Foto Fabio Cimaglia / LaPresse
27-09-2018 Roma
Politica 
Deputati e Senatori del Movimento 5 Stelle festeggiano davanti Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei Ministri sul Def
Nella foto Luigi Di Maio si affaccia dal balcone di Palazzo Chigi

Photo Fabio Cimaglia / LaPresse
27-09-2018 Roma (Italy)
Politic
Deputies and Senators of the 5 Star Movement celebrate in front of Palazzo Chigi after the Council of Ministers on Def
In the pic Luigi Di Maio

Il DEF: non mi piace, ma piacerà a molti

La mia tesi: il DEF che è stato delineato qualche giorno fa – che potrà essere giudicato in dettaglio quando si traformerà nella vera e propria manovra di bilancio, che dovrà essere presentata entro metà Ottobre – è a mio parere criticabile sotto molti aspetti, ma incontrerà un largo favore di pubblico ed accrescerà il consenso ai due principali azionisti del Governo, la coppia Salvini-Di Maio (il Prof. Conte è solo un esecutore).

Non mi scandalizza – anche se sono conscio dei problemi che potrà far nascere, di natura essenzialmente finanziaria – il deficit del 2,4% rispetto al Pil: esso può essere criticato, e molto giustamente, per l’utilizzo che ne viene fatto, ma non per “l’insubordinazione” che in certo modo esso rappresenta rispetto ai dettami delle principali istituzioni, quali la Commissione UE e la BCE (ma anche l’OCSE ed altri, senza dire delle “Agenzie di rating” famigerate). Ed anzi voglio dirla tutta: in fondo, la determinazione con la quale esso è stato voluto ed imposto, a richio (secondo me, calcolato) di far deflagrare il Governo intero, può perfino far nascere delle simpatie. Al di là di ogni analisi fine, che pur deve essere fatta e divulgata, credo che i fattori di quello che è facile prevedere sarà il successo della manovra ventura sono, tagliati con l’accetta, i seguenti.

Il cosiddetto “reddito di cittadinanza” di 780 euro. Questa è una misura che porterà sollievo, e sarà accolta con entusiasmo, da milioni di persone e di famiglie, soprattutto ed in larga parte del Sud ma anche in ampie zone dell’Italia centrale, senza escludere le aree di crisi, non poche, che si ritrovano qua e là per l’Italia. Ci sono milioni di persone che, come si dice a Napoli in dialetto e tradotto in lingua, “non hanno né cielo da vedere né terra per camminare”, nel senso che non hanno alcuna speranza di trovare un lavoro, una qualunque occupazione che consenta loro di ottenere reddito da attività e di poter soddisfare almeno i bisogni essenziali della vita. E’ chiaro che per quelle moltitudini di persone (tali sono, trattandosi di milioni) questo reddito sarà una manna che cade dal cielo, sarà acqua per labbra assetate ed arse. Si possono fare tutte le critiche che si vuole, si può tacciare (e non senza ragione) questo provvedimento di “assistenzialismo“, si può osservare che sarebbe stato meglio utilizzare quelle risorse per investimenti produttivi (un male ricorrente: ma quanto tempo avrebbe richiesto?): ma intanto milioni di persone avranno, all’improvviso, di che mangiare e di che vestirsi, potranno contare su un reddito certo benché esiguo, ed è una condizione che era assente da anni dal loro orizzonte e perfino dalle loro speranze. Si può pensare che quelle persone si mettano a disquisire sul basso o nullo “effetto moltiplicatore” (keynesiano) di quella misura, sul fatto che essa non farà crescere il Paese, o almeno non nel modo che sarebbe auspicabile? Disquisizioni giuste, ma da intellettuali, da persone che la mattina si alzano e sanno come passare la giornata e come andare al supermercato ad acquistare quello che gli occorre per arrivare a sera: mentre ci sono milioni di persone che si svegliano più disperate di come si erano addormentate, perché un nuovo giorno vuol dire per loro altre mancanze ed altra sofferenza, altre ricerche affannose e senza risultati, altri muri non abbattuti. Per costoro, tanti (non abbiamo dimenticato le statistiche sulla povertà, vero?), quei 780 euro saranno la fine di un incubo.
Chiaro che ci saranno malversazioni, chiaro che quella provvidenza andrà a beneficare sia chi veramente non ha niente sia chi, invece, risulta ufficialmente povero pur disponendo in realtà di un lavoro “in nero”: ma è compito delle istituzioni controllare ed impedire che questo avvenga. Non sarà facile, ma dovranno saperlo fare, e dovranno essere giudicate anche su questo. Quei 780 euro sono una provvidenza che decadrà quando le persone troveranno un lavoro? Ma benissimo, diranno loro stesse: ci venga trovato un lavoro, sono anni che noi ci proviamo e non troviamo niente (ed è vero, drammaticamente vero: non si tratta di fannulloni, ma – in massima parte – di gente che vorrebbe lavorare e non riesce ad inserirsi o re-inserirsi). Così l’incombenza si spoterà dai singoli alle istituzioni, ed in certo modo questo risponderà anche ad un dettato costituzionale (art. 3, comma 2: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana………….”). Perciò milioni di persone applaudiranno l’operato del Governo Di Maio-Salvini.

La “pensione di cittadinanza”, 780 euro come minimo per tutti. Valgono considerazioni analoghe a quelle precedenti. Oggi molte pensioni sono al di sotto del minimo indispensabile per vivere: vederle aumentate a 780 euro sarà per molti ossigeno vitale. Altri applausi, altri consensi. Chiaro che questo suona un po’ iniquo per chi si sia costruito e pagato una pensione che gli dà un reddito, che so?, di 800-850 euro: ma questa è un’altra questione, che non può essere fatta pagare a chi non dispone di un assegno sufficiente per vivere; come pure può succedere che una persona percepisca una pensione personale di 450 euro e sia coniuge di una che ne percepisce 3.000; oppure che il pensionato da 450 euro possegga altri redditi. Tutto questo fa, o farà, parte della buona gestione dei provvedimenti: per intanto, coloro che hanno veramente bisogno, e sono tanti, esulteranno perché la loro vita farà un saltino, almeno, di qualità, e guadagnerà in tranquillità.

Il “fattore 100” per andare in pensione (somma di età anagrafica ed anzianità contributiva, con dei minimi per l’una e l’altra). Chi può negare che tante persone che hanno 62 anni e lavorano da 38 siano ben felici di poter andare in pensione, senza dover aspettare e pur con una pensione più bassa, rispetto a quella che competerebbe loro se continuassero a lavorare fino a 67 anni? E quante persone che sono rimaste senza lavoro e si trovano in quelle condizioni di età e di anzianità contributiva potranno finalmente respirare, senza l’incubo di altri anni senza lavoro e senza pensione? Viva Salvini e Di Maio!, diranno: si può non comprendere e condividere la loro esultanza?

Ed infine: per molti lavoratori a partita IVA (sono oltre 4 milioni, in Italia, coloro che lavorano così, figurando come “imprenditori” o “lavoratori autonomi” mentre per molti di loro è quello l’unico modo per poter svolgere un’attività che gli dia da vivere) che fatturano fino a 65.000 euro all’anno l’imposizione fiscale sarà ridotta al 15%: è chiaro che tutti costoro (che si trovano in buona parte nel Centro-Nord) renderanno grazie a Dio di aver inviato sulla terra ed al Governo quei due.

Per tutto questo, sommando gli uni e gli altri e gli altri ancora, e senza per nulla tacere e tantomeno negare i molti e seri argomenti che rendono giusto criticare le misure (già, o che saranno) adottate, si può prevedere che, almeno nel breve termine, la popolarità del Governo e dei suoi principali rappresentanti godrà di ulteriore accrescimento. Questo dovrebbe, ancora una volta, far riflettere chi non ha cercato di “salvare il salvabile”, per evitare che prendesse corpo il Governo Lega-5S – che insieme alle cose suddette (che si sarebbero potute fare meglio) ne fa molte altre, alcune delle quali anche ignobili – quando era ancora possibile. Ma i “mea culpa” e l’autocritica non sono molto diffusi, nella (presunta ed inadeguata) “classe dirigente” politica italiana, meno che mai in “certa” parte di essa. E di conseguenza Salvini e Di Maio hanno, e presumibilmente continueranno per molto tempo ad avere (ci piaccia o no: ed a me non piace nemmeno un po’, ma tant’è), il vento nelle loro vele.

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