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Ciampi, uomo di Stato dalla tempra non comune

Stamane, a quasi 96 anni, è morto un grande uomo di Stato, Carlo Azeglio Ciampi.
Livornese e laureato in lettere e filosofia alla “Normale” di Pisa, dopo la guerra, si laurea in giurisprudenza.
Dopo l’8 settembre 1943, Ciampi rifiutò di aderire alla RSI, rifugiandosi, in Abruzzo, dove trovò il maestro Guido Calogero, condannato al confino. Nel 1944, con un gruppo di persone, fra cui lo stesso Calogero ed altri antifascisti, da Sulmona si mise in marcia per raggiungere gli Alleati e la brigata Majella. Il diario di quella traversata fu donato da Ciampi stesso al liceo scientifico di Sulmona, in una sua visita per l’inaugurazione de “Il sentiero della libertà“. Dopo una breve militanza nel Partito d’Azione, Ciampi non ha più aderito ad alcun partito.

Entrato in Banca d’Italia nel 1946, ne diviene Capo del Servizio Studi, Direttore generale e Governatore dal 1979, dopo una delle storie più brutte dell’Italia del dopoguerra: l’attacco forsennato della parte più oscura della politica e della magistratura romana al Governatore Paolo Baffi (un gigante dell’Italia repubblicana) e al suo braccio destro Mario Sarcinelli. Una vicenda che lo segnò profondamente. Con le sue straordinarie doti di diplomatico (erano i tempi di Craxi, Andreotti e Forlani, mica dei “miracolati” di oggi), nei suoi 14 anni da Governatore, Ciampi riporta ai massimi livelli l’autorevolezza della Banca. Sotto il suo impulso, nel 1981 viene siglato il ‘divorzio’ tra Tesoro e Banca d’Italia che non è più obbligata ad acquistare i titoli di Stato. Per sconfiggere l’inflazione, altissima in quegli anni, era necessario combatterne le cause e la spesa pubblica fuori controllo era una di queste. All’epoca Ciampi scriveva: “Il ritorno a una moneta stabile richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della Banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito. Prima condizione è che il potere della creazione della moneta si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa”.

Da Presidente del Consiglio (1993 – 1994) guida un governo di transizione: tecnico e di ‘pronto intervento’, col compito di salvare la reputazione della politica screditata dagli scandali di ‘Mani Pulite‘. Come oggi ha fatto qualcuno, indegno del ruolo che occupa, da alcuni esponenti del Governo Berlusconi del 1994 ricevette attacchi meschini sulla sua carica di Governatore onorario, che non comporta alcun ruolo o potere.

La tempra di Ciampi è stata sempre fuori dal comune. Tornato al governo a capo dei tre dicasteri economici nel governo Prodi (fino all’ottobre 1998) e in quello D’Alema (fino al maggio 1999), fornì un contributo fondamentale alla partecipazione dell’Italia all’euro, sin dalla sua creazione. In particolare, va ricordata la manovra di bilancio del settembre 1996 che ha abbattuto di oltre 4 punti percentuali il rapporto deficit/PIL, cioè il parametro di Maastricht allora di più arduo conseguimento per l’Italia. Con Helmut Kohl, amico di lunga data, Ciampi è uno dei padri della moneta unica. In una intervista alla Stampa di qualche anno fa dichiarò in proposito: “Helmut Kohl aveva le idee chiare e modi di intervento adeguati e decisi. Fummo noi, insieme, a permettere il decollo della moneta unica e dell’Europa quando si trattò di fare l’euro».

Nel 1999 venne eletto alla prima votazione e con larga maggioranza Presidente della Repubblica.
Nella nuova veste, cercò di trasmettere agli italiani il sentimento patriottico del Risorgimento e della Resistenza, rappresentati dall’Inno di Mameli e dal tricolore. Ciampi, come Sandro Pertini, ebbe sempre un alto indice di gradimento popolare, con una media nei sondaggi tra il 70 e l’80% (persino gli elettori del nord-est leghista gli assegnavano due terzi di consensi), rimanendo sempre la figura nella quale gli italiani riponevano piena fiducia.

Come Pertini e poi Napolitano, pure Ciampi assistette a una finale di calcio dell’Italia; era infatti presente allo stadio di Rotterdam nella sfida di Euro 2000, ma, a differenza degli altri due Presidenti, non ebbe modo di portare in Italia la Coppa.
Nel discorso agli italiani di fine anno 2005 Ciampi sintetizza così il suo ruolo di Capo dello Stato: “L’essere chiamato a rappresentare l’Italia, a essere garante della sua Costituzione, l’ho vissuto non solo come un altissimo mandato, ma soprattutto come un dovere, una missione. Per questo ho voluto abitare, con mia moglie, sin dal primo giorno, nel Quirinale: da sette anni è la mia casa, la casa del presidente della Repubblica, la casa degli italiani“. Fondamentale in tutta la sua vita l’apporto affettuoso, discreto e costante della consorte, signora Franca Pilla.

Ho conosciuto Ciampi nel mio quarantennale lavoro in Banca d’Italia. Il suo sguardo mite, il suo sorriso celavano tuttavia un carattere di ferro. Era generoso e gentilissimo, mai alzava la voce, però non tollerava slealtà e cattive azioni. Premiava i migliori, sapeva mandare avanti i giovani talenti, ma non c’era modo di recuperare la sua fiducia in caso di dolo. Tra i suoi collaboratori il “delfino” (sul quale concordava tutta la dirigenza) era Tomaso Padoa Schioppa. Doveva essere lui il successore ma i politici della Prima Repubblica gli preferirono Lambero Dini, poco amato in azienda in quanto esterno imposto dalla politica dopo le dimissioni di Baffi e Sarcinelli. Ciampi tenne duro e alla fine venne trovata una soluzione di compromesso con la scelta di Antonio Fazio.

Ciampi concluse molto bene bene la carriera in Banca d’Italia; all’interno, eravamo tutti convinti che stesse iniziando per lui una onorata pensione. Iniziò invece la sua stagione più luminosa, quella del Ciampi uomo di Stato, nella quale raccolse i frutti della sua tenacia, della sua capacità di scegliere i migliori e del metodo di lavoro appreso nei precedenti quarant’anni di attività.

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