Ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo

(Dante, Inferno, Canto XXI)

Ci ricorda Alberto Vannucci, docente a Pisa, presidente di Libertà e Giustizia e autore dell’Atlante della corruzione, che proprio a Firenze è stato eretto quello che si potrebbe definire il monumento alla corruzione. E’ il sepolcro di Bonturo Dati, vinattiere, governatore di Lucca nei primi anni del ‘300, e che Dante sistema nel suo Inferno mentre è ancora in vita presentandolo, con le parole sarcastiche di un diavolaccio di Malebolge, come l’unico uomo non corrotto della città, mentre in realtà ne era il capo dei capi, “accaffatore” patentato. Fu con i denari dei suoi nascosti commerci che Bonturo, esiliato in seguito a Firenze, si edificò il monumento, la tomba in Santa Maria Novella.

La digressione letteraria ci ricorda un volta di più quanto sia antico e inveterato in territorio italiano l’intollerabile fardello della corruzione. Non perché non lo sia in tutto il mondo. Certo è che in fatto di corruzione restiamo decisamente tra i paesi non virtuosi, ovvero al 61° posto su 168 paesi nel mondo, secondo nuovo Indice di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International, presentato nel gennaio del 2016 a Roma. Siamo in fondo alla classifica europea, seguiti solamente dalla Bulgaria e dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia.

Periodicamente si rincorrono sui media le stime del “costo” della corruzione nelle pubbliche istituzioni: si dice 60 miliardi di euro ogni anno, ossia il 3% del prodotto interno lordo italiano. Ma lo si dice aggiungendo subito dopo che si tratta di numeri infondati, risultato di un calcolo superficiale e distratto. Al ribasso. Calcola infatti il professor Vannucci che se in Italia avessimo la corruzione a livello tedesco potremmo disporre di 584 miliardi di risorse in più.

Della lunga battaglia di Berlinguer che va sotto il nome di “questione morale” si ricorda soprattutto la citatissima intervista a Eugenio Scalfari del 1981. In realtà la corruzione balza in cima all’agenda pubblica già nel 74, con lo scandalo dei petroli e Berlinguer è il primo ad additarne le vaste, disastrose e degradanti conseguenze nella vita civile, politica e istituzionale. Berlinguer parlava di questione morale in relazione ai partiti, allo snaturamento del loro ruolo di portatori e interpreti di interessi collettivi e alla loro trasformazione in “macchine di potere e di clientela”.

Adesso, dicono gli esperti, lo scenario su cui Berlinguer fondava la propria riflessione è in parte cambiato, la corruzione è diventata un sistema a rete di cui i partiti (quello che ne resta) sono uno dei tanti protagonisti, uno dei tanti possibili “regolatori”. E tuttavia la centralità del tema posto da Berlinguer, la sua profetica consapevolezza che qui sta il cuore del problema italiano e la portata rivoluzionaria della questione morale da lui posta con tanta forza (se rivoluzionario significa, come disse all’Eliseo, “lotta effettiva contro il dato esistente, contro l’andamento spontaneo delle cose…premessa e condizione necessaria per avviare il cambiamento”) restano totalmente valide. Erano i rampanti anni ’80, fu tacciato di moralismo. Ma noi, nel 2016, ci troviamo ancora immersi nella “tenace pece” fino al collo ed oltre.

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