comunità europea, vittima di una politica che poco è riuscita a fare negli ultimi decenni se non peggiorare le cose.
In questo primo quarto di secolo ci troviamo di fronte ad una grande transizione: rivoluzione industriale prima e digitale poi hanno generato evidenti ed incontrollate sofferenze e disuguaglianze che bisogna governare con processi di inclusione basati su istruzione e reti di sicurezza sociale, utilizzando tutti gli strumenti di politica economica possibili, monetari, fiscali e strutturali: Investimenti pubblici e eguali opportunità non solo tra ceti sociali ma anche tra paesi e regioni diverse.

È evidente e sotto gli occhi di tutti che esiste una maggioranza silenziosa che ha sofferto realmente e drammaticamente questa crisi economica e sociale e che ha avuto poche protezioni sociali e zero opportunità di riscatto.
Pochi nell’ultimo periodo si sono interrogati davvero sul problema e sulle vie d’uscita da questo tunnel, molti hanno discusso sul merito della crisi elaborando programmi economici e sociali, ma nessuno si è realmente domandato quel potesse essere la leva politica per rimettere in moto un processo nuovo di riscatto: come attivare una forza politica e sociale capace di scardinare l’iniquità del sistema, di capovolgere la strutture dei luoghi di interesse pubblico, tenendo conto dei bisogni reali della maggioranza silenziosa.

Lo scrive bene Emanuele Ferragina: “[…] Formulare un racconto collettivo che aiuti la maggioranza invisibile – quei 25 milioni di cittadini che stentano a riconoscersi come gruppo sociale svantaggiato – a mettere insieme i pezzi di un puzzle. […] Un racconto collettivo animato da parole ormai cancellate da dibattito pubblico, perché associate a una cultura considerata fallimentare e fuori tempo, e da altre che ben descrivono il contesto economico e sociale nel quale siamo immersi. Parole dal sapore antico,come redistribuzione, classe, conflitto sociale, egemonia, rivoluzione passiva. […]”.

La maggioranza invisibile di cui si parla non è omogenea ed è difficile da rappresentare, include neet (not in education, employment or training), pensionati meno abbienti, migranti e precari. A questa classificazione si deve aggiungere un’altra classe, in questo caso anagrafica e non sociale, quella dei millennials, la generazione del nuovo millennio nata tra i primi anni ’80 e i primi del 2000, una generazione che presenta forti aumenti di natalità simili a quelli della generazione baby boomers nata tra gli anni ’50/’60.

È indispensabile, quindi, comprendere la base sociale più importante con la quale confrontarsi oggi. La questione più preoccupante ad esempio è che i neet vivono in una situazione di fragilità tale, definita in sociologia scarring effect, che vivono nell’incapacità di partecipare ed inserirsi nella vita sociale, economica e pubblica come gli altri cittadini.

Come uscire da tutto questo? Ci sarebbero alcune opzioni prima di tutto di politica economica che però si riducono solamente a tre se ci si trova in un’area monetaria unica: penso, ad esempio, all’aumento della mobilità della forza lavoro, alla riduzione dei prezzi per aumentare esportazioni e alla creazione di un coordinamento nelle politiche fiscali redistributive.
L’unica politica dell’Unione Europea è stata quella di ridurre il costo dei beni perseguito tramite la riduzione del costo del lavoro e delle protezioni sociali, il tutto in un contesto devastante in cui la crisi finanziaria a accresciuto drammaticamente la pressione sui conti degli Stati mettendo in luce le contraddizioni che stanno alla base del processo di integrazione europea, monetaria e politica. Abbassamento del costo del lavoro da una parte e un auto-imposizione, da parte degli stati, di vincoli di carattere costituzionale sulla gestione della spesa pubblica, per rassicurare i mercati finanziari.
In sostanza, l’Europa ha deciso di rispondere alla crisi con una chiara scelta di campo: l’austerità, la stessa che ha probabilmente prodotto i danni che hanno portato ala situazione in cui ci troviamo.
Il neoliberismo infatti è divenuto progetto politico egemone, riuscendo a creare un tale consenso politico su certe misure da farle sembrare “tecniche” ed eliminare qualsivoglia critica dal dibattito pubblico, il tutto tramite il cappello dei governi tecnici e le grandi coalizioni.

E allora, in conclusione, penso che in un mondo che la globalizzazione ha reso più piccolo ma non meno soggetto alle enormi disuguaglianze e contraddizioni che da sempre governano incontrollate il susseguirsi della storia, ritengo sia utile fermarsi a riflettere su quello che è stato, sugli errori commessi e sulle possibili vie d’uscita a questa ennesima crisi economica, sociale e politica che sta caratterizzando ormai da troppi anni il nostro paese e il mondo intero. Ritengo ci sia bisogno di rimettere in discussione tutto, di affermare con forza che destra e sinistra esistono ancora e che, come testimoniano le esperienze politiche fuori dall’Italia, una nuova Sinistra popolare, radicale e di governo è possibile!

Ritornando all’inizio della mia riflessione, ricordo che la canzone si concludeva con “per fare tutto ci vuole un fiore”, e allora almeno prendiamo tutti un fiore, sediamoci a guardare il panorama di fronte a noi, sia esso un centro urbano, l’orizzonte del mare o le vette di una montagna, immaginiamoci l’Italia che vorremmo da qui ai prossimi vent’anni guardandola con gli occhi dei più deboli e di chi è in difficoltà, analizziamo le cause che ci hanno portato ad essere in questa situazione e scriviamo qualche idea, mettiamole insieme e da li partiamo, con coraggio e a testa alta!

Commenti