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Dalla repubblica dei partiti alla partitocrazia quasi senza partiti

Nei giorni scorsi Sabino Cassese ha dedicato alle gravi difficoltà della nostra democrazia un articolo di fondo sul “Corriere della sera” che spiega e denuncia “il declino (ignorato) dei partiti“. Quell’aggettivo messo pudicamente tra parentesi spiega, se non tutto, molto. Perchè coloro che più “ignorano“, e magari si compiacciono di questo stato di cose, sono proprio coloro che dovrebbero guidare quei partiti o quel che resta di essi.

Il quadro Cassese lo descrive bene ed è sotto gli occhi di tutti con le piazze urlanti di Salvini e dintorni, la piattaforma Rousseau dei Cinque Stelle e il Pd che prepara un nuovo Statuto, secondo il quale gli iscritti discuteranno le tesi politiche (forse nelle sezioni che al momento non hanno sedi,e quindi più probabilmente su qualche piattaforma digitale) per poi far scegliere il segretario nazionale e altro dal cosiddetto popolo delle primarie, cioè da chi si recherà ai gazebo e pagherà i due euro o poco più di rito. Più che uno statuto sembra un disincentivo alla militanza. Ma le cose stanno proprio così visto che, come ci ricorda il fondo del “Corriere della sera” l’altro segno “della crisi dei partiti come organizzazioni sociali sta nella sostituzione delle vecchie macchine con un uomo solo al comando“.

E’ questa della drastica riduzione del peso dei partiti la peggior eredità che ci ha lasciato la fine della Prima repubblica, stagione di mani pulite compresa. Certo i partiti in quegli anni passati andavano anche ben oltre le loro funzioni: Si pensi alla lottizzazione selvaggia negli enti pubblici e altrove. La polemica contro la partitocrazia era il più delle volte fondate. Ma oggi cosa ci ritroviamo? Dei partiti che contano sempre di meno e che non vogliono neanche essere chiamati partiti. E un numero ristretto di persone (gli uomini soli al comando) che con lo scudo ora di una piattaforma digitale o per conto di un mandato del popolo (?) dei gazebo continua a fare il bello e cattivo tempo in materia di nomine.

Come dire: i partiti non ci sono più o quasi ma la partitocrazia c’è come prima e peggio di prima. E osserva Cassese: “Proprio quando tutti i partiti si appellano al mitico popolo, il popolo si allontana dai partiti e il loro rapporto si esaurisce in qualche immagine televisiva di adunate oceaniche“. E così, quasi senza accorgercene, alla liquidazione dei partiti tradizionali ha fatto riscontro la fortissima diminuzione dei cittadini che vanno a votare. Nella repubblica dei partiti (la definizione è nel titolo di un bel libro di Pietro Scoppola) le urne erano piene, in quella dei gazebo e delle piattaforme digitale ad essere affollati sono solo gli studi televisivi con talk show che si susseguono a ripetizione.

E allora? Che fare? Io penso che sarebbe dovere di quelli che oggi interpretano il ruolo che fu dei partiti (“la democrazia che si organizza” secondo la definizione di Togliatti) affrontare senza indugio questo tema anzichè ignorarlo. Una volta quando i congressi si facevano con i delegati e non con i gazebo, una buona parte delle mozioni o tesi era dedicata al tema del partito. Oggi questo argomento è fuori dalle discussione degli organi dirigenti, ammessi che ce ne siano e si riuniscano per discutere prima e deliberare poi.

Eppure l’articolo 49 della Costituzione parla chiaro: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale“. Potrebbe essere questo il punto dal quale ricominciare a provare ad essere di nuovo partiti. Come lo erano quelli della vituperata prima repubblica che si chiamavano socialista, comunista, liberale o democratico cristiano ed avevano simboli riconoscibili politicamente (scudo crociato, falce e martello, sole nascente) e non riferimenti prevalentemente botanici (quercia e ulivo). Si dirà che erano i tempi delle ideologie. E’ in buona parte vero. Ma quelli di oggi non sembrano i tempi delle idee forti. Anzi di idee e programmi se ne vedono pochi. E il loro posto è stato preso da corse a posizionamenti e riposizionamenti per prendere un po’ di voti di qua e di là. Quasi che al trasformismo delle persone si sia aggiunto e sostituito il trasformismo delle idee, Quello di partiti che, magari in nome del fatto che visto che destra e sinistra non ci sono più, non vogliono più essere considerati tali.

Insomma: bisogna ricominciare proprio dai partiti (anche ripristinando con coraggio un chiaro e trasparente finanziamento pubblico) evitando che al loro declino si accompagni quella che sarebbe una vera eclissi della politica.

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