CRIVELLO1

Cosa è successo a Genova e perché riguarda tutta la sinistra

Ho vissuto le elezioni amministrative genovesi da spettatrice interessata. Tanto per chiarirci, i miei interessi, oltre a quello dell’accademica che analizza la realtà per capire se le proprie teorie hanno un qualche fondamento, erano di sincera passione politica per molti compagni che conosco da tempo, che mettevano in gioco un nuovo progetto politico e per il protagonismo in quest’ultimo di un compagno un po’ speciale. Come ogni elezione locale generalizzarne meccanismi ed esito per considerazioni nazionali è quantomeno improvvido ma una riflessione si impone poiché le Politiche si avvicinano e sia il centrosinistra sia la sinistra devono trovare una qualche configurazione elettorale. Il caso di Genova aiuta a capire le motivazioni di fondare quest’ultima su processi sociali reali e non solo sui desiderata dei leader e delle componenti civiche, politiche e personalistiche dei diversi attori in campo.

1. La Coalizione di centrosx
Da tempo vado ripetendo che il “centrosinistra” per come lo abbiamo conosciuto è una stagione terminata. Esso si fondava, infatti, su un compromesso fra capitalismo e lavoro (per sintetizzare) che non esiste più, travolto dalla globalizzazione finanziaria, sulla concezione di riforma a margine dei funzionamenti di un sistema economico che, tuttavia, è ormai largamente insufficiente per mitigare le diseguaglianze crescenti e strutturali e la buona salute di una classe media che sta, invece, scomparendo, impoverendosi e inclinando verso l’astensione e il voto di protesta in conseguenza di questo peggioramento delle proprie condizioni materiali e immateriali.

Tuttavia non è altrettanto chiaro cosa e come dovrebbe sostituirsi una nuova composizione delle forze alternative al neoliberismo. Il caso di Genova in questo senso è peculiare e lontano dallo scenario nazionale.
La scelta della candidatura a Sindaco di una personalità storicamente appartenente al PCI, più tardi indipendente, mai membro del PD, ottimo amministratore (il dato del 9% della sua lista conferma il giudizio di enorme popolarità presso la cittadinanza) hanno consentito al grosso della sinistra politica di sostenerlo: oltre al PD, una lista composta da MDP+Genova che osa (una parte della ex rete a sinistra), associazionismo cittadino e personalità provenienti dai corpi intermedi (es. ARCI). Una coalizione classica di centrosinistra a sostegno di un assessore uscente della giunta Doria. Sinistra Italiana, Possibile, Rifondazione e l’altro pezzo di Rete a Sinistra hanno scelto di confluire nella lista dell’ex grillino Putti, fuori dalla coalizione.
Uno schema insomma profondamente diverso da quello Paita/Pastorino delle regionali e che rispetto a quello sembra restaurare una tendenza più antica, “pre” renziana.

2. Il Centrodestra di Toti e le molte stelle dei grillini
Sensibile alle esigenze dell’unità del centrodestra e forte dell’aver espugnato una roccaforte rossa alle regionali, Toti ha orchestrato una coalizione altrettanto classica e compatta: tutti i partiti (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) schierati a sostegno di un manager. I risultati elettorali parlano di una parte minore di Forza Italia che è confluita nell’astensionismo (alto, 50%), di una crescita di Fratelli d’Italia e di un risultato complessivo molto positivo nel primo turno, trainato dai faccioni di Salvini appesi dovunque in città e la personalità comunicativamente brillante di Toti. Incredibilmente, nel centrodestra anche i partiti piccoli sanno stare in coalizione senza smarrirsi ma anzi rivendicando una propria identità.

Dal punto di vista nazionale, la riaffermazione complessiva del centrodestra a modello tradizionale in queste amministrative dovrebbe impensierire e non poco chi ha fondato un’intera campagna mediatica per il proprio progetto politico sull’idea che Renziandasse” con Berlusconi: se il Cavaliere si staccasse dal PD o viceversa, costoro si ritroverebbero per le mani una creatura politica che non ha senso di esistere dal punto di vista del posizionamento politico. Altra cosa sarebbe la presa di coscienza, auspicabile seppur tardiva e pure ancora così remota fra la dirigenza del centrosinistra, del fatto che Berlusconi sarebbe stato opportuno combatterlo politicamente invece che per via giudiziaria o, peggio, rallegrarsi della sua caduta ad opera della Merkel. Non può stupire sia ancora politicamente vivo e vegeto in assenza di avversari all’altezza del compito prima dell’opposizione e oggi di una proposta politica alternativa.

Quanto ai Cinque Stelle, l’antefatto grillino è noto: Grillo scomunica Cassimatis, impone Pirondini con un “fidatevi di me”, Cassimatis fa una lista propria che risulta in un disastroso 1% e i grillini perdono 11 punti percentuali rispetto alle regionali del 2015. Dove vanno quei voti? Il grosso va in astensione, “a casa!”, dove i grillini volevano mandarci le vecchie classi dirigenti – che invece sono ancora tutte ma proprio tutte al loro posto.

3. I Flussi a sinistra
Stando ai dati dell’Istituto Cattaneo di paragone dei flussi con le politiche 2013:

– dalla sinistra (sel+riv.civile) i voti vanno in egual proporzione a Crivello centrosx che a Putti ex grillini. Il grosso (più dei due sommati) in astensione
– il Pd perde qualcosa a favore dell’astensione e riconferma uno zoccolo duro
– il centrodx nel complesso tiene
– i grillini perdono qualcosina a favore del centrodx e molto nell’astensione, dei voti in uscita uno 0.5 va al centrosx e uno 0.8 a Putti ex grillino

L’istituto Cattaneo non analizza i flussi per lista all’interno del centrosx ma i risultati (“Genova Cambia” 1.3%, “A sinistra” 3.03%, Pd 18%, lista Crivello 9%) possono far azzardare un’ipotesi:
– il PD dalle regionali 2015 scende ulteriormente di 6 punti. Questi 6 punti non trasmigrano verso “cose” alla sua sinistra. Di nessun genere.

– Infatti, larga parte di coloro che già non votarono il centrosx ligure alle regionali del 2015 NON sono stati intercettati dalla lista A Sinistra che pure vedeva impegnati direttamente o indirettamente esponenti di primo piano del mondo ex (sinistra del) PD. La scissione in molti tempi è sicuramente una delle ragioni: il “popolo” del PD (lettura più volte veicolata dagli stessi D’Alema e Bersani) ha lasciato il partito e smesso di votarlo molto prima della scissione ufficiale dei gruppi dirigenti (fatto salvo il caso di alcune personalità quali Civati, Cofferati, D’Attorre, Fassina). È verosimile che il voto per la coalizione a sostegno di un buon candidato di chi non voleva votare PD si sia riversato sulla lista civica di Crivello stesso, quasi ignorando quella alla sua sinistra.

Il clima nazionale non aiuta: in tempi di disintermediazione politica e di atomizzazione della società la spinta nazionale incide moltissimo sulle vicende locali, giustificare una coalizione col PD poche settimane dopo la sua scissione non è semplice; ancora meno semplice è accreditarsi come esponenti di una linea politica che stenta ad emergere nel rimbalzarsi di interviste e convention nelle quali il dialogo serrato fra personalità e leader (o presunti tali) non lascia emergere il progetto di paese che può fare da traino a tutte le configurazioni locali dei soggetti politici di sinistra, valga questo per il voto amministrativo o per una campagna adesioni del tesseramento sui territori. Se la prospettiva non è chiara l’elettorato nel dubbio non vota la “cosa a sinistra” vicina al PD né quella lontana dal PD ma altrettanto poco decifrabile (cosa assolutamente comprensibile su scala locale poiché la configurazione di lista civica porta ad un certo tasso di indeterminatezza politica, ma imperdonabile se dovesse replicarsi sul nazionale).

– L’unione della sx rossa – termine di comodo – con quella che – sempre per comodità – chiameremo arancione (sul modello della lista A Sinistra che infatti era fuxia), per quanto necessaria e auspicabile (così come con quella verde e altre anime), non può esser fatta a freddo ma deve seguire un lungo percorso di discussione programmatico-politica e di innovazione delle prassi democratiche con disponibilità a modificare le proprie da entrambe le parti. Infatti, se la priorità della sx arancione è di confermare alcune buone prassi amministrative, un elettorato altamente istruito e tendenzialmente benestante, confermando un orientamento prioritariamente liberal e cosmopolita (su temi quali diritti civili, immigrazione ecc.), l’obiettivo di quella rossa deve primariamente (salvo accettazione di prossima definitiva scomparsa) ritrovare un insediamento sociale popolare o, quanto meno, di classe media duramente provata dalla crisi. Gli “arancioni” hanno verosimilmente spostato moltissimo voto di opinione in alcune zone e trainato la lista con grandi capacità di comunicazione e personalità, e i rossi hanno battuto con la militanza nel tentativo di recupero di un elettorato tradizionale organizzato in altre, determinando dove sono stati presenti risultati positivi. Tuttavia questo significa che l’organizzazione e la dimensione partitica sono tutt’altro che superate ma anzi si rendono necessarie e imprescindibili seppur non esaustive.

– Se esiste un posto dove l’alleanza col PD non si sarebbe dovuta pagare questo è proprio Genova: un Pd con ancora forti sacche di resistenza non-renziana, una tradizione di sinistra salda e ancora viva. Il che, però, significa che la situazione può solo peggiorare: astraendosi dalla città di Genova e dai casi locali, nei quali era giusto provare e sarà giusto insistere, non esiste un “mercato elettorale” (a meno che non si consideri tale il 3%) per una proposta politica a metà fra la responsabilità e l’opposizione al sistema, fra il neoliberismo addolcito da diritti civili e filantropia, e la difesa del lavoro come valore e nelle sue condizioni materiali, fra la compiacenza rammaricata con questo sistema economico e il tentativo di reinsediamento sociale e quindi elettorale. Si può farne una questione “etica” di opposizione ad un sistema che provoca enormi sofferenze, ma anche, più prosaicamente, una questione di sopravvivenza. Le nostre classi dirigenti a questo giro si salvano solo se fanno la cosa giusta: una piattaforma radicale e alternativa, una costruzione democratica di un soggetto politico non effimero e non meramente elettoralistico, una visione di medio periodo e di scopo che permetta di formare nuove classi dirigenti e un minimo di radicamento territoriale (tuttavia quest’ultimo, fondandosi sulla credibilità, non può prescindere dal primo punto ossia il ricambio della classe dirigente, senza rottamazioni ma con senno e discernimento).

4. L’astensione
Tuttavia, questi dati raccontano dinamiche diverse nelle varie aree geo-politiche del paese. Le diminuzioni più significative della partecipazione si osservano, infatti, nelle regioni del Nord (sia a est che a ovest) e del centro “rosso” (Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria). Per la precisione, nel Nord-est la partecipazione cala di 7,7 punti percentuali, nel Nord-ovest di 7 punti e nelle regioni “rosse” di 7,5 punti. Nel centro-sud, invece, l’aumento del non-voto è molto più contenuto, soprattutto al Centro, dove il calo è “solo” di 4 punti (al Sud del 4,9). È utile osservare, inoltre, che l’affluenza continua ad essere significativamente maggiore nelle regioni del Sud e del Centro rispetto a quelle del Nord, incluse quelle regioni “rosse” considerate un tempo la terra del civismo e della diffusa partecipazione politica.

È politicamente scorretto dirlo ma è anche nozione a disposizione di chiunque faccia politica quella per la quale il calo di partecipazione a Nord segnala anche il calo di un elettorato maggiormente di opinione, meno ancorato a reti “personali”. La proposta politica non soddisfa nel suo complesso ma, ancora più preoccupante, è il diffondersi della convinzione della sostanziale indifferenza rispetto al vincitore della contesa elettorale, ormai bloccato fra vincoli di bilancio asfissianti e da decisioni prese in contesti non democratici extra istituzionali o a livello sovranazionale. La disaffezione colpisce quindi anche la figura del Sindaco, tradizionalmente molto amata e riconosciuta dai cittadini come “vicina” oltre che esponente di un’identità dal rimando campanilista propria dell’Italia.

Da qui l’esigenza per la sinistra di un cambio radicale non solo di policies, con una proposta che vada effettivamente ad aggredire i problemi del contesto economico sociale (es. dire che si vuole investire per creare occupazione senza dire che per farlo ci si dovrà scontrare con Berlino-Bruxelles significa prendere in giro gli elettori, e questo ormai loro lo capiscono bene persino fra quelli senza rudimentali nozioni di macroeconomia), ma anche di politics: cioè delle modalità di coinvolgimento e partecipazione della cittadinanza, in particolare delle giovani generazioni. Le stanche ripetizioni di formule politicistiche quali “fermare la destra” in un contesto di sostanziale perdita dell’ancoraggio ai valori dell’antifascismo e della democrazia, “fare argine ai populismi” in uno scenario politico nel quale anche il centrosinistra per lungo tempo ha lasciato che solo i populismi contestassero lo status quo che è quello di un sistema sbagliato che va a detrimento delle classi medie e popolari, determinano il disinteresse alla politica di tutti coloro che si sentono svantaggiati dallo stato di cose presente.

La battaglia che si deve costruire è innanzitutto per qualcosa; certo: di marcata discontinuità e, quindi, anche contro qualcosa, ma quel qualcosa sono la globalizzazione finanziaria, il cambiamento climatico, la svalutazione del lavoro, la devastazione dello scenario mediorientale ecc. non alcuni esponenti politici di quelle ideologie, come quella del neoliberismo, del qualunquismo e della xenofobia, che vengono in questo momento combattuti più in quanto personalità che non come portatori di valori e proposte alternative a quelle di giustizia sociale e socialismo necessarie.

La lezione di Genova non è sovrapponibile a questioni nazionali ma è un monito importante per chi sta pensando alle strategie politiche in un orizzonte più esteso. Ci sono cose che non si possono più sbagliare.

Nella foto di copertina: Una manifestazione elettorale di Gianni Crivello

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