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Il confine che uccide in silenzio: la neve si scioglie e si scoprono i corpi dei migranti morti nel tentativo di passare in Francia

Traduzione dell’articolo di Maryline Baumard pubblicato su Le Monde con il titolo “Dans les Alpes, la fonte des neiges révèle les corps de migrants morts en tentant de passer en France” (8 giugno 2018).

Sulle Alpi si scioglie la neve e affiorano i corpi dei migranti che hanno cercato di attraversare la frontiera con la Francia. Teoricamente abolito dagli accordi di Schengen, il confine uccide in silenzio.

I vestiti sono diventati sudario attorno a un cadavere senza nome. Venerdì 25 maggio, sul versante italiano delle Alpi, non lontano da Bardonecchia (una città di confine da dove partono i migranti per raggiungere la Francia attraverso il Colle della Scala), un corpo senza vita, rannicchiato in un anfratto del terreno, è stato ritrovato da un cacciatore. Secondo la polizia transalpina, “avrebbe trascorso lì l’inverno”.

“Quest’uomo deve essersi perso, poiché è stato ritrovato sulla via del ritorno verso Modane”, ipotizza Sylvia Massara, un’italiana che si interroga su questa morte: “Il freddo o la stanchezza?”. Lei che cercava di dissuadere coloro che si credevano immortali, dopo il Sahara e il mare, a fare le traversate invernali sapeva che le Alpi sono un piccolo mediterraneo, nevoso d’inverno, roccioso d’estate; ma mortale in ogni stagione e capace di inghiottire il nome delle sue vittime.

Per ora, la polizia italiana sta cercando di decifrare le impronte digitali della mano meno danneggiata del cadavere, per collegare le striature ancora leggibili a un nome, una data di nascita sepolta da qualche parte in un file. “Questo permetterebbe almeno di contattare un consolato, una famiglia che possa piangere un figlio o un fratello”, dice Massara.

Questa morte sul versante italiano ha aggravato il dolore degli abitanti di Briançon. Da parte francese, due morti hanno scandito il mese di maggio. Se questi cadaveri hanno mantenuto un nome e un cognome, resta da scrivere la loro storia: quella del senegalese Mamadou-Alpha Diallo e quella della nigeriana Blessing Matthew. Quindi, come l’Antigone di Sofocle, capace dell’impossibile per offrire una sepoltura a suo fratello, l’associazione Tous migrants vuole dare giustizia postuma a queste “vittime delle politiche migratorie”.

Il confine uccide in silenzio

Mamadou-Alpha Diallo avrebbe dovuto stabilirsi in Spagna. Era il sogno di questo ragazzo sui vent’anni. Ma, il 19 maggio, il suo corpo è trovato senza vita, sopra Les Alberts, un villaggio prima di Briançon. Tre giorni prima, Ibrahim, il suo amico, era “arrivato completamente stravolto al rifugio di solidarietà”, ricorda un volontario. “Non mangiava da molto tempo, era così sconvolto che non riusciva a deglutire. Ha parlato del suo amico, che, caduto, non si era svegliato. Era tutto molto confuso”.

Mamadou-Alpha e Ibrahim erano partiti insieme dal loro villaggio, come ha detto quest’ultimo a Max Duez, uno dei medici del rifugio. “Siamo partiti alle cinque. Abbiamo attraversato il deserto insieme. In Libia, eravamo solo in due”, ha detto al chirurgo in pensione che ci legge i suoi appunti. Dopo la Libia, c’è stata la traversata, i “due mesi nei centri d’accoglienza in Italia, prima di riprendere la strada”.

Ibrahim dice che si sono persi sulla montagna, al confine. “Abbiamo camminato per tre giorni prima che Mamadou-Alpha cadesse da una roccia”, spiega il ragazzo. Quest’ultimo poi è sceso verso il corpo del suo amico, “senza essere in grado di svegliarlo”, prima che “gli agenti di polizia venuti da Marsiglia” lo portassero in ospedale. “La militarizzazione del confine complica ogni giorno di più il passaggio tra Italia e Francia, trascinando i migranti in deviazioni mortali”, sospira il chirurgo. Teoricamente abolito dagli accordi di Schengen, il confine uccide in silenzio. “Il lavoro dei ricercatori denuncia questo stato di cose. La morte di Mamadou-Alpha, come quella di Blessing Matthew, sottolinea questa triste realtà”, dice il gruppo Tous migrants.

Il corpo di Blessing Matthew, interrogato dal bisturi del medico legale, forse racconterà la storia della sua morte all’età di 21 anni. Affinché sua madre in Nigeria e sua sorella Christina in Italia capiscano perché i suoi resti sono finiti nei filtri di una diga, sfigurati dalla violenza delle acque della Durance in cui è caduta. “Anche noi vorremmo sapere cos’è successo. Chi era questa ragazza che è finita a morire da noi?” rivela, pensieroso, un abitante di La Vachette, il villaggio in cui è scomparsa.

“Moltissime domande…”

Ancora una volta, la storia avrebbe dovuto essere diversa. Il 6 maggio, la giovane nigeriana lascia il rifugio autogestito Chez Jésus, a Claviere, prima del confine, sul versante italiano, per poi raggiungere Briançon, e quindi dirigersi verso Parigi, la sua meta. “Ha trascorso tre ore con noi”, ricordano in questo luogo di tregua, in un seminterrato della chiesa, “e poi è ripartita sicura, con il numero di telefono di qui e quello per le emergenze”.

Blessing aveva lasciato l’area di Torino alla chiusura del centro d’accoglienza in cui alloggiava. Quella notte, per attraversare il confine, era insieme a un gruppo di otto persone che si erano divise quando lei aveva iniziato ad avere i crampi. “Due ragazzi sono rimasti indietro per aiutarla”, dice Agnès Antoine, di Tous migrants, che ha ascoltato la loro storia. Intorno alle 5 del mattino, quando il confine era ormai stato attraversato da molto tempo e la notte di marcia stava per finire, cinque agenti di polizia sono comparsi di fronte a loro, nel villaggio di La Vachette, a 3 km da Briançon.

In questa frazione di 400 anime, un residente afferma di aver sentito “un finimondo”. Un altro, mattiniero, ha visto, verso le cinque, di fronte alla chiesa, tre utilitarie della gendarmeria. “I gendarmi stavano facendo una perquisizione (…) e sono rimasti almeno un’ora nel giardino lungo la Durance”. Secondo la testimonianza di uno dei due compagni di Blessing, riportata dall’avvocato di Tous migrants, Yassine Djermoune, “cinque poliziotti hanno cercato di interrogare la giovane donna e i due ragazzi. Uno di loro si è nascosto, l’altro è fuggito. Non hanno più ricevuto notizie da Blessing”.

La sua borsa è stata ritrovata vicino all’acqua, non lontano, come hanno comunicato i gendarmi a sua sorella Christina, di 36 anni. Quest’ultima è arrivata da Bari, dove vive legalmente, ha riconosciuto i resti della sua sorellina e ha visto la scena della tragedia. La sua incursione in Francia si è limitata a un’andata e ritorno per la stazione di polizia di Montgenèvre, circondata da agenti. Christina ha risposto alle domande, si è prestata al campionamento del DNA che ha permesso l’identificazione. “È arrivata in Francia con molte domande, ed è ripartita senza risposte”, lamenta Agnès Antoine.

Un nome per poter trovare pace

Un mese dopo questa tragedia, la violenza delle acque della Durance satura ancora le strade di La Vachette con il suo baccano. “Un masso di piombo è caduto sul villaggio. Non parliamo di Blessing, ma è in tutte le conversazioni “, osserva un residente, che ammette di non guardare più il fiume con gli stessi occhi. Chi avrebbe mai pensato che un migrante sarebbe affogato qui, dopo essere fuggito dal Mediterraneo…

Due avvocati, uno francese e l’altro italiano, sono responsabili del dossier, il primo per Tous migrants, il secondo per Christina. “Del resto è il rapporto di Tous migrants che ha spinto la procura ad aprire un’indagine”, osserva Djermoune. Il pubblico ministero di Gap, raggiunto da Le Monde, tace su questa faccenda.

Gli alpinisti avevano avvertito che c’era il rischio di trasformare il massiccio in una fossa comune, chiudendo il confine in pieno inverno. Oggi, gli abitanti di Briançon solidali si battano per far uscire queste vittime dall’anonimato. Un corpo ha bisogno di un nome e di una storia per trovare riposo. Anche di una sepoltura. Che si chiami Blessing o Mamadou-Alpha.

Foto in evidenza di Andrea Gabellone

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