Populismi

Figli di un Dio minore

Interessante e meritoria la pubblicazione da parte di “la Repubblica” di un ampio stralcio di un’intervista concessa dal filosofo tedesco Jϋrgen Habermas, tra i principali esponenti della Scuola di Francoforte, alla rivista “Micromega”. Lo spunto da cui lo studioso muove è la progressiva ascesa e affermazione di populismi nazionalisti che, ritiene, non siano altro che il brodo di coltura di un nuovo fascismo. Gravi, per Habermas, le responsabilità della sinistra. Per troppi anni la scena politica è stata dominata da un grigiore privo di sfumature in cui non si riusciva più a distinguere un’agenda politica progressista da una conservatrice. Per riportare la polarizzazione politica all’interno dei confini democratici, non esiste altra strada che quella, per la sinistra, di tornare a fare ciò per cui è nata: lotta decisa alle disuguaglianze e riportare il tema del lavoro e dei suoi diritti al centro dell’attenzione. All’interno dell’ultimo numero di “Micromega”, però, ci sono altri spunti di interesse sulla crisi della democrazia che attanaglia tutto l’Occidente e di quanto questa si accompagni sistematicamente ad una crisi della sinistra.

Nella foto: L’articolo di Repubblica su Jϋrgen Habermas e i populismi

Lo stesso prof. Tomaso Montanari, storico dell’arte, vice presidente di Libertà e Giustizia e molto accreditato e seguito (pare) anche negli ambienti “grillini”, suggerisce la necessità di tornare a una critica radicale della società. Per il giovane saggista e giornalista statunitense Nikil Saval, grazie all’irrompere di Sanders nell’ultima campagna per le primarie del Partito Democratico americano si può dire, per la prima volta dagli anni sessanta, che esista negli U.S.A. un movimento nazionale di sinistra che fa della critica radicale al capitalismo la cifra del suo impegno, il proprio carattere distintivo. L’unica e ultima speranza di opposizione al trumpismo e a ciò che rappresenta. Tutte analisi, posizioni, lo ripetiamo assolutamente interessanti, che chiamano la sinistra ad una vera e propria rivoluzione, che riguardi in primo luogo se stessa, ma per molti di noi non nuove. Se in questo Paese è sopravvissuto un briciolo di onestà intellettuale e politica, qualcuno, stampa nazionale in primo luogo, se volesse approfondire questi temi, e non limitarsi solo all’analisi ma dare anche notizia delle proposte, delle soluzioni, avrebbe materiale per farlo.

Ecco l’errore tragico della sinistra nel mondo occidentale: aver disertato la critica al capitalismo [….]; aver rinunciato all’idea di un governo più razionale ed umano della società e dell’economia e al programma di una lotta possibile per il superamento delle disuguaglianze. Cominciano ad accorgersene anche alcuni leader occidentali come Sanders e Corbyn, che hanno seguito e un successo soprattutto tra i giovani. […] Solo chi di fronte al naufragio di tutte le speranze « è così fermo sui suoi convincimenti da poter dire “non importa, andiamo avanti”, soltanto quest’uomo ha la vocazione per la politica» (Max Weber, La politica come professione). Penso ad un socialismo per i Millenial, perché il capitalismo non è un tabù

E ancora sui limiti attuali e storici della sinistra degli ultimi vent’anni, e sul pericolo di derive autoritarie: “ [..] parlerei di una «capacità di tenuta», di un riformismo «quanto basta», senza una visione della società e del futuro.
“La democrazia si è andata indebolendo. Prima di tutto per il fenomeno di concentrazione del potere economico che con la globalizzazione sfugge al potere degli Stati, quindi della politica. […] se non riconosciamo che si è aperta un’enorme contraddizione tra capitale e democrazia, e su questa rottura non siamo in grado di costruire una critica alla società esistente per indicare soluzioni alternative, i primi a non capirci e a confonderci con gli Dèi invisibili dei CdA delle multinazionali saranno proprio i lavoratori.”
“L’idea che il «velocismo» sia la risposta alla crisi del vecchio compromesso [tra capitale e lavoro. Ndr] è sbagliata e alla lunga sarà perdente. Sono questi i problemi su cui misurarci, mettendo in evidenza l’intreccio continuo tra «questione sociale», «progresso economico» e «questione democratica». Le tentazioni autoritarie stanno in questo intreccio, prima ancora che su questa o quella riforma costituzionale. […] le tendenze autoritarie sono oggettive: «nessun loto è senza stelo», direbbe Schopenauer”.

Nella foto: Il libro “Rivoluzione socialista” di Enrico Rossi

E visto che anche al Lingotto è aleggiato il fantasma di Gramsci, vi troverete già un primo riferimento a pag. 17 dove si spiega, proprio prendendo a riferimento l’analisi gramsciana su capitale sano e capitale produttivo, quale possa essere il nuovo punto di incontro tra liberali e un socialismo moderno: il sostegno alle forze vive e dinamiche dell’impresa. Una teoria veramente moderna che ha a cuore il lavoro, la crescita e la qualità di entrambi. Sì, perché stiamo parlando di “Rivoluzione Socialista” di Enrico Rossi, in cui in appena 240 pagine di agevole lettura si può capire chiaramente la sua (la nostra) idea di Stato, di economia, di futuro. Stiamo parlando del libro che evidentemente Walter Veltroni, impegnato com’è nella sua nuova vita di regista e ideatore di programmi televisivi, non ha letto. Lo avesse fatto, e sappiamo che è comunque un uomo di buone letture, si sarebbe evitato quel maldestro scivolone all’ultima Assemblea nazionale del PD. Un libro, auspichiamo, che diventi il punto di partenza, la base programmatica di Art. 1 Movimento dei Democratici e Progressisti. Invece sino ad oggi l’attenzione su Rossi, e sugli altri dirigenti e parlamentari che hanno abbandonato il PD, è unicamente focalizzata sui motivi della scelta. Gli “scissionisti” trattati alla stregua di figli di un Dio minore, senza che vengano indagate le ragioni ideali e politiche che sostengono l’azione e le scelte di chi, da quel partito, è stato messo alla porta.
La lettura e l’approfondimento non solo nutrono e curano il cervello, ma nel giornalismo e nella politica devono essere attività necessarie.

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