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Gentiloni, c’è posta per te

La Commissione Europea sta per spedire a Roma una nuova richiesta di chiarimenti in merito alla bozza della legge di bilancio, sulla quale, peraltro, si è addensata una miriade di emendamenti.
Evidentemente da Bruxelles hanno intuito che quella che è stata presentata come una manovra di piccola entità sta rapidamente crescendo per via di maggiori bonus e spese, finanziati con entrate che definire ottimistiche è un eufemismo. Devono aver compreso che il “partito unico della spesa” è all’opera, così aumentando i dubbi dei nostri partner sulla serietà degli impegni assunti (e sempre rinviati anno dopo anno) per mettere in sicurezza i conti ed avviare il percorso di convergenza del debito pubblico verso la media europea. I contenuti della lettera non sono ancora noti, ma si possono intuire dal giudizio tranchant del Vice Presidente della CE, Jirky Katainen: “La situazione in Italia non migliora“. Una doccia gelata che arriva il giorno in cui l’Istat segnala che il PIL è cresciuto dello 0,5% nel terzo trimestre e dell’1,8% tendenziale: il dato migliore da sei anni.

Prima di addentrarci sul merito, un breve riassunto degli impegni presi dal Governo Gentiloni – Padoan sui conti pubblici per il prossimo triennio:
a) il deficit dovrà calare, dal 2,1% del PIL di quest’anno, all’1,6% nel 2018, allo 0,9% del 2019 e allo 0,2% nel 2020;
b) con una crescita del PIL attorno all’1,5% nel triennio (conseguibile sulla sbase della crescita in atto) e una inflazione prossima agli obiettivi della BCE, il rapporto tra debito pubblico e PIL dovrebbe scendere dal 131,6% attuale al 130% nel 2018, per calare più rapidamente (127,1% e 123,9%) nel biennio successivo.
Questi i numeri esaminati dai tecnici della Commissione che, per intanto, lasciano filtrare la necessità di una correzione dello 0,2% (3,5 miliardi) al documento, versione “light” loro presentato.
Sebbene il giudizio definitivo, come di consueto, sarà espresso a maggio 2018, con i consuntivi di quest’anno, il 22 novembre prossimo i Commissari della CE esprimeranno la loro valutazione, chiedendo formalmente precisi impegni. Già a fine ottobre avevano mandato una nota per segnalare gli scostamenti di un decimo di punto di PIL tra i conti italiani e le analisi dei tecnici europei, che da calcoli più precisi ammonterebbero ora ai due decimi di punto di cui sopra. Da sanare subito o con una manovra bis a carico del prossimo Governo, sulla base delle risposte italiane.

Il sospetto che venga richiesto di intervenire adesso cresce, sulla base del seguito delle dichiarazioni di Katainen: «Tutti possono vedere che la situazione in Italia non sta migliorando, la sola cosa che posso dire è che tutti gli italiani sanno qual è la situazione, quanto alle nostre decisioni ne saprete di più la prossima settimana, non voglio pregiudicarla».
Da Londra, dove ha incontrato importanti investitori, il Ministro dell’Economia Padoan ha dichiarato: «Non rispondo a Katainen ma rispondo con quanto ho già detto molte volte in passato: con la commissione c’è un rapporto di collaborazione continua, se ci saranno osservazioni sulla legge di Bilancio, ne terremo conto. Ma comunque ripeto che è una buona legge». In buona sostanza, Padoan – che evidentemente conosce il contenuto delle osservazioni della CE – sembra pronto a usare le indiscrezioni provenienti da Bruxelles per frenare il tradizionale “assalto alla diligenza” delle leggi di bilancio di fine legislatura e per lasciare una situazione gestibile al suo successore.

Non c’è dubbio che in Europa si vogliano raffreddare gli entusiasmi e la fantasia dei “teorici” della spesa, presenti in quasi tutte le parti politiche ed impegnati, come padri scriteriati, in una sorta di gara a indebitare sempre più i propri figli e nipoti, a loro beneficio.
Si va da Matteo Renzi che vuol fare il 3% di nuovo debito (50 miliardi) per ciascuno dei prossimi 5 anni, per proseguire con nuovi bonus, saltando così gli impegni assunti anche dal suo Governo. Continuano la Lega e Forza Italia con proposte di “minibond” o di una moneta ad uso interno per pagare i debiti delle pubbliche amministrazioni, finanziare la “flat tax”, aumentare le pensioni minime ed esentare persino dal bollo la prima auto. Per non parlare dei 5Stelle che chiedono un “reddito di cittadinanza” di vasta portata, da finanziare ovviamente a debito, per far crescere così la massa dei disoccupati assistiti dallo Stato, disincentivati in tal modo pure a cercare un lavoro.
Un crescendo di idee elettorali, in un paese incapace di ridurre in via strutturale le imposte, ma che inventa crediti d’imposta, sovvenzioni e bonus. Con la giustificazione che ciò serve a far emergere il nero, si aumentano inoltre le agevolazioni fiscali che tolgono miliardi di gettito.
Ora, con la migliorata congiuntura, riprendono forza i portatori di interesse per redistribuire, a questa o a quella categoria, le risorse create dalla crescita. Magari, con la giustificazione di dover combattere i “populismi”, si fa crescere spesa, anche quella corrente.

Il percorso di riduzione del debito, invece, non solo è ineludibile, ma è soprattutto conveniente: lo prova anche il caso virtuoso del Portogallo. Le politiche economiche del governo portoghese sono risultate infatti efficaci, riducendo il deficit e rapporto debito/PIL per effetto del rinvigorimento della crescita, accompagnato dal rigore, con nuove imposte che non hanno compresso i consumi. Con l’eccellente risultato di una discesa dei tassi sui titoli di Stato portoghesi (e della spesa per interessi) a livelli ora prossimi a quelli italiani.
Il che conferma, se fosse ancora necessario, che il rispetto degli impegni assunti paga due volte: la prima con il bilanciamento tra entrate ed uscite, la seconda col calo del costo del debito pubblico determinato dalla maggiore fiducia dei mercati.

Nella foto di copertina: Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni

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