Fondamenta solide

Fondamenta. Solide

Il pericolo che tutto potesse tradursi in una passerella autoreferenziale di leader, o aspiranti tali, c’era tutto. Non è stato affatto così. Nemmeno l’attesa catarsi antirenziana si è mai manifestata. C’è stata invece, aspetto questo colto persino dall’inviato de la Repubblica, la consapevolezza che dopo i tre giorni di Fondamenta, MDP non è un rifugio per nostalgici o un’assemblea di fuoriusciti ma ha le carte per provare a diventare una realtà di peso a sinistra del PD. Come ha scritto Enrico Rossi questa mattina su Facebook: “Da Milano il treno è partito e non potrà essere fermato“.

MDPQuesta volta sulla quantità dei partecipanti (tanti, tantissimi), ha prevalso la qualità del lavoro svolto, soprattutto quello sviluppato nei focus tematici. Non disquisizioni sui massimi sistemi ma spunti e indicazioni su cose da fare concretamente e subito. Fisco, lavoro, welfare, legalità, ambiente (consiglio a questo proposito, quando sarà disponibile in rete, la lettura e lo studio del contributo di Mirko Tutino: come tradurre nella realtà l’economia circolare e la riconversione ecologica, e come ricavarne occupazione qualificata): un vero e proprio manifesto di idee, un vero e proprio programma di governo. Sì, perché mentre in molti, stampa e osservatori politici esterni, saliva la spasmodica attesa di ciò che avrebbe detto il “Papa straniero”, identificato in Giuliano Pisapia (più da curato che da Pontefice in verità il suo intervento), i partecipanti alla tre giorni di Art. 1 si erano portati parecchio avanti con il lavoro delineando una idea chiara e netta di società, di democrazia, di Europa.

Proprio l’Europa, ad esempio, è stato il tema affrontato da Emma Bonino ed Enrico Rossi. Europa non matrigna, ma mamma e con alcuni figlioli non proprio all’altezza delle aspettative. Come ogni genitore può commettere errori, ma gli Stati-figli, poi, ci mettono del loro, e tanto. Ci ha spiegato e ricordato Rossi che nel lasso di tempo che va dal 2007 al 2013, l’Unione Europea ha investito in fondi strutturali l’1,2% del PIL. Nella programmazione dei fondi 2014-2020, quando gli effetti della crisi mordevano, i fondi sono scesi allo 0,9% del PIL ma al nostro Paese è stata concessa flessibilità di bilancio per 19 miliardi. Se queste risorse anziché in investimenti pubblici ad alto tasso di redditività li sprechi in bonus e decontribuzioni parziali (nel tempo) sul lavoro, è normale che l’Italia sia il fanalino di coda europeo in termini di crescita e con un problema di debito enorme e nemmeno parzialmente risolto.

Dare conto, in un solo articolo, di tutti i preziosi contributi che hanno qualificato il dibattito sarebbe impossibile perché ogni contributo, ogni intervento, da Epifani alla Camusso, da D’Alema (che ci ha ricordato che è la politica a dover saper gestire le crisi internazionali e non devono essere queste a condizionare le scelte politiche) a Bersani, da Scotto a Laforgia, meriterebbero ognuno un articolo, un approfondimento.
Qui voglio limitarmi a fare alcune, brevi, considerazioni su tre personaggi che ritengo possano essere determinanti per la costruzione di un nuovo centrosinistra.

Il primo è, ca va sans dire, Enrico Rossi. Non è una questione di affetto e di stima personale. E’ l’aver dimostrato una competenza e una capacità di analisi tali, su temi delicati e importanti come il futuro dell’Europa e dell’Italia, fuggendo a qualsiasi forma di retorica e di superficialità nell’affrontarli, da averlo oggettivamente consacrato non solo come eccellente amministratore, ma come statista. Oltre alla sua naturale, oserei dire, passione del suo impegno. Il suo richiamo al “Manifesto di Ventotene” come base per la (ri) costruzione del Vecchio Continente e del fatto che gli estensori di quel fondamentale documento scrivevano che solo nei valori del socialismo, e quindi nella difesa dei lavoratori e dei lavori, l’Europa dovesse costruire le basi della sua unità e della sua identità, non è un richiamo nostalgico, non è evocare categorie politiche del secolo scorso, è tremendamente e maledettamente attuale. Perché la crisi o, in alcuni casi, la vera e propria disgregazione dei partiti socialisti europei non sono testimonianza e prova del superamento di quell’idea. E’ vero esattamente il contrario. E’ l’aver rinunciato ad aggiornare quell’idea, quei valori, al mutamento della società, dei modi e dei luoghi di produzione, acconciandosi ad un riformismo debole, ad aver impedito risposte all’altezza delle nuove sfide.

Il secondo, e ammetto che la sua figura non l’avevo mai personalmente apprezzata per ciò che merita, è Roberto Speranza. Il suo intervento conclusivo è stato davvero di altissimo livello. Non ha cercato il consenso da stadio, l’applauso facile che deriva dall’invettiva contro l’avversario o, peggio, il nemico. Ci ha ricordato, piuttosto, che l’entusiasmo di questi giorni se non si traduce in fatica politica quotidiana non produrrà alcun frutto. Che le nostre proposte dovranno camminare sulle gambe di tutti coloro che dovremmo andare a cercare nei posti di lavoro, nelle strade, nelle case. Che il PD, il partito che fino a ieri è stata la casa della stragrande maggioranza dei presenti al Watt Court di Milano, non è il nostro nemico. Il PD è il nostro naturale interlocutore in una prospettiva di governo, purché rinunci ad ogni velleità sull’autosufficienza e riconsideri seriamente i limiti e il fallimento delle politiche economiche degli ultimi anni. Limiti e fallimenti certificati dai numeri, dai fatti, non dalle parole.

Il terzo, ovviamente, è Giuliano Pisapia. Ottimo avvocato e illustre giurista. Eccellente amministratore, come ha dimostrato la sua esperienza di sindaco di Milano. Insuperabile, e forse neanche lui lo sa, scrittore di romanzi gialli, di quelli che ti incollano alla lettura sino all’ultimo rigo, perché solo allora scoprirai chi è il colpevole. Per quanto riguarda la giornata di ieri, Giuliano ci ha detto, concludendo il suo intervento, che il colpevole è il maggiordomo. Infatti, mentre ci si interrogava per quaranta minuti su quale fosse il senso della sua “discesa in campo” (non chiarissima nel suo discorso e spesso improntata ad una sorta di “ma anche” di veltroniana memoria) nell’ultima e conclusiva frase del suo intervento ci ha dato appuntamento dopo l’11 giugno, data delle amministrative, per la costruzione di una nuova casa (cosa) comune. Pisapia non è il “Papa straniero”, ma una risorsa importantissima per tutto il centrosinistra che verrà. Una risorsa, come tante altre presenti a Fondamenta, a cui il prossimo governo del Paese speriamo non decida di rinunciare.

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