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Cogito, ergo voto! Le motivazioni individuali e collettive alla base del comportamento elettorale

Le elezioni costituiscono la massima espressione della partecipazione democratica. Le scelte degli elettori determinano gli equilibri tra gli attori politici, la selezione della classe dirigente del Paese e l’individuazione delle priorità da porre al centro dei lavori parlamentari. Il fenomeno elettorale assume un’evidente rilevanza non solo se si osservano gli outputs, ossia ciò che il voto produce, ma anche gli inputs, vale a dire l’insieme dei fattori alla base del voto stesso, che consentono di valutare in un senso più ampio il rapporto tra rappresentati e rappresentanti e quindi la qualità di un sistema democratico nel suo complesso.

Uno studio sul comportamento elettorale di particolare interesse è stato effettuato da Luigi Di Gregorio (1) , il quale ha individuato quattro tipologie di voto: il voto ideologico, il voto di scambio, il voto populista/carismatico e il voto di opinione. Tale classificazione deriva dall’incrocio delle variabili riportate rispettivamente sull’asse verticale e su quello orizzontale della fig. 1: chi vota e per chi si vota. Il termine citizen identifica il cittadino che esprime la preferenza a seconda delle proprie considerazioni personali, mentre people indica una comunità di elettori, ossia una identificazione collettiva; il consenso elettorale, invece, può manifestarsi sia nei confronti di una forza politica (party) che di un attore individuale (leadership).

Fig. 1 – La classificazione del comportamento elettorale effettuata da Luigi Di Gregorio

Il voto di appartenenza (quadrante in alto a sinistra) si è sviluppato in concomitanza del successo dei partiti di massa, nati dalle grandi fratture sociali dei secoli scorsi. Si tratta della forma di voto più stabile, spesso ereditata in famiglia e caratterizzata da un forte collante ideologico alla base del processo di socializzazione, che funge da visione del mondo più o meno organica.

Il quadrante in basso a destra si riferisce al voto di scambio (patronage), dove la motivazione dell’elettore è legata al conseguimento di un interesse immediato. Questa tipologia di voto, in cui la figura del politico si contraddistingue sicuramente per una maggiore “tangibilità”, si afferma principalmente nelle aree periferiche ed assume un peso piuttosto rilevante nelle elezioni amministrative oppure nei sistemi elettorali che prevedono le preferenze o i collegi uninominali. Si tratta di un voto “micro-personale”, come indicato da Mauro Calise (2) , in quanto si rivolge ad un capobastone del partito o ad un notabile.

Il voto “macro-personale”, al contrario, è proprio dei leader carismatici o populisti che stabiliscono un legame diretto con l’elettore e gestiscono il consenso attraverso l’uso intensivo dei mezzi di comunicazione di massa e dei sondaggi (polling). Come affermato Luigi Di Gregorio, «si tratta di una nuova forma di votazione per affezione, non più verso il partito ma verso il leader» (3) . Il caso più rappresentativo di questo fenomeno è dato senza dubbio da Forza Italia e dal suo leader Silvio Berlusconi. È interessante notare come il “voto alla persona” sia condizionato dal sistema elettorale e più precisamente dalla dimensione territoriale della competizione. Di fatto, le preferenze e i collegi uninominali spostano l’attenzione sul politico che ha maggiore visibilità sul territorio, mettendo in secondo piano il carisma del segretario del partito. Non a caso l’ascesa di leader forti a livello nazionale è stata accompagnata dall’introduzione di formule elettorali caratterizzate da listini bloccati ossia dall’impossibilità di scegliere il proprio parlamentare e di indentificarsi con esso.
L’ultima tipologia di voto riguarda il voto di opinione o voto di scelta (quadrante in basso a destra), basato su una valutazione razionale dei diversi programmi (policy) che i partiti intendono implementare una volta vinte le elezioni. Questo comportamento comporta un alto livello di incertezza, la variabilità nel tempo e la forte esposizione alla congiuntura politica. Inoltre, esso presuppone la presenza di un cittadino attivo, capace di esaminare dettagliatamente le differenti proposte, senza incorrere nelle semplificazioni demagogiche fatte dai mezzi di comunicazione.

Le diverse tipologie di comportamento elettorale non sono totalmente alternative tra loro, sebbene siano strettamente connesse alle trasformazioni organizzative dei partiti. Infatti, il successo della Lega permette di dimostrare come alla base del voto possano coesistere diverse motivazioni. La presenza del leader carismatico riveste un aspetto determinante: l’abilità mediatica di Salvini ha permesso al suo partito di estendere il proprio bacino di consensi oltre le regioni settentrionali. Tuttavia, questo non basta per definire la Lega come un “partito personale”. A differenza di Forza Italia, che ha avuto una organizzazione piuttosto flessibile e basata prevalentemente sulle risorse patrimoniali del suo fondatore, la Lega conserva alcuni aspetti strutturali dei partiti di massa. Non a caso è la forza politica italiana più longeva. Non è da sottovalutare neanche l’aspetto della micro-personalizzazione. La riproposizione di parte del ceto politico dei partiti tradizionali di destra, soprattutto a Sud, ha consentito alla Lega di sopperire ai propri limiti organizzativi e alla difficoltà di selezione della classe dirigente.

L’elemento ideologico si ripresenta in maniera nuova, alimentato dalle fratture sociali scaturite dalla crisi della globalizzazione che coinvolgono un elettorato trasversale ed interclassista, in un contesto politico caratterizzato da maggiore frammentazione partitica e volatilità elettorale. In questo terreno emergono pienamente le differenze con il Movimento 5 Stelle. La Lega ha una cultura politica ben definita (seppur geneticamente modificata), in linea con quella delle destre occidentali. Elabora una proposta coerente con la propria identità, incentrata su determinate issues, dall’immigrazione alle politiche fiscali. Il M5S, al contrario, è un “partito pigliatutto” che intercetta la protesta senza incanalarla in un progetto politico.

Quanto al Partito Democratico, occorre prendere in considerazione il rapporto tra le motivazioni di voto da parte degli elettori e le sue trasformazioni organizzative. La vocazione maggioritaria ha significato il superamento delle ideologie dei partiti di massa che lo hanno costituito, piuttosto che la maturazione di una dialettica tra le diverse anime. L’allontanamento dai suoi valori ha reso il Pd incapace di affrontare la sfida identitaria lanciata dalle destre e di interpretare la radicalizzazione dello scontro sociale, con la conseguenza di disorientare la propria base.
Lo svuotamento ideologico ha coinciso solo in parte con l’approdo al “partito liquido”, caratterizzato dalla centralità della leadership, dalla flessibilità sia degli apparati intermedi sia dei programmi. Di fatto, come già detto in precedenza, il carisma del leader è ostacolato dalle figure del capocorrente e del notabile, ossia da parte di coloro che vantano un maggiore radicamento territoriale e una gestione diretta dei consensi.

L’analisi delle tipologie di voto, dunque, è indicativa delle diverse modalità con cui il cittadino si rapporta con la “cosa pubblica”. Sebbene alla base sussistano elementi antropologici, tale scelta è condizionata anche dagli stessi partiti. Ad essi è assegnato il difficile compito di orientare il comportamento degli elettori secondo una prospettiva culturale, piuttosto che cavalcare gli istinti e le pulsioni emotive di un individuo ormai privo di riferimenti valoriali.

[1] L. Di Gregorio, Election, sub voce in M. Calise e T. J. Lowi, Hyperpolitics. An Interactive Dictionary of Political Science Concepts, Chicago, Chicago University Press, 2010.

[2] M. Calise, Il partito personale, Roma-Bari, ed. Laterza, 2000.

[3] L. Di Gregorio, Election cit.

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