FOTO DI REPERTORIO..Stefano De Grandis/Lapresse.Bologna 7/9/2014.Festa dell'unit?† PD..comizio finale di Matteo Renzi..nella foto: Matteo Renzi

E’ ora di dire basta alla politica del #Ciaone

Ogni analisi fatta tra il primo e il secondo turno è parziale, dovremmo aspettare 15 giorni per avere una visione chiara e lucida.
Che il sistema politico fosse in evidente e profonda trasformazione e che sia gli eletti sia gli elettori vivessero in uno stato confusionale, era ben chiaro anche prima di queste elezioni amministrative. Con il voto di domenica ne abbiamo avuto solo una conferma.
Con questo sistema partitico è, evidentemente, sempre più difficile vincere al primo turno.

E dal lato del Partito Democratico e della Sinistra? Nei 6 comuni più importanti, il PD ha vinto al primo turno solo a Cagliari, è andato al ballottaggio a Torino, Bologna, Milano e Roma, non ce l’ha fatta a Napoli.

Dal mio punto di vista i risultati preoccupanti non sono quelli di Napoli e Roma. Nella capitale partenopea, infatti, è da anni che il Pd vive in stato comatoso, offrendo spettacoli indignitosi. Forse il partito si doveva commissariare prima! E’, inoltre, da sottolineare la sconfitta politica di Denis Verdini: l’1,42% dei consensi dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che è sbagliato allearsi con lui non solo per una questione ideologica e naturale, ma anche per semplice convenienza politica.

A Roma, al contrario, dopo gli scandali di mafia capitale, pochi immaginavano che si sarebbe riusciti ad arrivare al ballottaggio e paradossalmente, nonostante il profondo distacco con i 5 Stelle, la partita resta aperta e l’entusiasmo è alimentato da un candidato, Giachetti,  capace di appassionare e, per sua storia, anche di amministrare.

I segnali preoccupanti vengono, invece, da Torino e Bologna, dove i due candidati democratici, gtra l’altro sindaci uscenti,  Fassino e Merola non sono riusciti a convincere: a Torino Fassino ha di che preoccuparsi per l’ascesa precisa e costante della Appendino, dei 5 Stelle mentre a Bologna Merola dovrà valutare profondamente il segnale che gli hanno mandato gli elettori.

A guardare, però, bene era difficile vincere al primo turno, perché, come ho avuto modo di affermare prima, il sistema partitico non lo permette più.
In totale il Pd è al ballottaggio in 83 città contro le 54 della destra e le 19 del M5S.

E a Milano? Partirò da una riflessione in controtendenza con la maggioranza degli opinionisti. Milano non rappresenta una sfida politica nazionale, Milano non mette in difficoltà il governo in caso di sconfitta di Sala. Per due motivi:

1)Perché Renzi è un Presidente del Consiglio di un governo di larghe intese nominato dal Presidente della Repubblica per portare avanti le riforme istituzionali e strutturali, e pezzi importanti della coalizione di governo nazionale sono alleati a Milano con Stefano Parisi.
2)Perchè Milano è una città che non è storicamente una roccaforte della Sinistra e, a vederla con più lucidità, il centrodestra unito in queste elezioni non ha comunque superato il 40%.

Sarebbe facile dire che Sala non era il candidato giusto, sarebbe facile dire che Sala non è capace nell’agorà politica e che non è un uomo di Sinistra (cose che comunque pensavo e continuo a pensare), ma l’analisi da fare deve essere più profonda e accompagnata da dati reali.
Sala ha preso quasi 17000 voti in più della coalizione che lo ha sostenuto, la quale ha, inoltre, perso in 5 municipi su 9. La colpa, stando ai dati, non è solo della figura di Sala: i problemi sono strutturali e stanno all’interno dei partiti e delle liste che compongono la coalizione, ed è qui che dopo il ballottaggio, al di là di come andrà, si dovrà iniziare una seria e profonda analisi.

Per quanto riguarda le altre forze politiche in campo a Milano, risulta evidente un dato: il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord non riescono ad aumentare consensi, anzi ne perdono molti dove esiste una buona amministrazione, dove non ci sono stati scandali pubblici e dove la tensione sociale è più bassa.
Milano il centrosinistra per vincere deve mettere in campo chiaramente la squadra di Sala, la competenza e l’onestà delle persone che sono state a fianco a lui fin ad ora e che saranno protagonisti della futura amministrazione. Nella percezione dei milanesi tra lui e Parisi non c’è differenza e allora, in questa fase, la differenza devono farla anche i futuri compagni di viaggio. Meglio Salvini o Majorino? Ma basta parlare degli altri, bisogna ritornare a parlare di noi e di cosa vogliamo fare a Milano, nella Milano che va avanti a testa alta verso il futuro. Bisogna comprendere che la forte astensione del 5 giugno non è avvenuta per protesta ma per una campagna poco appassionante e stimolante tra due candidati, percepiti come uguali. Molta gente di sinistra, inoltre, non è andata a votare per dare un segnale al Pd e a Renzi. Alloracomprendiamone le ragioni, ascoltiamoli, discutiamoci e smettiamo di salutarli con un #ciaone.

Ed ora? Renzi ritorni a fare Renzi e faccia il segretario del Pd. Riprenda in mano il partito e dia una nuova direttrice all’economia del paese. E’ di queste ore l’allarme dell’Istat: “Rallenta la crescita dell’economia italiana, le imprese sono scoraggiate”. Riconnetta il Partito al suo popolo, per quanto sia possibile in 15 giorni, e comprenda una cosa ben chiara: è stato nominato dal Presidente della Repubblica  Primo Ministro di un governo di larghe intese per fare le riforme. E’ per questo motivo che non deve legare il risultato del referendum alla sua permanenza in politica. Significa che gli elettori possano scegliere serenamente nel merito della riforma e prendere in considerazione, responsabilmente, la possibilità che gli italiani indichino al Parlamento che la riforma non va bene e che, quindi, va aggiustata. In questo caso, lo stesso Parlamento avrà tempo per modificarla e risottoporla al giudizio dei cittadini entro il 2018 (scadenza naturale della legislatura).

Vorrei chiudere con un appello: alla luce di tutto quello che accade fuori dall’Italia (basta alzare, un attimo, lo sguardo perché la paura e le incertezza aumentino vertiginosamente), alla luce delle difficoltà politiche di Renzi e del futuro incerto e movimentato che ci attende, c’è bisogno di tutte le buone energie, dentro e fuori il Partito Democratico. E allora la sinistra fuori dal PD, che a queste amministrative si è resa conto che esiste ben poco spazio per incidere concretamente nel governo del cambiamento, capisca che la battaglia è dentro il PD, faccia uno sforzo di responsabilità e metta da parte i personalismi, entrando o rientrando a testa alta per lottare con le proprie idee dentro il Partito Democratico.

 

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