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Contro la Grande coalizione. Kevin Kühnert e i millennial della SPD

Traduzione dell’articolo di Kevin Kühnert pubblicato su Le Monde con il titolo “Kevin Kühnert : «La social-démocratie doit renoncer au néolibéralisme»” (5 aprile 2018). Kühnert è presidente dei Jusos (la giovanile dell’SPD) e uno dei principali oppositori della Große Koalition.

Il futuro della socialdemocrazia resta da scrivere. […]

Tutti i suoi partiti possono rivendicare una tradizione vecchia di svariati decenni. Tutti hanno governato il proprio paese per molti anni, spesso con successo. Hanno costruito dei sistemi sociali e organizzato l’accesso all’istruzione. Hanno reso più umano il mercato del lavoro e conquistato i diritti per le donne. Hanno garantito la pace e aiutato l’Europa a rafforzare i suoi legami. In breve, hanno lasciato il segno su tutta un’epoca in questo continente.

Ma oggi […] non si vota più un partito in nome dei successi ottenuti in passato, per quanto eclatanti possano essere. E i partiti non hanno nemmeno più la vocazione alla vita eterna: la loro utilità deve essere giustificata in qualunque istante. Negli ultimi due decenni, la socialdemocrazia ha avuto sempre più difficoltà nello svolgere questo compito. […]

Dalla fine degli anni ’90, è una socialdemocrazia lacerata internamente che deve portare avanti questa lotta. Lacerata perché la leadership dei partiti che la rappresentano decise allora che era necessario portare in una nuova era questo movimento politico forte di una tradizione storica. L’8 giugno del 1999, Gerhard Schröder e Tony Blair presentarono il loro testo intitolato “La terza via”. La loro tesi: in questa era di globalizzazione in cui i processi politici diventano più complessi e opachi, occorre trovare una nuova via tra il neoliberismo e la socialdemocrazia classica. In breve: i leader della sinistra politica europea proposero di essere, da quel momento in poi, meno di sinistra.

E così un’intera famiglia di partiti ha intrapreso la strada di un cambiamento fondamentale del suo programma. Questi partiti hanno deregolamentato i mercati del lavoro perché era stato spiegato loro che questo avrebbe garantito la competitività internazionale. Hanno privatizzato parti essenziali dei sistemi pubblici di sicurezza sociale perché si erano auto-convinti che le organizzazioni private erano in grado di fare meglio. Hanno smantellato lo Stato risparmiando sul personale e sopprimendo molti elementi che, secondo i criteri dell’economia di mercato, non erano redditizi. […] In breve: la socialdemocrazia ha ceduto al neoliberismo, che aveva consacrato anni a scavarsi testardamente un percorso nel cuore della politica europea e che dà la stessa risposta a tutte le domande: il libero mercato.

Oggi è difficile valutare se un’inversione politica di rotta da parte della socialdemocrazia sia ancora possibile. […] Per un buon secolo e mezzo, la sua forza è stata quella di mantenere intatti dei valori universali in un mondo che cambia e renderli sempre applicabili, alla luce del progresso tecnologico e sociale. Questo processo si è fermato e richiede un riorientamento fondamentale. La socialdemocrazia deve trovare il coraggio di trasformare i suoi valori senza tempo – l’uguaglianza, la libertà e la solidarietà – e una sufficiente fiducia in se stessa per portarli in una nuova era.

La pusillanimità degli ultimi anni ha aperto delle falle che i populisti di destra, tra gli altri, sono stati in grado di sfruttare abilmente. Quando la socialdemocrazia ha smesso di parlare del valore del lavoro e della redistribuzione della ricchezza, questi hanno iniziato a parlare di rifugiati e identità nazionali. Ci siamo lasciati imporre l’agenda dell’estrema destra politica. E l’impressione ha finito per essere che le migrazioni e il ritorno alle nazioni fossero i temi centrali della nostra epoca.

In realtà, i temi della sinistra politica non sono cambiati e sono visibili a tutti. Ogni giorno aumentano le disuguaglianze nella redistribuzione della ricchezza. Grandi porzioni della forza lavoro non ottengono praticamente alcun profitto, poiché i salari reali diminuiscono e la tassazione della ricchezza e dei patrimoni è bassa in una maniera ridicola. La digitalizzazione implica un cambiamento fondamentale nel mondo del lavoro, ma fino a oggi, nella maggior parte dei casi, questa beneficia solo i datori di lavoro, che possono contattare i propri dipendenti in qualsiasi momento, monitorare e ottimizzare il loro lavoro. Gli organismi privati non hanno fatto meglio del pubblico e hanno fatto regredire i nostri sistemi di sicurezza sociale. Un numero spaventoso di persone sta peggio rispetto a vent’anni fa. Questi sono tutti temi su cui la socialdemocrazia, in un mondo globale, non può fornire risposte puramente nazionali. L’Europa ha bisogno, anche prima delle elezioni europee del 2019, di un’idea comune su come ridistribuire meglio la nostra ricchezza. […]

Il rinnovamento della socialdemocrazia si basa su due pilastri. Uno: deve essere pronta a riconoscere e correggere i propri errori. Nessuno vota per coloro che pensano di sapere tutto meglio di chiunque altro, e nessuno si aspetta che noi abbiamo già le risposte a tutte le domande. Due: occorre riacquisire la capacità di provare un’indignazione sincera di fronte alle ingiustizie sociali, capacità che molti di noi hanno perso col tempo. La socialdemocrazia oggi ha padronanza dei decreti e delle leggi, ha interiorizzato il lavoro che viene svolto nei ministeri. Ritrovare quel sentimento d’indignazione è una parte fondamentale del compito che abbiamo davanti. Oggi abbiamo perso in gran parte la visione emozionale della politica, senza la quale la socialdemocrazia è impensabile. Non dobbiamo vendere dei prodotti: dobbiamo difendere i valori più nobili che le nostre società hanno da offrire. Sarebbe bello se potessimo tornare a essere fieri di fare politica.

(Foto: Oliver Dietze/dpa)

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