I maggiori quotidiani nazionali hanno dato larghissimo spazio, com’era prevedibile, all’intervista di Matteo Renzi da Floris su La7. Intervista e non più confronto vista la inopinata defezione di Luigi Cuor di Leone Di Maio. Se mai ci fosse stato qualcuno che, all’indomani delle elezioni siciliane, sperava in qualcosa di nuovo, un accenno di riflessione critica, sarà rimasto sicuramente deluso.
Le cause dell’ennesima sconfitta del PD, che Renzi continua a negare, sono derubricate a fattore regionale, a disputa localistica, che non ha e non avrà nessuna ripercussione a livello nazionale. Stranamente, però, il valore parziale delle elezioni vale solo per il suo partito, perché per gli “scissionisti” varrebbe esattamente il contrario: hanno fallito, non c’è stata alcuna “rivoluzione comunista”. Per quanto possa sembrare strano, sono disposto a dargli persino ragione. Su questo aspetto, comunque, torneremo dopo. Per il momento rileviamo, a lato di cotanta dichiarazione, che proprio ieri ricorreva il 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Giambattista Vico, l’avrebbe avvertito sui corsi e ricorsi storici.

Ad ogni modo, la narrazione renziana si è sviluppata sugli stessi temi di sempre, con il consueto corollario di bugie. La più grave è quella dei 986 mila posti di lavoro di cui il 71% a tempo indeterminato. Sinceramente non sappiamo quali siano le sue fonti, noi ci rifacciamo a quelle istituzionali che ci dicono, e lo ricordava ieri Enrico Rossi all’Assemblea nazionale di Art. 1, che quasi il 90% dei nuovi contratti di lavoro variano tra il precario e il precarissimo. La restante parte sarà effettivamente a tempo indeterminato solo dopo trascorsi tre anni dalla sottoscrizione. Così, giusto per ricordarlo. Il tutto alla modica cifra di 26 miliardi di euro (52 mila miliardi del vecchio conio) in sgravi per le aziende. Soldi, giusto per ricordarlo, finiti nei profitti e non negli investimenti.
Di conseguenza, rivendica Matteo, “ci vorrebbe un altro Jobs Act”.

Se poi subito dopo affermi che per le prossime elezioni politiche punti ad una coalizione ampia che vada dai centristi a quelli che hanno fallito l’assalto al Palazzo d’Orleans (sede della Presidenza della Regione Sicilia), è inevitabile che qualcuno si senta preso per i fondelli. Lo schema che ci pare il PD, o quanto meno la maggioranza che lo governa, vorrebbe proporre è il seguente: le politiche del governo dei mille giorni, le sue presunte riforme, non vanno messe in discussione anzi, riproposte. A fronte di tanta generosità, più d’uno di loro si stupirebbe di un eventuale rifiuto ad allearsi da parte di MDP. In effetti se esci dal PD perché vuoi una netta discontinuità con certa visione delle politiche economiche e del lavoro di cui questo partito si è fatto promotore, perché mai non dovresti andare alle elezioni e dire alla nazione: “signori, abbiamo scherzato. Volevamo prenderci una breve vacanza politica, ma ora è tutto a posto”?.
In realtà da Renzi non arriverà mai una seria proposta politico-programmatica. Queste dichiarazioni, queste presunte e piccolissime aperture, non sono altro che tatticismi tutti interni al PD e al suo gruppo dirigente e vorrebbero incidere sui fragili equilibri interni (anche nella stessa area renziana) che il voto siciliano rischia di far deflagrare.

Nella foto: L’assemblea nazionale di Articolo Uno-MDP al Centro Congressi Cavour di Roma

Piuttosto ieri, cosa quasi tralasciata dai maggiori quotidiani, si è svolta a Roma l’Assemblea Nazionale di MDP (nel link il documento approvato: https://articolo1mdp.it/rassegna-stampa/cambiare-litalia-assemblea-nazionale/)
Non poteva non essere affrontato l’esito delle elezioni siciliane. Ribadisco qui quanto ho dichiarato ieri in assemblea.
Il voto siciliano non mi ha affatto soddisfatto, ma proprio per questo sono contento. L’apparente paradosso si spiega con il fatto che quell’enorme spazio politico, di cui anche ieri parlava Roberto Speranza (ottima la sua relazione), che non ha rappresentanza, facciamo ancora fatica a coprirlo. Al netto della specificità che le elezioni amministrative hanno, occorre rilevare che non vi è simmetria tra i voti persi dal PD e quelli guadagnati da MDP i suoi alleati. Avere, quindi, la consapevolezza che il nostro cammino per cercare di occupare quello spazio non sarà affatto semplice ma, come acutamente mi suggeriva Carmine Dipietrangelo, sarà una faticosa traversata nel deserto, può essere da viatico per un cambio di velocità, non solo nella tempistica ma nella proposta politica.
Estremamente positivo e prezioso, dunque, il lavoro di Guglielmo Epifani che dovrà essere la base programmatica del Movimento. Questo documento ci impone di passare, per rimanere all’interno della metafora cinematografica, dai “Cento Passi” ai “7 minuti”, il bellissimo film di Michele Placido.
Occorre entrare nella carne viva dei problemi e elaborare proposte chiare e suggestive. Occorre che quello spazio vuoto sia riempito dall’indicazione di un orizzonte concreto.
Certo simbolismi evocativi non bastano, il richiamarsi ai valori del socialismo, mi ha bacchettato Pierluigi Bersani, non porta di per sé consensi. Occorre essere più assertivi.
Sono comunque convinto che si possa, e si debba, essere allo stesso tempo evocativi ed assertivi. I due concetti si tengono tranquillamente insieme. Per una politica che torni ad emozionarci.

Nella foto di copertina: Matteo Renzi negli studi de La7.

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