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Come ritrovare il colore dei territori

Si può dire che la Toscanarossa” è finita? E perché è finita? Che eredità ne rimane? E’ possibile “recuperare” l’eredità politica della Toscana come “regione rossa”? E’ solo “nostalgia” di un tempo oramai passato?
Se ne è discusso in un incontro organizzato da IRPET e Regione Toscana. L’occasione è stata la presentazione di “Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea” di Marco Almagisti. L’incontro ha visto un’ampia presenza di pubblico, raccogliendo evidentemente un bisogno diffuso di tornare a parlare di politica e di prospettive: per la Toscana, per i partiti, per una nuova idea di sinistra.

Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’Irpet, nell’ introduzione ha ricordato l’economista Giacomo Becattini, recentemente scomparso: Becattini, fondatore dell’IRPET, ha aperto la via alla conoscenza del rapporto tra sviluppo economico, politica e territorio, valorizzando il ruolo del “capitale sociale”. Ossia, il tessuto di relazioni fiduciarie, di cultura civica, di solidarietà che caratterizza la cultura politica di un territorio. Ed e’ questo il tema centrale nel libro di Almagisti: coordinati da Antonio Floridia, responsabile dell’Ufficio e dell’Osservatorio elettorale della Regione Toscana, ne hanno discusso, insieme all’autore, Mario Caciagli, professore emerito di scienza politica all’Università di Firenze, Ilvo Diamanti, docente all’Università di Urbino, studioso e analista dell’opinione pubblica e delle sue trasformazioni, e il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi.
Almagisti analizza il rapporto politica e territorio nella storia italiana e in modo comparato in quella di due regioni, la Toscana rossa e il Veneto bianco. Regioni nelle quali i partiti di massa, PCI e DC, hanno avuto un ruolo fondamentale nell’ancorare grandi masse popolari alla democrazia e alle istituzioni repubblicane, e nel costruire quel legame tra istituzioni e cittadini che si è rivelato fondamentale anche ai fini dello sviluppo economico e sociale di questi territori.
Soprattutto in Toscana, la costruzione di questo “capitale sociale” ha trasmesso un prezioso bagaglio di partecipazione e di cultura civica. Ma la domanda che ci si può porre oggi è inquietante: in che misura la Toscana è ancora caratterizzata dalla cultura politica e da questa eredità?

Questo patrimonio di valori di cultura e di identità collettiva sembra oggi investito da un forte senso di disorientamento, privo di punti di riferimento: soprattutto, sembra esser venuto meno quell’anello di connessione, il partito, che ha costituito un pilastro della tenuta e dello sviluppo del territorio. Rimane in Toscana un forte tessuto associativo, e una diffusa adesione ai valori della solidarietà, ma questo tessuto non trova più un adeguato rapporto con la politica e le istituzioni.

Nella foto: Enrico Rossi, presidente della Toscana, Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’Irpet, Ilvo Diamanti, docente all’Università di Urbino, durante la presentazione del libro di Marco Almagisti “Una democrazia possibile”

E’ un’eredità importante che rischia di disperdersi in una fase politica quanto mai caratterizzata dal centralismo e da un diffuso disorientamento ideale. Mario Caciagli ha ricordato come la democrazia in Italia sia stata possibile proprio per la presenza dei partiti di massa che, con le loro diverse subculture (“rossa” e “bianca”: “sub” va inteso come “sotto-insieme” di una più ampia dimensione nazionale), hanno svolto il ruolo di collettori di capitale sociale, favorendo la crescita dei territori, della cultura politica e del tessuto sociale. Di quelle culture, dice il professor Caciagli, oggi non resta nulla. La politica è disorientata, la democrazia impoverita, la qualità della vita sociale minacciata. I valori che hanno costituito i pilastri fondanti di queste due esperienze, uguaglianza, solidarietà, pace, accoglienza, emancipazione femminile ci sono ancora ma non hanno più un colore politico, non hanno più norme di appartenenza comunitarie, politiche.

Ilvo Diamanti riparte da questo punto e va oltre: nella situazione attuale vede una “desertificazione” della società intermedia, con i partiti svuotati, non più in grado di svolgere un ruolo di mediazione sociale tra la società e chi governa, e di formare e selezionare la leadership. E anche i sindacati e le associazioni hanno perso la loro capacità di rappresentanza.
Non c’é più un “colore” dei territori. Un dato elettorale lo dimostra: per la prima volta nel 2013 il M5S è primo o secondo partito in tutto il paese, senza differenze territoriali. E anche il risultato del PD di Renzi alle europee del 2014 lo dimostra: il partito si afferma anche nelle zone tradizionalmente bianche, una volta inaccessibili culturalmente ad un partito che fosse stato percepito come un erede del PCI.

Dopo la “democrazia del pubblico”, dopo la televisione, siamo oggi nella società dei social media, dove il pensiero non ha tempo di fermarsi, di riflettere ma è twittato mentre si parla. La fotografia della società oggi vede i partiti sostituiti dalle persone, e l’organizzazione della televisione, prima, e dai social media poi. Mancano i ruoli intermedi: siamo in un mondo in cui le persone sono sempre in contatto ma sempre di fatto sole, una società sempre più liquefatta in cui solo sindaci e governatori sono gli unici soggetti che riescono ad avere un ruolo.
Di fronte a tutto ciò, nondimeno, aggiunge Diamanti, resta pur sempre una domanda e un bisogno di politica, e di una politica legata al territorio.
Così, accade oggi che i Presidenti del Veneto e della Toscana risultino come “i governatori” più popolari e apprezzati: questo accade perché riescono a “capitalizzare” e a interpretare la tradizione di cultura politica delle loro regioni. Ma “personalizzare” una tradizione significa conservarla? E’ questa la riflessione che Diamanti pone ad Enrico Rossi?

Il Presidente della Toscana, raccoglie la “sfida”, come dimostra il suo libro, “Rivoluzione socialista”. Rossi rivendica che il fatto che quella tradizione di cultura politica che ha caratterizzato la Toscana rossa, non può dirsi esaurita, e in qualche caso ha saputo rinnovarsi; continua ad essere un filo conduttore e permette di includere, di esprimere solidarietà, accoglienza. Ma tutto ciò è sottoposto ad una forte tensione, al rischio di una “desertificazione” del tessuto intermedio che si manifesta anche in Toscana. Come dimostra la presenza e la diffusione di forze populiste che poi hanno generato risultati elettorali imprevisti anche in quelle che una volta erano roccaforti della sinistra.
Anche per Rossi il nodo centrale è quello del ruolo che la politica deve tornare ad avere.
Non può essere una politica concepita come rapporto tra leader e popolo, un “popolo” a cui il leader parla attraverso i media. Questo modello apre la strada al populismo, alla rivolta, alla ribellione, al rancore. La politica ha bisogno di ascolto, di ricostruire legami. E anche per questo sarebbe importante avere leggi elettorali che non creino ulteriori scollamenti.
C’è bisogno di politica, c’è bisogno di discussione, c’è bisogno di una ridefinizione di luoghi nei quali definire la rappresentanza, di spazi nei quali esprimersi. Se questo non accade, aggiunge Rossi, “sono molti i rischi che corriamo”: la politica ha accentrato, ha perso il ruolo di direzione e ha rinunciato all’ideologia come capacità di interpretare i processi in funzione dei propri orizzonti, come capacità di mobilitare forze ed energie. La mancanza di ideologia è la nuova povertà della politica. Recuperarla, secondo Rossi, non significa tornare al passato, ma guardare al futuro, ponendosi domande alle quali una nuova politica seria deve dare risposta. Un partito che non sia un sistema di potere ma un “sistema di incivilimento” di un territorio, come è stato storicamente il partito che ha governato la Toscana rossa.
L’autore del libro da cui è partita la discussione, Marco Almagisti, docente di scienza politica all’Università di Padova, nell’intervento conclusivo, parte proprio dalla necessità di ribadire il ruolo dei partiti come strumenti indispensabili per la democrazia, con l’obiettivo di recuperare la “disintermediazione” che caratterizza oggi la società italiana. E sottolinea come il capitale sociale di una regione come la Toscana esiste ancora, non si è disperso, anche se spesso interpretato da nuove forme di attivismo sociale.

Non ci sono sistemi democratici che possano reggere in mancanza dei partiti. Il ruolo di mediazione è necessario, la proposta destrutturata non è vincente. La sfida che si apre, e che la politica deve raccogliere per conservare la sua cultura ed identità, è proprio quella di recuperare i propri valori, tornare a parlare con il territorio, essere capaci di interpretarlo. Le ideologie, secondo Almagisti, non sono morte, sono in crisi i loro “tradimenti”, della disinvoltura con cui si è pensato di poterle abbandonare o farne a meno. Ci sono importanti segnali (dagli Stati Uniti con Bernie Sanders, all’Europa con Hamon, Podemos e Syriza) che forse qualcosa sta cambiando. Che sia il turno dell’Italia?

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