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Errori nella comunicazione: un comun denominatore tra le sconfitte del Pd e di LeU

Due sono stati i fallimenti più grandi di questa campagna elettorale: quello del Partito Democratico e quello di Liberi e Uguali. Le ragioni e le responsabilità sono molteplici e diffuse ma da studente di comunicazione non posso che soffermarmi su uno specifico aspetto che tanto mi affascina: quello della comunicazione, appunto.

Per riassumere sinteticamente le due opposte condizioni, che hanno però portato ad un medesimo risultato, due frasi penso siano sufficienti: il Partito Democratico ha comunicato bene le cose sbagliate e Liberi e Uguali ha comunicato male le cose giuste. Partiamo dalla prima.

La comunicazione del Partito Democratico è stata affidata alla bravissima Proforma, agenzia di comunicazione di lungo corso. Già penna di numerose campagne, tra le tante la prima riuscitissima di Nichi Vendola per la presidenza della Regione Puglia nel 2005, nonché di diverse altre tanto per il PD quanto per Palazzo Chigi. La loro comunicazione è ruotata essenzialmente attorno a due elementi: la canonica cartellonistica (rieditata anche in versione social) e due spot elettorali. La prima giocava tutta attorno ad una formula tanto semplice quanto efficace: “Vota il lavoro, scegli PD”, “Vota l’ambiente, scegli PD” e cosi molte altre. Frasi brevi, semplici, che rimanevano nella mente. Queste ponevano l’accento attorno ai temi che il Partito ha provato ad intestarsi e che, allo stesso tempo, tentavano di invertire la classica narrazione che mette al centro un Partito e poi, di conseguenza, i temi a lui cari. In questo caso la campagna strizzava l’occhio a tutti, senza focalizzarsi sull’elettorato PD. Il messaggio era chiaro: “Tieni all’ambiente? Allora vota PD”. Il voto al Partito diventa una conseguenza e quasi una necessità. Una strategia che coglieva il malessere dell’elettorato italiano nei confronti di un PD renziano ormai affaticato ma sulla quale i democratici hanno decisamente calcato troppo la mano. “Turatevi il naso e votate PD”, ha detto l’ormai ex Segretario Renzi. Non propriamente un invito a nozze.

Per quanto riguarda invece gli spot, il primo è sicuramente uno dei più riusciti degli ultimi anni. Questo (link: https://goo.gl/N7Dc8F) è ambientato in un’auto dove una famiglia composta da mamma, papà, una figlia e un figlio, parlano dell’imminente voto. “Comunque stavolta il PD non lo voto” esordisce il padre. La famiglia si schiera, invece, a favore del Partito, sottolineando tutti gli obbiettivi raggiunti dallo stesso in questa legislatura. Ne nasce un dinamico siparietto che culmina con l’entrata in scena di Matteo Renzi il quale, in bicicletta, domanda al padre ancora dubbioso: “Sicuro? Sicuro? Pensaci dai”. Il secondo video (link: https://goo.gl/aFnM5b) vede invece gli stessi personaggi, questa volta tra le mura domestiche, durante la colazione. Il padre ammette che cose buone il PD le ha fatte ma proprio non gli va giù il dibattito interno al Partito: “stanno sempre a litigare!”. Entrambi i video hanno un filo conduttore chiaro: “Pensaci”. Il primo è particolarmente efficace ed anche divertente. Il secondo invece porta ad una conclusione i dubbi amletici del padre, senza rinunciare però ad una stoccata alla minoranza interna del Partito Democratico.

In generale, quindi, una campagna riuscita e, come è consuetudine per Proforma, molto ben fatta. Il disastroso risultato elettorale però non lascia scampo e, rimanendo nell’alveo della comunicazione, il messaggio scelto dal Partito, per quanto ben comunicato, alla fine arrivava inevitabilmente a scontrarsi contro ciò che tanto voleva nascondere: il Partito Democratico. Questo, in particolare nella persona di Matteo Renzi, prima o poi saltava fuori, anche in sella di una inaspettata bicicletta. Se a ciò aggiungiamo che il dibattito politico e le prese di posizione dei dirigenti, abbiano fin troppo tirato per i capelli lo slogan (della serie “o noi o la fine del mondo”) la debacle è presto servita, ma non certo per colpa dell’agenzia di comunicazione.

Nella foto: Lo spot di Liberi e Uguali

Guardiamo ora a Liberi e Uguali. Il volto di Pietro Grasso è stato il primo, e probabilmente l’unico, a capeggiare nelle città italiane o almeno in quelle più popolate. Un volto rassicurante, senza dubbio, affiancato da uno slogan di grande successo: “Per i molti, non per i pochi”. Una traduzione “para para” del riuscitissimo slogan del Labour Party di Jeremy Corbyn: “For the many, not the few”. Ma non è copiare un successo che ne assicura uno di eguale portata. Jeremy Corbyn è, infatti, il Segretario del Partito Laburista britannico, un socialista. Un uomo che si può permettere di essere invitato ad un festival musicale e, davanti a diecimila giovani non più grandi di 25 anni, citare un poeta romantico dell’800 come Shelley, di cui appunto sono le parole divenute slogan del Labour, ricevendo in cambio reboanti applausi. Un uomo che è riuscito a portare nell’agenda del Partito e del paese temi autenticamente di sinistra e che vede il suo successo maggiore nelle fasce giovanili. A Liberi e Uguali, allo stesso modo, non mancavano i contenuti, è mancata però la capacità di comunicarli adeguatamente. 
Se si guarda alla comunicazione social, questa, è ruotata essenzialmente attorno a due elementi: infografiche e, come per il Partito Democratico, due video. Stessa quantità ma qualità diversa. Nel primo spot (link: https://goo.gl/xc57Qk) si vede Pietro Grasso pronunciare un discorso dai contenuti nobili, che vuole spiegare “liberi e uguali” di fare cosa e di essere chi, secondo il candidato, gli italiani dovrebbero essere, e in che cosa Grasso crede. Un video caratterizzato da una sovrabbondanza di parole ma soprattutto di immagini che, almeno all’apparenza, sembrano arbitrariamente scaricate da Google e che sono fatte scorrere nel video come una comune presentazione Power Point. Il secondo spot (link: https://goo.gl/QCidst) invece, torna sul concetto del “Io ci credo”, questa volta, però, sono gli italiani a parlare. Una carrellata di volti comuni argomenta con brevi frasi le parole che vediamo sullo sfondo, scritte su una lavagna alle loro spalle. L’ultima ripresa è riservata a Grasso, che fa sue queste voci affermando “questo è quello in cui credo”. Il secondo video è sicuramente più riuscito del primo e di più facile fruizione, perché presenta una parte scritta ed è più ordinatamente dinamico.

Ma in generale, per valutarne la riuscita, non si può prescindere dalla piattaforma sulla quale questi video sono stati lanciati: un social network. I social possono servire per informarsi, per esprimersi, ma sono per lo più utilizzati come strumenti ludici per passare il tempo. Qualsiasi contenuto venga fatto girare su queste piattaforme non può in alcun modo prescindere da questa essenziale premessa. Il video del Partito Democratico centra l’obbiettivo, non affidando l’enunciazione delle politiche realizzate dal PD ad un infinito elenco monotono, ma piuttosto ad un battibecco in famiglia, ambientato in una macchina, con tatto di colpo di scena finale. Un video simpatico, leggero, che ben si inserisce nel news feed (cioè nella home) di Facebook di un qualsiasi utente, tra le foto in montagna di un amico e quelle del gatto del vicino di casa.

Ultima nota circa un particolare al quale sono decisamente affezionato: i sottotitoli nei video. A dir poco fondamentali. L’80% dei contenuti social vengono fruiti da smartphone. Molto spesso, quando si scorre Facebook o Instagram, ci si trova su un mezzo pubblico, o magari in pausa al lavoro e, né le cuffie né le casse del telefono, possono servire allo scopo per le quali sono state inventate. I sottotitoli in questo senso risultato fondamentali per vedere un video anche in assenza di audio e una loro eventuale assenza può costare migliaia di visualizzazioni perse. Gli spot del PD li avevano, quelli di Leu no.
 Per quanto riguarda, infine, le infografiche di Liberi e Uguali, queste presentano gli stessi limiti degli spot. Lunghi elenchi, questa volta scritti, poco fruibili, dalla bassa qualità grafica e dai font (ossia i caratteri) spesso diversi tra loro.

La comunicazione, il marketing, nascono come prodotti del mercato, delle aziende. Rappresentano un modo di organizzare ed esprimere dei contenuti, aumentando le probabilità che questi vengano ricevuti e compresi dai destinatari. Per anni i Partiti di sinistra hanno rifiutato l’importanza della comunicazione, nella certezza che fosse la bontà delle proprie idee e la legge sulla par condicio a bastare e a garantire equa visibilità a tutti gli schieramenti politici. Le cose sono decisamente cambiate. La cartellonistica è praticamente scomparsa e la televisione, per quanto ancora primo mezzo d’informazione degli italiani, perde sempre più ascolti. I social network, al contrario, continuano ad aumentare il loro pubblico. Sui social non basta esserci, bisogna sapere come farlo e spesso alcuni politici non fanno nemmeno la prima cosa. Si veda Pietro Grasso, grande assente su Instagram. Questo è un social in continua crescita, secondo in Italia per numero di utenti e primo tra i giovani e giovanissimi. Non essere lì oggi è come decidere di non essere in tv negli anni ottanta o novanta.
Ogni secondo nel mondo vengono prodotti infiniti contenuti che viaggiano senza troppi controlli in giro per la rete. In questa giungla è importante riuscire ad emergere e farsi notare e per farlo servono competenze e professionalità. Lo ha capito per primo Obama e dopo di lui anche Corbyn e Sanders, che si sono circondati di giovani professionisti della comunicazione che, con estrema consapevolezza e professionalità, ed un lavoro facilitato da illuminati politici e programmi, hanno messo la ciliegina sulla torta su capolavori ai quali mancava solo quella “spintarella” in più. Solo una spintarella finale si, senza la quale però il successo non sarebbe stato raggiunto. Un successo che in effetti non ha riguardato né la performance di Leu ne tanto meno quella del PD.

Due sono, quindi, le lezioni sulla comunicazione che i due Partiti dovranno necessariamente portare a casa dopo queste debacle elettorali. Se una buona campagna non può bastare in mancanza di contenuti efficaci o che, quanto meno, colgano il sentimento del paese, un programma anche ben fatto non può invece prescindere da una comunicazione che sia, né più né meno, all’altezza del programma che si prefigge di comunicare. Il Movimento 5 Stelle e la Lega lo hanno capito e i risultati non sono mancanti. Ora sta al centrosinistra e alla sinistra italiana aprire gli occhi e capire che solo di comunicazione non si vive ma che senza si perisce.

Foto in evidenza: Dallo spot del Pd

 

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