Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam”. E così, il cardinale protodiacono di Art. 1, Pierluigi Bersani, ha finalmente concluso la sua ricerca del Papa straniero: Giuliano Pisapia è stato incoronato, al termine dell’incontro tra esponenti di MDP e Campo Progressista, il leader del nuovo e presunto soggetto che nascerà alla sinistra del PD.

Nei confronti di Bersani nutro affetto, è uno di quei dirigenti che creano empatia umana, non ha l’atteggiamento un po’ algido che caratterizza altri personaggi politici, però questa incoronazione sa tanto, appunto, di conclave e non di processo democratico, così come spesso annunciato e auspicato. Ma tant’è, in questa delicata fase l’animo puro e duro di noi irriducibili di sinistra deve necessariamente cedere il passo a valutazioni di realismo politico e, quindi, se per far decollare il processo unitario serve che Pisapia sia il “portavoce”, poco male: che portavoce sia. Purché siano chiari alcuni aspetti.

Il primo. Se, come scritto nel comunicato, MDP e Campo Progressista si aprono al confronto con soggetti civici e politici, compresa Sinistra Italiana, in vista di un potenziale cartello elettorale e ciò (speriamo) dovesse realizzarsi, la leadership si trasferisce di default anche alle altre forze politiche e civiche? La vedo un po’ difficile come prospettiva. Dubito che altri cedano, sic et sempliciter, anche parte della loro sovranità avendo appreso la cosa senza un effettivo coinvolgimento.

Pongo tale questione perché mi auguro che il “cartello elettorale” altro non sia che il primo step verso la costruzione di quella forza politica unica ed unitaria. Perché se invece il cartello elettorale dovesse essere solo un escamotage per superare eventuali soglie di sbarramento e permettere il ritorno in campo di cavalli di razza, il giorno successivo alle elezioni Pisapia potrebbe tornare a fare l’avvocato e altri a recarsi presso gli sportelli dell’INPS per capire quanto hanno maturato di pensione, perché solo quella, a quel punto, sarebbe la prospettiva: il pensionamento personale e politico. E non potremmo nemmeno accusare chicchessia di pratiche improprie di rottamazione. Occorrerebbe, quindi, che l’assemblea nazionale annunciata per l’imminente autunno non cada nell’errore di trasformarsi in una kermesse autocelebrativa ma ponga dei paletti programmatici e di identità: chi siamo e cosa vorremmo fare in concreto per il Paese. A quel punto, il problema se di questo progetto debbano far parte Montanari, Anna Falcone, Pippo Civati o Nicola Fratoianni, cade. Infatti, se cantiere aperto deve essere, ognuno dei soggetti citati dovrà portare del suo. Dovrà trattarsi di un confronto sinallagmatico e non per semplice adesione. E si dovrà trovare la possibile sintesi.

Il secondo. A quel punto, secondo aspetto, si porrà seriamente la questione organizzativa e della leadership. Il leader del nuovo soggetto politico dovrà essere quello che si ritiene più adatto a rappresentare e gestire quella sintesi. Quello più sinceramente orientato a far emergere una nuova e competente classe dirigente e alla costruzione di un nuovo (nei principi, nelle idee, nei programmi) centrosinistra.

Credo che la necessità di un simile percorso, di una simile prospettiva sia dettata dall’urgenza innanzitutto delle cifre. Personalmente non attribuisco ai sondaggi particolare credibilità, ma indubbiamente indicano trend di cui è bene tener conto e tutti quelli sino ad oggi pubblicati indicano che la crescita o la flessione del PD e di MDP non sono inversamente proporzionali. Paradossalmente, queste due forze politiche, crescono e flettono insieme. Ergo, bisogna abbandonare l’idea, o quanto meno esserne meno ossessionati, di “sfondare” nell’elettorato democratico. Ad oggi, e per diversi motivi che sarebbe lungo elencare, il PD gode di uno zoccolo duro difficile da scalfire. Se quindi, come è stato detto, scritto e ripetuto più volte, il nostro target elettorale sarà altro, occorrerà chi sappia farsi ascoltare senza preconcetti. E costui, con tutto il rispetto, non è Giuliano Pisapia. All’interno di questo nuovo e variegato schieramento vi è un solo uomo che riassume tutte le caratteristiche sopra elencate: Enrico Rossi.

Nella foto: Enrico Rossi a Livorno al Pala Modì insieme ai volontari dopo l’alluvione che ha colpito la città

Mettiamola così: Pisapia è il nostro Celestino V, senza l’ignavia attribuita a quel Papa da Dante Alighieri, ma comunque un Papa di passaggio. Spero che si abbia l’intelligenza e la accortezza politica che Rossi possa essere il nostro Giovanni XXIII. Se si comprenderà che non è affetto o, peggio, piaggeria ma considerazioni squisitamente politiche su cui iniziare a ragionarci, avremmo fatto un bel passo avanti. Giusto per evitare che dopo Celestino ci capiti Bonifacio VIII.

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