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Gli ultimi Jedi. Uno Star Wars per il 99%

Traduzione dell’articolo di Abraham Riesman, pubblicato su The Vulture con il titolo “The Last Jedi Is the Most Populist Star Wars Movie Yet” (15 dicembre 2017).

+++ Questo articolo contiene spoiler per tutta la trama di Star Wars: Gli ultimi Jedi. Se non avete ancora visto il film e non volete spoiler, non andate avanti nella lettura +++ 

Dedichiamo un pensiero alle Custodi. Presentate per la prima volta verso la metà di Star Wars: Gli ultimi Jedi, sono una razza di – per utilizzare le parole dello stesso sceneggiatore-regista Rian Johnson – “alieni di tipo pesce-uccello” che vivono nel luogo dove si trova il primo tempio dei Jedi. Abbandonato dai guerrieri-mistici di questo pomposo ordine, le sue strutture e i suoi testi si sarebbero da tempo trasformati in cumuli di polvere profana, se non fosse stato per le Custodi. Sembrano non essere sensibili alla forza – fanno solo il loro lavoro in un universo duro e indifferente. A un certo punto, l’aspirante Jedi Rey danneggia uno dei loro capanni e questo ci mostra quanto siano irritanti per le persone comuni dell’universo di Star Wars i casini combinati dai Jedi. In quella scena, non ridiamo delle adorabili buffonate delle specie aliene, ma piuttosto siamo solidali con le preoccupazioni di queste solerti lavoratrici del settore dei servizi. […]

Dopo tutto, questo è quello che Johnson fa più volte ne Gli ultimi Jedi. La saga di Star Wars è stata da tempo identificata come arte populista, nel senso che piace al pubblico: è ciò che tutti nell’industria cinematografica definiscono come un lavoro “a tappeto”, indirizzato a tutti e chiunque, e diametralmente opposto allo snobismo escludente del cinema d’essai. Ma per 30 anni, abbiamo amato una mitologia che esaltava personaggi, organizzazioni e temi terribilmente elitari. Ma non è così con Gli Ultimi Jedi, che è il primo film politicamente populista della saga. È uno Star Wars per il 99%.

La prova più lampante è la rivelazione sui genitori di Rey. Il risveglio della Forza avvolgeva le origini del suo personaggio principale nel mistero, dicendoci solo che era stata abbandonata nel mondo-discarica di Jakku quando era appena una bambina. Rey ha passato gli anni successivi aspettando che i suoi genitori tornassero a prenderla mentre si chiedeva chi potessero essere. E così abbiamo fatto noi: il mistero sul suo babbo e sulla sua mamma ha monopolizzato le speculazioni dei nerd per due anni. Star Wars è talmente legato al concetto dell’eredità che devono per forza essere genitori speciali, vero? Han e Leia? Luke e un’ipotetica moglie? Obi-Wan e una donna molto più giovane di lui? Un’altra immacolata concezione dei midi-chlorian?

Sbagliato, sbagliato, sbagliato e (fortunatamente) sbagliato. La risposta viene data da Kylo Ren verso il climax del film: i suoi genitori erano commercianti di spazzatura qualunque che l’hanno venduta. “Non hai alcun posto in questa storia”, le dice con la grazia di una lettera di rifiuto universitaria. “Vieni dal nulla. Non sei nulla”. Ma è tutto un preambolo per quello che dirà dopo: “Ma non per me”. La invita a unirsi a lui e a dare vita a una nuova storia per la Galassia, una in cui il fardello del racconto che abbiamo ascoltato è soltanto il prologo a un mondo in cui un’orfana che viene dal nulla può ereditare il trono.

[…] Gli otto capitoli precedenti della saga di Star Wars hanno dispensato retorica populista, ma erano costruiti sul doppio espediente narrativo che loda i pochi eletti piuttosto che le masse brulicanti. Il primo e meno ovvio espediente è la Ribellione e la sua eredità, la Resistenza. Certo, sono movimenti che cercano di sconfiggere Imperi e Ordini fascisti. E, sì, come abbiamo visto chiaramente in Rogue One (2016), i Ribelli avevano fra le loro fila una gran varietà di specie e colori di pelle. Ma fate caso agli individui a capo di questi ribelli. Chi guida l’Alleanza nella trilogia originale? Mon Mothma, il figlio privilegiato di una dinastia politica. E dove è nato quel movimento? Nell’appartamento di una città dorata in cui i senatori conversano non di rivoluzione proletaria, ma piuttosto di come conservare l’attuale sistema sociopolitico – l’Alleanza Ribelle è formalmente conosciuta come l’Alleanza per la ricostruzione della Repubblica. Chi è il primo leader ribelle che conosciamo? Una principessa. Chi dà vita alla Resistenza? La stessa principessa, a capo di una forza paramilitare privata. Tutto questo non è per dire che i Ribelli e la Resistenza hanno torto […]. È solo che, fino a questo momento, non li abbiamo mai visti parlare molto di disuguaglianza strutturale.

Questo cambia ne Gli ultimi Jedi. Prendete ad esempio le parole di Rose – ingegnera della Resistenza e gran lavoratrice. A un certo punto, parla a Finn (che, per correttezza, dobbiamo ricordare che ne Il risveglio della Forza rappresenta un eroe venuto dal nulla, quindi non possiamo completamente buttare quel film) delle “persone peggiori della Galassia”. Queste persone tanto disprezzate sorprendentemente non appartengono al Primo Ordine. Sono i ricchi. Rose pronuncia queste parole nella sfarzosa Monaco galattica, conosciuta come Canto Bight, dove il duo è in missione per trovare un ladro di prim’ordine a un tavolo da gioco in un casinò. Tutta questa trama secondaria è al limite del socialismo. Veniamo a sapere che i giocatori d’azzardo di Canto Bight hanno fatto i soldi principalmente […] grazie a un commercio che è poco sorprendentemente lucrativo nell’ecosistema di Star Wars: i profitti di guerra. Queste persone sono presentate come feccia non perché sono ideologhi autoritari. Sono feccia perché sono capitalisti.

[…] Su Canto Bight vediamo il sistema dell’universo di Star Wars elevare i ricchi a spese delle classi più basse: con il lavoro infantile e le violenze sulle creature simili a cavalli conosciute come Fathier. Prima di scappare da quell’incubo luccicante, Finn e Rose – proletari per nulla condiscendenti – liberano dei membri di entrambi i gruppi. Mentre i Fathier corrono via, Rose fa capire che questo è il vero significato della loro missione quando sottolinea: “Adesso ne è valsa la pena”. Nell’ultima scena del film, vediamo uno di questi piccoli schiavi salariati sfoggiare un anello con il simbolo ella Resistenza, mentre sogna un futuro in cui quelli come lui saranno liberati.

Il bambino è anche sensibile alla Forza e, quando alza lo sguardo verso il cielo, questa scena chiaramente rimanda a Luke Skywalker che alza lo sguardo verso il cielo su Tatooine, in Una nuova speranza. Anche lì, abbiamo visto un ragazzino povero che voleva una vita migliore. Ma la storia di Luke non è mai stata meritocratica – infatti, è di stampo decisamente feudale.

Questo ci porta al secondo espediente narrativo elitario che Gli ultimi Jedi cerca di smantellare: i Jedi in generale e gli Skywalker in particolare.

Non sono minimamente originale nel sottolineare che i Jedi sono un concetto anti-democratico, ma è una nozione che vale la pena ripetere in questo contesto. Pensateci: sono un ordine segreto che allena solo i pochi fortunati che sono nati speciali. Il loro approccio da sono-più-santo-di-te alla vita era più evidente nella trilogia prequel, dove abbiamo potuto vedere la loro leadership non eletta agire da giudice, giuria ed esecutore contro chiunque osasse violare le loro leggi basate sulla Forza. Certo, hanno sempre errato in nome della pace, ma non c’era alcun organo di controllo formale che li potesse limitare e, almeno nei film, non li abbiamo mai visti impegnarsi per migliorare le vite degli oppressi della Galassia. Erano più interessati a mantenere lo status quo mentre lottavano l’uno con l’altro nella loro stravagante piramide privata situata sulla superficie di una scintillante ecumenopoli. Dovremmo comunque stare dalla parte dei Jedi, ma Palpatine sinceramente aveva ragione quando ha detto ad Anakin che l’Ordine era diventato troppo potente – dopotutto, lui lo sa bene, visto che ha utilizzato la loro impressionante forza come un’arma nelle guerre dei cloni.

Ma anche nella trilogia originale abbiamo visto le sfumature aristocratiche dei Jedi. Certo, Luke inizia come un signor-nessun appartenente a una classe sociale umile e cresce fino a diventare un leader e un salvatore. Ma non sarebbe arrivato fino a quel punto se non avesse avuto delle connessioni familiari. Viene trascinato nella mischia perché suo padre era un membro degli eletti e Obi-Wan crede che sia giunto il momento di introdurre Luke all’attività di famiglia. Suo babbo, Darth Vader, è il secondo uomo più potente della Galassia e il più potente – l’Imperatore – vede gli Skywalker come il futuro del Lato Oscuro. La sorella di Luke, Leia, è una reale e la luce guida dell’Alleanza Ribelle. E, come scopriamo ne La minaccia fantasma, Anakin/Vader era probabilmente una creazione della Forza stessa; una persona senza precedenti. Il clan degli Skywalker è presentato come un gruppo di VIP e il perno per l’intero universo.

Gli ultimi Jedi fa uno sforzo affascinante – anche se incompleto – per smontare tutto questo. Luke si occupa di lanciare invettive contro se stesso, la propria famiglia e gli Jedi. Quando Rey mostra a Luke la sua vecchia spada laser, il suo primo gesto è di gettarsela alle spalle, come panni sporchi. Come scopriamo poi, non è solo perché essere un Maestro Jedi lo ha sfinito, né perché ha fatto un errore nell’allenare il ragazzo che è poi diventato Kylo Ren. Ma perché è arrivato alle conclusioni che i Jedi erano una cattiva idea che appartiene al dimenticatoio della storia. L’essenza di quel crimine? Una percezione sproporziona della propria importanza e delle proprie prerogative.

La Forza non appartiene ai Jedi” dice Luke a Rey durante il periodo di tempo in cui l’allena in maniera curiosa, ossia cercando d’insegnarle dei rituali con l’obiettivo di provarne l’inutilità. “Dire che se muoiono i Jedi muore la luce è vanità”. Più tardi, afferma che l’eredità dei Jedi è il fallimento e – ancora più importante – l’ipocrisia. Queste sono le persone che pensavano di essere migliori di chiunque altro e hanno finito per creare stragisti come Vader e Kylo. Inoltre, si danna per aver pensato che gli Skywalker fossero speciali. Parla in maniera sarcastica della venerazione di tutti per “quel potente sangue degli Skywalker”, forse in un momento di commento metanarrativo da parte di Johnson. “Ho fallito perché ero Luke Skywalker, il Maestro Jedi, una leggenda” conclude. […]

Chiaramente, e per ovvie ragioni, il film non sostiene che i Jedi e gli Skywalker meritino la ghigliottina. Luke si dà una mossa e alla fine salva la situazione, e quando lo fa vediamo il Prescelto ammantato da un livello di potere mistico che mai si è visto nei film di Star Wars. Prima, Leia fugge alla morte in maniera simile, con una maestosa dimostrazione di abilità innata. Kylo parla un sacco della fine della storia, ma rimane comunque speciale per merito del suo potente sangue Skywalker. […]

Tuttavia, abbiamo motivo di sperare che questa svolta populista durerà. Johnson sta lavorando su una nuova trilogia che non sarà incentrata sugli Skywalker, e questo significa che la preminenza di questa discendenza elitaria potrebbe cadere nel dimenticatoio. Quando lasciamo la Resistenza, alla fine del film, metà dei suoi leader sono morti e si parla esplicitamente di una missione per liberare gli oppressi, con l’implicazione che il tema tornerà in futuro. […] Come dice Yoda, “Il fallimento il più grande maestro è”. Non è male avere un mito che riconosce quanto dobbiamo imparare dal fallimento sistemico della nostra galassia.

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