Dilma e Lula escono di scena

Il Carnevale della democrazia!

Siamo giunti all’epilogo di una straordinaria parentesi nella storia del Brasile, quella da tanti definita come “un esperimento rivoluzionario pacifico” del quale hanno beneficiato milioni di persone tradizionalmente escluse dalla politica, dalla cultura, dall’economia, dalla società.

Un processo di modernizzazione che si è svolto ad una velocità mai vista. Durato dieci anni, quelli dei governi Lula, continuato dal primo governo Dilma Rousseff e affossato in un tempo altrettanto breve. Dalle opposizioni, dal desiderio di riscatto delle destre. Dai media che sono riusciti a far coincidere nell’opinione pubblica l’immagine del Partito dei Lavoratori (PT) con la corruzione. Da combattere ed estirpare come soluzione contro tutti i mali del Paese. Ma anche dallo stesso partito di governo, travolto dagli scandali e forse di fronte all’”esaurimento della propria spinta propulsiva”.

Il Senato brasiliano ha votato l’impeachment nella notte di giovedì a Brasilia: 55 voti a favore, 22 contrari.

La Presidente Dilma Rousseff è dunque ufficialmente sotto stato di accusa.

Non per aver commesso crimini ma per aver “truccato” i conti dello Stato prima della rielezione, come avevano fatto anche i suoi predecessori.

E’ stata una procedura di vistosa manipolazione dello strumento dell’impeachment, architettata sapientemente in due anni di crisi del sistema, tessuta con raffinata astuzia, amplificata in modo attento ed infine utilizzata quando i tempi erano oramai maturi e la strada di non ritorno per il governo oramai segnata.

Dilma ha salutato l’assemblea con un durissimo di-scorso in cui ha definito un “golpe” la sua destituzio-ne. E poi è scesa per strada ad abbracciare e salutare migliaia di manifestanti, suoi elettori, riuniti in prote-sta davanti al Senato.
Un attentato alla democrazia, come lo ha definito la Presidente, un’ingiustizia tanto grave come quella su-bita durante gli anni della dittatura in cui è stata pri-gioniera politica.

Le ultime settimane in Brasile sono state un carnevale fuori stagione che hanno visto capitolare le alte cariche dello Stato tra colpi di scena, maschere svelate, e clamorosi provvedimenti legislativi revocati dopo po-che ore. In cui il grande accusatore di Dilma e promotore dell’impeachment, Eduardo Cunha è stato sospeso dalla Corte suprema, con voto all’unanimità, da Deputato e Presidente della Camera, per essere imputato in sei processi per corruzione e per riciclaggio di denaro sporco nell’inchiesta “Lava Jato”.

Dopo il voto del senato Michel Temer assume la pre-sidenza ad interim, per 180 giorni, dopo i quali lo stesso Senato sarà chiamato a votare sulla difesa pro-dotta dalla Presidente Rousseff.

Un Presidente nominato da un’assemblea di corrotti: il sessanta percento dei deputati brasiliano è indagato per tangenti e corruzione.

La svolta a destra è già avvenuta.

Temer ha formato il governo: tutti uomini, tutti bian-chi, undici dei quali (su una squadra di 24 ministri) appoggiavano alle elezioni del 2014 Aécio Neves, candidato dell’opposizione, battuto al ballottaggio da Dilma per pochi voti e anche lui oggi indagato per corruzione. Ecco servito un ribaltone tropicale, golpista, degno delle cronache politiche nostrane della peggior prima repubblica e colmo di un senso di vol-gare rivalsa.

Per ridurre il deficit il nuovo Presidente dovrà tagliare la spesa pubblica, gli aiuti alle famiglie, aumentare le tasse, alzare l’età pensionabile.
Manovre che saranno poco popolari, considerato che sono quelle le politiche cha hanno fatto nascere la classe media e che in molti cominciano la propria vita lavorativa a 14 anni.

La popolarità del PT è scesa in pochi anni dall’ 80% di Lula, al 65% di Dilma al primo mandato, fino ad un attuale 9%.

Eppure è stato il PT a cambiare l’agenda politica del paese a favore dell’inclusione generando un enorme stimolo all’economia a partire dal mercato interno, con la realizzazione nuove infrastrutture in tutto il paese e promuovendo politiche sociali, come Fame Zero, e Borsa Familia, che hanno permesso l’accesso alla scuola e alla sanità a milioni di persone fino ad allora sotto la soglia di povertà.

Il paese ha invertito i propri conti con l’FMI, ha creato una leadership tra i paesi progressisti dell’America latina e guidato il Mercosud.

Ci vorranno alcuni mesi perché i poveri, le classi più svantaggiate, la nuova classe media assorbano la trasformazione della politica e comprendano che i pro-grammi sociali dei quali hanno beneficiato erano precise scelte politiche di governo e non politiche dello Stato.

Nello scenario in cui si trova il Brasile oggi, in cui campioni di voti sono clown trapezisti e voltagabbana, la cultura politica della sinistra non può certo dirsi essere egemone.

La classe politica sotto accusa si è formata nella lotta alla dittatura militare, dove il mezzo di comunicazione tra il potere e il popolo era sovente l’esercito.

Oggi tra potere e popolo si schiera l’esercito dei mezzi di comunicazione ad annunciare una nuova stagione di battaglie, forse non altrettanto brutali ma non certo meno insidiose.

Dove ancora una volta il Brasile può essere laboratorio politico per far nascere dalle ceneri di questo carnevale la tensione politica e morale necessaria per combattere il degrado dilagante.

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