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Di spread si parla meno, ma non è sparito e rimane un rischio reale per l’Italia

Da qualche giorno si parla meno di spread. Questo solo perché, anche per effetto delle dichiarazioni più tranquille degli esponenti di vertice del Governo 5Stelle-Lega, l’indice è ridisceso sotto quota 300 (a metà mattinata di oggi 6 novembre però stava a 299).

Eppure, è proprio la stabilizzazione dello spread in area 300 a rappresentare una circostanza fortemente negativa per il “sistema Italia”, in quanto va a certificare il reale rischio paese, cioè al netto degli attacchi speculativi e/o delle uscite roboanti anti euro e anti Europa. Una situazione, come rilevato recentemente dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che può costare 40 miliardi in più nel prossimo triennio per maggiori interessi sul debito pubblico (5 miliardi nel 2019, 12 miliardi nel 2020 e 22 miliardi nel 2021). Esattamente quanto viene stimato in questi giorni per mettere in sicurezza il territorio da terremoti esondazioni e frane.

Questa impennata stabile nei tassi, secondo l’opinione di Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeyer, espressa in un interessante articolo pubblicato su La Voce.info , potrebbe annullare gli effetti espansivi della manovra, bocciata dalla Commissione Europea.(https://www.lavoce.info/archives/55700/la-manovra-italiana-un-caso-di-espansione-fiscale-restrittiva/)
Nello studio dei due economisti, anche ipotizzando un moltiplicatore particolarmente generoso dei (pochi) investimenti programmati, l’effetto composto di un deficit del 2,4% (teorico) e del rialzo dei tassi di interesse, produrrebbe, in luogo di un aumento del PIL nel 2019 dell’1,5%, stimato dal Governo, addirittura un calo dello 0,1%.

Purtroppo, queste previsioni – discutibili come tutte le costruzioni teoriche – iniziano a trovare diverse conferme.
Nei giorni scorsi, infatti, l’Istat ha rilasciato la stima provvisoria dell’andamento del PIL del terzo trimestre che ha dato crescita zero. Un risultato determinato dalla stasi dei consumi interni e delle esportazioni, di un calo importante della produzione industriale, compensato da una crescita dei servizi. Il tutto accompagnato dal primo calo, dopo un lungo periodo di crescita, degli occupati complessivi.
Oggi Markit economics (una società indipendente tra le più autorevoli a livello mondiale che sviluppa indagini) ha pubblicato la stima del mese di ottobre dell’indice dei direttori acquisti delle imprese del settore dei servizi che vede in Italia – a differenza degli altri paesi oggetto della rilevazione – una prima esperienza di contrazione dopo una lunga crescita. L’improvviso calo si è verificato in concomitanza col rallentamento degli ordinativi dopo una sequenza di 44 mesi di espansione. Nel frattempo, le società dei servizi continuano a subire una compressione dei margini di profitto con prezzi di vendita diminuiti per il nono mese consecutivo, mentre i costi operativi sono sensibilmente aumentati.

Come rilevato per l’industria, in Italia le aspettative nei servizi segnano contrazione per la prima volta da maggio 2016, con l’indice che cala da 53,3 del mese di settembre 2018 a 49,2 di ottobre. Da notare che un valore inferiore a 50 indica contrazione.
La fiducia delle imprese, per Markit economics, si mantiene ancora buona e molti si augurano di assistere a un rialzo degli ordini e dell’attività. Ma il livello di ottimismo è inferiore ai valori medi dell’anno passato, col 10% delle aziende che si attende una contrazione dell’attività nei prossimi dodici mesi.
Se i dati negativi dell’industria potevano risentire della frenata dell’automotive e di altri settori, per i servizi il problema è ben più grave essendo l’Italia, l’unico paese in Europa a passare in contrazione nell’arco di un mese.

Un’ulteriore conferma arriva dalle stime preliminari dei prezzi dell’Istat di ottobre, in base alle quali l’indice nazionale dei prezzi al consumo, registra una variazione nulla su base mensile, con una “inflazione di fondo” (al netto cioè dei prezzi dei prodotti energetici e degli alimentari freschi) ferma al +0,8% su base annua.

Insomma, le aziende di tutti i settori stanno vivendo una fase di incertezza crescente con forti pressioni sui margini di guadagno causati dalla debole domanda e dall’aumento dei costi (soprattutto energetici). Questo riduce la creazione di posti di lavoro in tutte le imprese, con una reazione già vista nel 2008, di non sostituire i pensionati, di non rinnovare i contratti a tempo determinato e cercando di far fronte alla comanda coi miglioramenti della produttività.

In un quadro così in evoluzione, la legge di stabilità mostra palesemente tutti i suoi limiti: la crescita 2019 appare sempre più irrealistica; con una crescita bassa o nulla, mandare precocemente le persone in pensione produce soprattutto disoccupazione, dal momento che le imprese non sostituiranno nella stessa misura la manodopera in uscita (a spese delle casse pubbliche); né sembra eticamente corretto ed economicamente sostenibile dare una mancia di cittadinanza ai giovani, disincentivando ulteriormente il lavoro regolare.

I problemi dell’Italia sono il debito alto e la crescita bassa. Ridurre il debito, come detto tante volte, riduce il costo per interessi e migliora la sua sostenibilità. Aumenta la credibilità di un paese che finora non ha dato buona prova di sé in questo campo, avvicinando lo spread a quello medio europeo. La crescita va stimolata non solo con gli investimenti pubblici e privati, ma anche con interventi a costo (economico) zero, ma elevato in termini di consenso – che rendano l’Italia più competitiva ed appetibile ai capitali stranieri.

Quello che manca è una vera lotta alla criminalità, alle mafie, all’evasione, alle illegalità di ogni tipo. E poiché si parla, spesso a sproposito, di giustizia, una vera riforma del processo civile, la certezza di vedersi riconosciuti i propri diritti in un tempo ragionevole e un maggior controllo del territorio, rappresentano la precondizione essenziale per colmare il differenziale negativo di sviluppo rispetto a quello dell’Eurozona.

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