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I doveri del centrosinistra

– Da pochi mesi, a Milano, si è concluso Expo 2015. Un’occasione di livello mondiale per qualificare l’Italia come paese di eccellenza per il proprio paesaggio, per i prodotti alimentari e per la sua capacità di competere con il resto del mondo puntando tutto sulla qualità della propria offerta. Il rapporto tra gli strumenti che l’uomo si è dato per gestire l’ecosistema in cui vive e l’alimentazione nasce da un elemento fondamentale che li accomuna: il territorio e la sua gestione. Le amministrazioni locali e nazionali che, in primis, operano scelte di assetto ed uso del territorio, di gestione dei rifiuti, del ciclo idrico o di spazi per le attività produttive, devono contemperare anche obiettivi di tutela dell’ecosistema e delle produzioni alimentari, in un’ottica di bilancio.

Un bilancio a due dimensioni: una derivata dall’impatto ambientale ed economico che, nell’immediato, deriva dalle scelte compiute nel presente e l’altra che, invece, deve necessariamente assumere una prospettiva temporale (la freccia del tempo), valutando  quali conseguenze avrà, nei prossimi decenni, la decisione politica di oggi. La qualità del paesaggio, la sostenibilità energetica o gli effetti climatici sono, infatti, elementi strettamente collegati all’alimentazione. Quanto più saremo chiamati a dimostrare la qualità dell’ecosistema in cui si vive e si produce un bene di consumo, sempre più tale requisito diventerà uno degli elementi della competizione a livello globale.

A chi amministra, alla politica, spetta la redazione di programmi che abbiano questa visione di lungo periodo. In questa logica, molto concreta ed agganciata all’organizzazione dei servizi pubblici locali, possiamo parlare di gestione dei rifiuti, del trasporto pubblico, dell’acqua o dell’energia come di Beni comuni.

In queste settimane si sta discutendo di due grandi temi, la gestione dell’acqua e la politica energetica. La prima viene posta sul tavolo da alcune forze politiche (Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle) che, a seguito di un percorso che ha prodotto una proposta di legge, hanno chiesto di stabilire che l’acqua possa essere gestita solo da soggetti pubblici. Il secondo tema è invece sollevato dalle Regioni, che hanno deliberato la richiesta di poter sottoporre al voto alcuni quesiti referendari in materia di trivellazioni ottenendo dalla Corte Costituzionale l’ammissione di uno di questi referendum, che si svolgerà il 17 aprile.

Si tratta di Beni Comuni. E’ “comune” il destino degli individui sottoposti ad un’unica gestione del servizio idrico, è “comune” l’aria che peggiora quando non si investe in un servizio di trasporto pubblico efficiente e sono “comuni” i corsi d’acqua o i mari dove arrivano i nostri scarichi fognari o dove si svolgono le attività di ricerca. E’ un bene comune il paesaggio del Mar Adriatico, quello che porta ogni anno milioni di turisti (capaci di generare un indotto immenso di posti di lavoro). E’ un bene comune la difesa della pesca e la fauna marina che trasformiamo in alimenti di qualità.

Il Partito Democratico, la principale forza di centrosinistra del paese, sul tema dell’acqua ha sostenuto che non sia né possibile né corretto definire un modello per legge. Sul referendum, che blocca il rinnovo automatico e senza valutazioni ambientali le trivellazioni entro le 12 miglia marine dalla costa, ha invece comunicato la propria scelta di astenersi.

In entrambi gli argomenti la posizione del principale Partito di Governo ha aperto un dibattito interno ed esterno molto rilevante: a soli 5 anni dai referendum su acqua e nucleare il PD assume posizioni che nel secolo scorso sarebbero state definite “industrialiste”, sconfessando anche 8 Consigli Regionali – a maggioranza PD – che si erano schierati per il NO al rinnovo automatico delle concessioni per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi. Oltre ai limiti di natura ambientale ed ai vincoli che gli investimenti sulle fonti fossili generano sulla politica energetica di un paese, esiste un rilevante problema di concentrazione delle risorse e delle decisioni. La ricerca e l’estrazione di idrocarburi, a differenza della produzione diffusa di energia e del risparmio energetico, aumenta gli oligopoli e rafforza la posizione dominante di chi, in passato, ha ottenuto concessioni e realizzato investimenti.

E’ questa politica che ha reso la bolletta energetica del nostro paese una delle più care in Europa sia per i cittadini che per le imprese. Di fronte ad un argomento di questa portata, per quanto il quesito referendario sia stato reso monco da interventi parlamentari dell’ultimo minuto e dalla scelta della Corte Costituzionale, l’astensione è un errore politico che in futuro potrebbe produrre effetti catastrofici. Sembrano passati secoli da quando uno degli ultimi segretari dei Democratici di Sinistra (che non a caso fu anche il primo del PD), citando Don Milani, proponeva un’etica pubblica fondata sull’impegno civile: I Care, me ne faccio carico. Un’alternativa al “me ne frego”, tanto di moda nel Ventennio.

In materia di acqua, invece, sembra che l’atteggiamento del PD come principale forza di Governo dal 2011 in avanti, sia andato in direzione completamente opposta al referendum del 2011. Sono stati creati limiti normativi e finanziari alle aziende pubbliche che gestiscono questi servizi, sono state incentivate le aggregazioni e favoriti – di fatto – i processi di privatizzazione e di uscita dalla sfera pubblica. In sostanza si è fatto l’esatto opposto di ciò che prevede il diritto europeo: la possibilità, per le comunità locali, di scegliere tra più modelli. Pensiamo solo a cosa possa significare , in termini di danno all’immagine ed all’economia di una nazione, avere le principali città turistiche di mare non balneabili perché, come avvenuto in diverse realtà europee che hanno scelto la privatizzazione, non si sono costruiti i depuratori sufficienti, o dover affrontare un’emergenza dovuta ad un incidente in una piattaforma di estrazione di petrolio o di gas a pochi chilometri dalla costa in piena estate.

Proprio per questa ragione il discorso ambientale e l’evocazione, quasi spirituale, di una salvaguardia del Creato (concetto che si può tradurre, più laicamente, in quello di tutela dell’ecosistema) hanno solidissime connessioni con la gestione politica ed amministrativa dei servizi pubblici locali e di attività a mercato come la distribuzione dell’energia. Serve studio e serve coraggio. Il coraggio, per chi guarda a sinistra, di mobilitare l’opinione pubblica spiegando la complessità di questi argomenti e tracciando una rotta capace di riattivare l’impegno delle persone. Il voto al SI nel referendum del 17 aprile, il promuovere un’iniziativa parlamentare per una legge sull’acqua (non limitandosi a dire No agli unici che hanno fatto delle proposte) sono strumenti per disegnare quel tracciato per il futuro e costruire un’alternativa credibile e lungimirante alla convenienza politica del presente.

Lo dobbiamo alle future generazioni, lo dobbiamo a chi leggerà la politica di oggi con le lenti della storia. Le uniche lenti possibili, quando parliamo di risorse naturali.

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