Voto_Abruzzo11

Cronaca di un disastro annunciato

Il risultato delle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale in Abruzzo è stato salutato dalle mie parti, politiche non geografiche, in modo sostanzialmente positivo, benaugurante. Il pur ottimo Legnini, candidato alla presidenza per il centrosinistra, ammettendo che confidava in un risultato migliore, non ha saputo resistere alla frase must dal 4 marzo 2018 in poi: “ il centrosinistra riparta da …”. L’Abruzzo, in questo caso. Regione che deve al momento disciplinatamente mettersi in coda a Riace, il IV Municipio (se non sbaglio) di Roma, Brindisi, ecc. E pure a Sanremo, inteso come festival e al suo vincitore Mahmood.

Io mi permetto di dare un’altra chiave di lettura di questo risultato: è stato un disastro e bisogna ripartire da altro. Quel 30% circa è la somma di otto liste presenti in coalizione. Il PD raccoglie un misero 11%, Liberi e Uguali galleggia sotto il 3, la lista che fa direttamente riferimento al candidato presidente e una civica regionale, quindi non riferibili ad alcun partito o movimento, insieme superano il 10% dei consensi.
Smentito anche Totò e le regole elementari dell’aritmetica perché in questo caso la somma non fa il totale
e, infatti, il Movimento 5 Stelle con dieci punti percentuali in meno porta a casa sette consiglieri a fronte dei cinque del centrosinistra.

Ora, di grazia, da cosa ripartiamo? Quale insegnamento o monito dovrebbe arrivare dalla terra di Ignazio
Silone? Di unità? No, perché a questo appuntamento elettorale siamo arrivati in ordine sparso, sparsissimo.
Non solo rispetto al dato puramente numerico delle liste in lizza, ma anche della loro omogeneità politica.
Se “centristi per l’Abruzzo” e, ad esempio, Liberi e Uguali (a proposito, non per insistere, ma Art. 1 dove si era nascosto, in quale lista? Comunque, si è nascosto benissimo!) possono pure trovare un’intesa sul
marchio DOP per gli arrosticini, come la mettiamo a livello europeo e/o nazionale su alcune questioni
inerenti i diritti civili o, peggio mi sento, sociali? La mettiamo come l’ha messa Prodi per un paio di volte, male. E’ vero che le prossime elezioni europee rappresenteranno uno spartiacque tra populismo sovranista reazionario e un’idea di Europa diversa ma ancora più unita. E allora dalla lezione abruzzese traiamo un insegnamento minimo: meno maoismo e più pragmatismo tecnico-politico. Se mai qualcuno avesse velleità di marciare divisi per colpire uniti, tenga a mente le percentuali di cui sopra e, soprattutto, il numero di consiglieri che hanno prodotto. Perché il problema sarà non solo quanta massa critica sapremo opporre a leghisti e grillini, ma quanti parlamentari manderemo a Strasburgo per fare lì massa critica, dove serve.

Se dovrà essere il fronte calendiano, o un’altra lista che metta insieme progressisti, liberal democratici,
ambientalisti e cattolici, con tutto il mondo dell’associazionismo ad essi collegato, non lo so. Avrei voluto
già saperlo, vista l’imminenza delle elezioni, ma siamo donne e uomini di sinistra e non riusciamo a vivere
senza il brivido, senza l’emozione dell’ignoto. Che non è proprio la nostra storia, quanto piuttosto una
predisposizione relativamente recente, diciamo. Speriamo, quindi, che il prossimo 4 marzo (giorno che
seguirà le primarie PD) sia meno sfigato di quello dell’anno scorso e che ci svegli da questo stato semi
catatonico a cui ci siamo condannati e si inizi a discutere sulla scelta presumibilmente migliore. Perché poi, superate anche le europee, qualsiasi sia il risultato conseguito dai singoli o dagli “aggregati”, rimane
sempre sospesa la questione delle questioni: riuniamo la sinistra rinnovandola o lasciamo le cose come
stanno? Custodiamo gelosamente identità sbiadite se non inutili o iniziamo un percorso radicalmente
nuovo? La facciamo o no questa benedetta e necessaria, indefettibile, Costituente della Sinistra?

Chi ha avuto la pazienza e, soprattutto, il coraggio di leggermi qualche volta, penserà che sia ossessionato
da questo argomento. Voglio rassicurarlo: sì, sono ossessionato. Due, a questo punto. sono le prospettive:
o mi legano ad una camicia di forza e mi imbavagliano o si andrà inevitabilmente incontro ad una nuova
catastrofe. Ma alle catastrofi della sinistra, in Italia e nel mondo, corrispondono pericoli catastrofici per la democrazia. La posta in gioco è troppo alta per permettersi il lusso di sottovalutarla.

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