L'attesa

Il filo rosso che lega Monfalcone e Washington DC

Un filo rosso lega Monfalcone e Washington DC. Un filo nemmeno tanto sottile che dimostra, se ancora si nutrisse qualche dubbio in proposito, che la sinistra, i riformisti, i progressisti, o come accidenti vogliamo etichettarli e etichettarci, non sono più riferimento e speranza per le aspirazioni o risposta ai timori delle classi (ex) medie e popolari. Rispetto agli sconvolgimenti epocali degli ultimi decenni, non c’è uno straccio di analisi e di proposta comune che possa identificare con nettezza l’identità della sinistra e di ciò che dovrebbe rappresentare. I partiti e i movimenti che si richiamano in qualche modo agli ideali e ai valori universali del socialismo, hanno ridotto lo stesso ad un triste sepolcro imbiancato immobile ed impotente rispetto alle sfide con cui è chiamato a misurarsi.

Non si tratta di inadeguatezza, ma proprio di assenza. Assenza di studio, di analisi, di speculazione teoretica, di capacità di usare strumenti già disponibili per trovare soluzioni innovative ai nuovi e, spesso, drammatici problemi. Se gli ultimi, gli immigrati, o quelli maggiormente devastati dalla crisi finanziaria mondiale votano Trump; se gli operai o coloro che hanno pagato la gravissima crisi che ha investito il polo industriale di Monfalcone eleggono un sindaco leghista o, peggio, disertano massicciamente le urne, è forse il caso di interrogarsi e seriamente sui limiti evidenti della sinistra, italiana e non. Quando, in nome di una presunta e astratta “modernità”, recidi tutte le radici che ti legano a certe storie, rifiuti, considerandoli superati, gli strumenti cognitivi che quelle storie ponevano a base della propria elaborazione teorica e politica, semplicemente non ci sei, non sei visibile, non sei credibile. Sei uno dei tanti soggetti che vive nel “mondo degli spettri” paventato e denunciato da Marx.

E a questo proposito, una domanda e, al tempo stesso, una provocazione: si può pensare di costruire una nuova e modernissima sinistra italiana e mondiale ripartendo da Karl Marx? Se risposta negativa dovesse esserci, si dovrebbe spiegare quale, tra le tante chiavi di lettura che il filosofo di Treviri ci ha offerto per capire anche ciò che accade oggi, è inadeguata. Il mondo della produzione ha assunto caratteristiche di globalizzazione con il predominio totale della finanza, il predominio del capitale per il capitale. E’ un mondo ridotto a merce, come ne “Il Manifesto”. Quella di Marx non è stata mai una critica ottusa e pregiudiziale al modo di produzione capitalistica, infatti, probabilmente nessuno come lui ha messo in luce l’aspetto positivo della borghesia. La sua critica riguardava il fatto che, se quel mondo fosse lasciato libero, tende ad occupare spazi non suoi e a sostituirsi interamente alle scelte della politica o, quanto meno, condizionandole.

Compito, quindi, della politica è proprio limitare le conseguenze negative del capitalismo: un compito di regolazione e di controllo (ci aveva provato, e con qualche successo, Roosevelt nel 1929). Compito a cui la politica ha rinunciato, e tale assenza è la causa di tutto ciò a cui oggi si assiste sostanzialmente impotenti: l’impoverimento insostenibile di grandi masse di persone, i conflitti, l’ingovernabilità dei processi migratori, le paure dei penultimi nei confronti degli ultimi. L’assenza di speranza. Vivo in una terra bella e famosa nel mondo per la maestosità dei propri ulivi. Alberi spesso secolari, con radici antichissime e solidissime, ma i cui rami e frutti si rinnovano vigorosamente ogni anno. Se non si recupera quanto di prezioso e utile la storia della sinistra ci offre, e la si rielabora e adatta all’attualità per costruire una nuova speranza per il futuro, Trump e Monfalcone non saranno due episodi ma il triste declino che ci attende. Ho già scritto, e lo ribadisco, che la “Rivoluzione Socialista” che sosteniamo non è la coperta di Linus a cui aggrapparsi non avendo soluzioni alle difficoltà del momento. E’ innanzitutto una rivoluzione del socialismo: idee, valori, radici solide, ma che sappiano dare nuove speranze e risposte politiche, quindi concrete, anche alle paure. “Fuori” da questo perimetro, solo narrazioni vuote.

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