Pd

E allora Congresso

Secondo Matteo Orfini, le elezioni anticipate si giustificherebbero con la circostanza che la sconfitta referendaria del 4 dicembre scorso rappresenterebbe la fine di una stagione politica, quella delle riforme costituzionali e, quindi, la necessità di avviarne una nuova. Posizione assolutamente condivisibile ma, oggettivamente, monca. Se, infatti, una stagione politica si è conclusa, su quali basi programmatiche se ne dovrebbe aprire un’altra? La riflessione sulla sconfitta (sulle sconfitte), su alcuni errori e limiti dell’azione di Governo, sul fatto che larghe fasce di elettorato storicamente collocato a sinistra non vede più nel PD alcun riferimento politico e ideale, anzi lo ritiene addirittura il principale responsabile della propria marginalità economica e sociale, non andrebbero discusse e affrontate nell’unica sede naturale e cioè un congresso?

Sono stati proprio Renzi, Orfini, il sindaco di Milano Giuseppe Sala a porre l’esigenza della riflessione, non solo la minoranza interna. Oggi, tutto sembrerebbe svanito. Complice una singolare sentenza della Corte Costituzionale che, per la prima volta nella storia della Repubblica, non solo ha annunciato gli effetti del proprio pronunciamento prima della pubblicazione delle motivazioni(la presunta “auto applicazione”), ma si è sostituita al legislatore indicando nel “sorteggio” il metodo di scelta, per i capilista candidati in più collegi, per l’opzione del collegio prescelto. Non eccependo, pare, la costituzionalità dell’elezione di candidati in virtù dell’indicazione dei partiti e non dell’elettorato, smentendo se stessa allorquando rilevò, tra gli altri, proprio tale profilo di incostituzionalità nel “Porcellum”.

L’attuale maggioranza del PD, dunque, pone noi, il Parlamento, il Governo, il Paese e il Presidente della Repubblica, difronte a un bivio, pone un incomprensibile ed inaccettabile ultimatum: disponibilità massimo entro il prossimo marzo ad adottare il “Mattarellum” come legge elettorale; trascorso inutilmente tale termine, alle elezioni entro giugno con l’Italicum così come decimato dalla Consulta. Una domanda e due considerazioni, una di carattere tecnico e una di carattere politico.
La domanda: chi ha stabilito e quando che si andrà alle urne a Giugno o, comunque, prima della scadenza naturale della legislatura? Vi è stata una deliberazione della Direzione o di qualsiasi altro organismo dirigente del PD in tal senso?
Considerazione tecnica, ma con chiare connotazioni politiche. Nessuno dei due sistemi elettorali potrà garantire governabilità ma, entrambi, inevitabili grandi coalizioni. L’Italicum è stato ridotto a mero sistema proporzionale puro. A meno che qualcuno non creda davvero che ci possa essere una forza politica che alla Camera, da sola, perché al Senato è possibile coalizzarsi, raggiunga il 40% e relativo premio di maggioranza. Il “Mattarellum”, potrebbe garantire governi più o meno coesi ed omogenei se, all’interno di ciascun collegio elettorale, si realizzassero accordi di “desistenza” e quindi, forze politiche alleate, individuassero un candidato comune su cui far convergere i propri voti. Prospettiva, questa delle alleanze, non solo difficile nell’attuale fase politica, ma espressamente respinta da Renzi e dalla maggioranza di partito che lo sostiene.

Infine, pur volendo accettare lo schema e la strategia renziana, il candidato premier lo si sceglie? Occorrerebbe, si presume, che l’Assemblea nazionale del PD approvi una modifica regolamentare che preveda primarie di partito e non di coalizione. E’ dietrologia, è antirenzismo pregiudiziale pensare che si voglia andare alle elezioni senza alcun passaggio congressuale per blindare l’attuale maggioranza, premiando la fedeltà dei singoli parlamentari e dirigenti in modo da garantirsi l’assoluto controllo dei gruppi parlamentari e, successivamente, del partito?

E qui entriamo in considerazioni più prettamente politiche. La “fine della stagione politica” enunciata da Orfini, altro non è che l’alibi su cui costruire la propria rivincita, garantirsi la propria continuità e un congresso, in questo contesto, rappresenterebbe un pericolo che si vuole assolutamente evitare. Perché è evidente che l’insopprimibile voglia di discutere e di contare di iscritti e militanti, la rabbia di molti per un Partito che è diventato cosa assolutamente diversa dall’incontro sul terreno della politica dei valori del socialismo con quelli del cattolicesimo democratico e del cristianesimo sociale, rischierebbe di spazzare via una classe dirigente che rivendica, ad esempio, la conquista di importanti diritti civili per le coppie di fatto, etero ed omosessuali, non avendo l’onestà politica ed intellettuale di ammettere che è stato il risultato di uno scambio il cui prezzo è stato minori diritti per i lavoratori (art. 18 e licenziamenti disciplinari, uso inappropriato ed indiscriminato di voucher.).

Si preferisce lo scontro, la contrapposizione, si accetta la prospettiva di sciagurate scissioni, piuttosto che la sintesi, il confronto in un congresso. Basterebbe leggere il volgare e ridicolo attacco del deputato pisano Federico Gelli, rivolto a Enrico Rossi per rendersene conto. Confonde, non in buona fede, caminetti con iniziative pubbliche (i comitati per il NO convocati da D’Alema) in cui lo stesso Rossi ha avuto il coraggio di confrontarsi con quanti hanno sostenuto e sostengono ragioni e soluzioni politiche, ad oggi, distanti dalle sue. Vaneggia di un presunto immobilismo che starebbe soffocando la Toscana, quando tutti gli indicatori economici e sociali dicono il contrario.
Se Gelli, e non solo, avesse voglia di capire cos’è e chi è Enrico Rossi, cosa sono e chi sono coloro che lo sostengono, il congresso nazionale sarebbe l’occasione migliore. Nell’attesa gli consigliamo di leggere non “Rivoluzione socialista” (da ciò che scrive, troppo impegnativa) ma il blog del suo mentore dai tempi degli scout. Siamo noi quelli che facciamo politica per qualcosa, non per o contro qualcuno.
Siamo noi, giusto per restare in Toscana con il suo Carlo Monni, che non ci rassegniamo ad un PD così com’è perché la natura c’insegna/sia sui monti sia a valle/che si può nascer bruchi/e diventar farfalle.

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