Foto Roberto Monaldo / LaPresse24-02-2014 RomaPoliticaSenato - Fiducia governo RenziNella foto Matteo Renzi, Pier Carlo PadoanPhoto Roberto Monaldo / LaPresse24-02-2014 Rome (Italy)Senate -  Vote of confidence on Renzi's Government In the photo Matteo Renzi, Pier Carlo Padoan

Finanziaria 2016. Pronto il richiamo all’Italia

In attesa delle decisioni della Commissione Europea di mercoledì, già oggi si dovrebbero avere le prime anticipazioni su quanta della ulteriore flessibilità richiesta con il DEF verrà concessa all’Italia. Il ministro Pier Carlo Padoan si mostra fiducioso, evidentemente convinto dai risultati delle trattative condotte dai suoi sherpa a Bruxelles, almeno per i conti pubblici del 2016. Gli stessi margini non sembra però che verranno consentiti anche per il 2017.
Troppo forti le pressioni tedesche, rappresentate dalle dichiarazioni del Governatore della Bundesbank, Weidmann e del potente ministro delle Finanze, Schaeuble. Troppo attuale il ritorno della crisi della Grecia e gli sforamenti di altri Stati membri, troppo audaci le richieste italiane.

Che le decisioni della UE non saranno quelle sperate sono prova le parole del vice Ministro Enrico Morando al “Corriere della Sera”: “La prossima legge di stabilità non sarà una passeggiata” se il compromesso raggiunto con la Commissione Europea si fermerà a quest’anno”.
Morando conferma pure la volontà del Governo di evitare gli aumenti automatici dell’Iva precisando: “Contiamo di disinnescare completamente quelle clausole“.

Secondo la Finanziaria di settembre scorso, l’obiettivo iniziale per il 2016 era di arrivare a un deficit/PIL dell’1,8%. Alla fine, con qualche prossimo “aggiustamento”, dovrebbe arrivare al 2,4%.

Nel 2017, secondo le nuove revisioni apportate con il DEF, il deficit/PIL scenderebbe all’1,4%. Più ambiziose le previsioni per il 2018 (0,3% di deficit) e per il 2019 con un avanzo dello 0,4%. Obiettivi, questi ultimi, conseguibili solo con manovre drastiche e con una politica di spesa molto rigorosa.
La partita più complessa con l’Europa è in effetti sulla flessibilità per il 2017. Il governo nel Def propone infatti un bilancio più espansivo, dichiarando che una intonazione più restrittiva per il prossimo anno sarebbe “inopportuna e controproducente”.
Quindi il pareggio di bilancio verrebbe ancora una volta posticipato: dal 2018 al 2019, e ciò indubbiamente pesa nella percezione dei nostri partner.

IL PROBLEMA DEL DEBITO PUBBLICO – Impossibile quindi evitare i richiami sull’entità del debito, che secondo le previsioni quest’anno dovrebbe scendere dal 132,7% al 132,4% del PIL, mentre secondo Bruxelles rimarrà invariato nonostante il target fosse stato fissato a suo tempo dalla Commissione al 130,2.
Quello che sul punto dirà Bruxelles sarà fondamentale per capire quali spazi di manovra avrà il Presidente Matteo Renzi in autunno con la legge di Stabilità, un provvedimento con il quale il governo avrebbe comunque intenzione di dare un segnale sulla riduzione delle imposte.

L’eredità della crisi per le finanze pubbliche è pesante. dal 2007 a oggi il rapporto debito/PIL è aumentato di un terzo e riflette la stasi del PIL nominale.
Se dall’inizio della crisi il PIL fosse cresciuto come nei dieci anni precedenti e l’inflazione fosse stata quella prevista, il peso del debito sarebbe oggi solo tre punti (anziché 33) superiore a quello del 2007.

Il Governo vorrebbe continuare a sterilizzare le clausole di salvaguardia, prevedendo una crescita del PIL nominale, compresa l’inflazione, attorno al 2,2% nel 2017 per avvicinarsi al 3% nel 2018 e 2019. Il tasso minimo di crescita nominale del PIL che consente al rapporto Debito/PIL di scendere quest’anno è di circa il 2%.
Quando si passa dalle previsioni ottimistiche ai fatti, la dura realtà è ben diversa. Dopo i dati del 1 trimestre (+0,3% rispetto al trimestre precedente) e con lo 0,6% già acquisito (in ipotesi cioè di crescita zero nei prossimi tre trimestri) il 2016 dovrebbe chiudere con un aumento del PIL accettabile (1,2%) ma inferiore alle previsioni di settembre 2015 ed alla media europea. Le cause congiunturali le conosciamo: sono legate all’ulteriore rallentamento del commercio internazionale, quelle strutturali sono le carenze di fondo del sistema paese, che spiegano il declino da 20 anni della nostra economia.

Se il PIl non cresce di quanto sperato, un problema molto più grosso è invece rappresentato dall’andamento dei prezzi, negativo in modo preoccupante (-0,5% su base annua ad aprile) e ben lontano dal 2% desiderato. La deflazione, in presenza di una bassa crescita e di alto debito pubblico impedisce il realizzarsi di ogni ipotesi di risanamento.
Il Governo si trova oggi tra la necessità di rispettare le regole europee e la volontà di ridurre le imposte, contrastare la povertà e stimolare l’occupazione giovanile.

Il problema vero, per chi guarda ai numeri più che alle speranze, è che con un colossale debito pubblico che non scende nonostante le promesse (sempre rinviate dai Governi) è arduo convincere l’Europa a concedere ulteriori flessibilità. Specie se poi l’utilizzo delle nuove risorse, acquisite a debito, è mirato ad aumentare la spesa corrente attraverso provvedimenti indigesti ai mercati e ai nostri partner europei.

QUALI SCELTE DOVREBBE FARE L’ITALIA? – A questo punto, la voglia di sterilizzare a tutti i costi le clausole di salvaguardia non mi sembra la migliore delle soluzioni. L’aumento dell’IVA sarebbe al contrario un vero toccasana. Darebbe infatti una robusta spinta all’inflazione, modificando in positivo i parametri deficit/PIL e debito/PIL; porterebbe, a regime, oltre 15 miliardi nelle casse dello Stato, aprendo così la strada al finanziamento di politiche espansive sane. Oltretutto, con le tante agevolazioni esistenti e l’evasione, l’Italia è all’ultimo posto nell’Unione Europea per gettito Iva, secondo la Corte dei Conti. Insieme all’Iva si potrebbe mettere mano alle accise sui carburanti, sfruttando gli attuali bassi costi del petrolio. In cambio abolendo il bollo auto cioè l’imposta più odiata (ed evasa) dagli italiani dopo quella sulla prima casa. Quanti di noi abbiamo talvolta dimenticato di pagarla alla scadenza? Ovviamente poiché il bollo auto è una delle principali fonti di entrata delle Regioni, occorrerebbe girare alle stesse i proventi perduti, possibilmente senza operare, in questa partita di giro, nuovi tagli.

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