Si è celebrata ieri l’Assemblea nazionale di Art. 1 – MDP. Sui contenuti della stessa vi rimando, sempre su questa testata, all’articolo del sempre ottimo Guido Compagna e al “redazionale” sull’intervento di Enrico Rossi. Io, invece, dirò de l’altre cose ch’i’ non v’ho scorte.

Innanzitutto una premessa. In vita mia ho frequentato poco, direi per nulla, manifestazioni politiche di partiti o movimenti di destra e non so se anche da quelle parti si vive un’ansia da prestazione da microfono che è invece tipica di quelle di sinistra. Nel senso che c’è sempre quell’irresistibile spinta e voglia ad intervenire. Il che può essere, e spesso lo è, sintomo di passione politica. Ma quando ad intervenire sono gli stessi per ripetere e ribadire sempre e solo gli stessi concetti con sempre e solo le stesse parole, mi interrogo sulla reale utilità di certi appuntamenti. Lo dirò con estrema franchezza, gli unici interventi che mi hanno profondamente convinto sono, in ordine cronologico, quelli di Pierluigi Bersani, Simone Oggionni e Enrico Rossi, oltre, naturalmente, alla relazione di Roberto Speranza (a proposito, in bocca al lupo) con la quale non si può non essere d’accordo.

Ecco, quindi, la prima cosa che mi è risultata assente: il colore, la passione, un’indicazione che potesse scaldare i cuori, che parlasse anche a questi oltre che al cervello. Perché, io temo, a furia di essere troppo assertivi e assai poco evocativi, si finisce per farsi comprendere da pochi. Insomma, non sta scritto da nessuna parte che i ragionamenti politici, anche quelli più difficili, non possano essere espressi con leggerezza e semplicità. Ricordo di aver letto qualche anno fa un ricordo di Ugo Leone sul grande intellettuale e meridionalista Francesco Compagna. All’inizio degli anni ’70 era già dura la contrapposizione polemica tra chi difendeva le ragioni dell’ambiente e chi quelle della produzione, senza che, come è stato per anni per l’ILVA di Taranto, si riuscisse a trovare una sintesi che riuscisse a coniugarle entrambi. Allora l’oggetto del contendere era l’Italsider di Bagnoli, fortemente criticata dalla sezione napoletana di “Italia Nostra”. Il commento di Francesco Compagna, che era la punta dell’iceberg di un suo ragionamento molto complesso sul tema fu: “Se nel Cinquecento vi fosse stata Italia Nostra, l’Italia non avrebbe avuto il Rinascimento. Sfido chiunque a trovare un commento migliore per denunciare posizioni di chi è capace sì di individuare il problema, ma non di risolverlo.

Il riferimento a Francesco Compagna non è affatto casuale perché mi consente di introdurre il secondo tema, il secondo grande assente. Assente non solo nella “Domus Paci”, ma nell’agenda politica del Paese: il Mezzogiorno.
Parlo di quell’area geografica senza la quale la sinistra, da tempo, avrebbe probabilmente potuto fare dell’Italia una Repubblica Socialista (dal volto umano). Però, a meno che non si speri nella deriva dei continenti, con il Sud i conti occorrerà farli, prima o poi. Proposte e soluzioni andranno trovate, prima o poi.
Il passato Governo, giusto per fare un esempio, rivendica legittimamente come cosa giusta e di sinistra, il decreto dell’ex ministro Martina sul “caporalato”. Per l’amor di Dio, bene hanno fatto quel governo e quella maggioranza ad approvare quella legge, non si discute. Ma per un qualsiasi militante o dirigente di sinistra, dotato di un minimo di memoria storica, l’emanazione di quella norma dovrebbe provocare lo stesso effetto, lo stesso disappunto, di una eventuale profilassi emanata dall’Istituto Superiore di Sanità per il contrasto al vaiolo. Ad una patologia, cioè, che si credeva sconfitta e debellata da tempo.

E sì, perché il caporalato era stato completamente debellato sul piano politico e sindacale, non normativo.
Non fu una battaglia né semplice né breve, ma la soluzione fu quella di estendere uguali diritti a tutti in modo da non avere categorie di lavoratori non protette e, quindi, costrette a lavorare in condizioni disumane e con minor salario.
La legge sul caporalato è quindi giusta, ma certifica la sconfitta e, soprattutto, l’assenza della sinistra e del sindacato in zone sensibili del sud dove quel fenomeno è tornato a manifestarsi.

Ma nelle nuove forme di sfruttamento in agricoltura c’è anche dell’altro. Il ricorso a manodopera a basso costo non è sempre e solo conseguenza dell’avidità di alcuni imprenditori agricoli ma dalla necessità di ricavare margini anche minimi di guadagno. Tra produzione, ad esempio, del pomodoro e la sua commercializzazione il divario di prezzi è enorme. Il prezzo di vendita di questo prodotto, ma vale lo stesso anche per l’uva, non è determinato dalle normali dinamiche di mercato, domanda e offerta, ma dall’atteggiamento di un vero e proprio oligopolio di industrie agroalimentari che impongono ai produttori le loro condizioni economiche. Sono, infatti, in forte calo le superfici agricole destinate alla coltura di questi prodotti, sostituite da……pannelli solari. Sarà che nel nostro paese politiche industriali virtuose nel campo agricolo sono completamente assenti e l’unica preoccupazione e l’allocazione e la distribuzione delle risorse generate dalle PAC comunitarie? Sarà che è assente lo Stato in questo settore?

Sono un meridionale ma non un meridionalista e non mi avventuro in analisi, pongo solo qualche interrogativo e mi chiedo: non sarà il caso di andarsi a studiare Francesco Compagna (ma anche Manlio Rossi Doria, Gerardo Chiaromonte, solo per citarne alcuni) e verificare che c’erano in loro intuizioni che avrebbero potuto farci comodo anche oggi? Si parla tanto, e spesso a sproposito, del modello Silicon Valley come esempio da mutuare. “ Il Mezzogiorno può diventare diverso e sconfiggere per sempre certi suoi imperversanti attori i banditi sardi o la mafia politico-bancaria di Palermo, gli ex qualunquisti, gli ex monarchici, gli ex fascisti diventati democristiani in Campania o in Puglia, i membri di una camorra edilizia che ha operato da Napoli ad Agrigento e che ha fatto di Napoli una città che corre il rischio di una frana tale da far impallidire pure il ricordo di Agrigento (…) e per superare tutto questo è necessario puntare sull’industrializzazione e anche, magari soprattutto, su un’industrializzazione legata alla ricerca scientifica: comunque, su un’industrializzazione che consenta di valutare nel Mezzogiorno la ‘materia grigia’, le energie intellettuali del Mezzogiorno”. Ciò perché “quando i migliori non fossero più costretti a partire dal Mezzogiorno, non avremmo più una classe politica e dirigente formata, se non proprio dai peggiori, certo attraverso una selezione alla rovescia”. Credo fosse l’inizio degli anni ’70 (eventualmente Guido mi correggerà) ma Compagna aveva già previsto la “fuga di cervelli” meridionali e proponeva per queste aree proprio una “Borbon Valley” (così non facciamo torto a nessuna delle regioni dell’ex regno di Napoli).
Chissà se nel Partito che sarà, ma anche nei partiti e movimenti che già ci sono, questi temi (ri) troveranno priorità.

P. S. Io indosserò volentieri una maglietta rossa, e non la toglierò più di dosso, quando a sinistra sentirò di nuovo parlare della irrinunciabile lotta senza quartiere, politica e repressiva, alle mafie. Sempre a proposito di Mezzogiorno.

Foto in evidenza: L’assemblea politico-organizzativa di Articolo Uno-MDP

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