Respiro del mondo

Il nuovo respiro del mondo, ritrovare la realtà

“Penso che il Pd sia, con tutti i limiti, un elemento essenziale sia del sistema politico in Italia in generale, sia per una politica di sinistra riformista e democratica. Continuo a pensare che chi voglia fare una battaglia di sinistra debba stare nel Pd. Sono persuaso che uscire dal Pd, come sento dire, anche se sono sempre sull’orlo della separazione ma poi non si riesce a capire che cosa vogliano fare, sia proprio un errore grave. A quel punto, il partito resterebbe tutto nelle mani di Renzi, con uno spostamento in senso moderato e, in prospettiva, con la costituzione di un sistema che vede da un lato Renzi e dall’altro i 5Stelle, ma con Renzi che rappresenta il polo moderato. Sarebbe straordinariamente grave per la prospettiva di una politica di sinistra in Italia. Per cui bisogna continuare a stare nel Pd e continuare a fare una lotta politica. Ma c’è da alzare anche il livello della cultura politica di questo partito, della sua capacità di guardare in prospettiva. E perché questo possa avvenire è necessario che ci sia un maggior coinvolgimento da parte di tutti quelli che criticano il Pd dentro il Pd”.

Uscire dal Pd sarebbe, dunque, un sbaglio, dice il professor Michele Ciliberto, ordinario presso la Scuola Normale di Pisa, titolare della cattedra di Storia delle filosofia moderna e contemporanea e Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento.

Allora, dal Pd, professor Ciliberto, non si esce. Ma si rimane per fare cosa? Cosa comporta, in pratica? 

Significa un atteggiamento di maggiore coinvolgimento del popolo della sinistra dentro il Pd. Il Pd e i suoi dirigenti ormai si sono costituiti come un gruppo chiuso che non favorisce l’immissione di forze nuove nel partito. Il ceto politico, anche quello del Pd, è totalmente chiuso su di sé.

Vale sia per la parte renziana, sia per l’altra?

Lo dico per tutti. Secondo me non c’è uno sforzo d’apertura degli uni e degli altri. Sono lontanissimo dalla polemica populistica contro il ceto politico, contro la casta politica, sono polemiche tipiche della destra. Dico, però, che c’é una chiusura del ceto su se stesso e un’incapacità di aprirsi a forze che, a loro volta, tendono a richiudersi dentro di sé, e che non sono nemmeno incoraggiate a stabilire un rapporto di comunicazione con questa forza politica. Ormai è un gioco a cui partecipano sempre le stesse persone. Invece bisognerebbe operare un’apertura forte anche da parte del Pd nel suo insieme.

Nella foto: Michele Ciliberto, ordinario presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove è titolare della cattedra di Storia delle filosofia moderna e contemporanea; Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento.

Ma che fare davvero, allora?

Il problema che abbiamo oggi di fronte (ed è anche il motivo per cui quest’anno alla scuola Normale faccio un corso sulle “Teorie dell’ideologia”) è uscire dalla nebbia ideologia che sta intorno a noi, che ci circonda e che occulta quelli che sono i rapporti reali nella società, i rapporti materiali, le forme nuovo di sfruttamento e di dipendenza. Bisognerebbe, invece, uscire dalle nebbie ideologiche e rimettere a fuoco le dimensioni materiali. E’ una fatica immane, per la quale è necessaria una cultura politica tale che consenta di poter fare questo e, riuscire a esprimere, su questa base, una prospettiva, una visione.

Per il mondo nuovo che si sta delineando?

Non si riesce a capire che fra venti-trent’anni l’Europa sarà una cosa totalmente altra da quella che è oggi, sarà un Continente multiculturale e multireligioso, con una presenza dell’Islam fortissima, che già ora è la seconda religione, con una complicazione della composizione demografica, e un mutamento del rapporto tra Nazione e Stato, perché, appunto, saranno Nazioni multiculturali e multireligiose che porranno un problema di una riconsiderazione sia dei modelli di Stato sia dell’Europa.

Junker pochi giorni fa ha detto “dimenticatevi l’Europa perché gli europei tengono agli Stati e alle loro tradizioni nazionali”.

Ho trovato incredibili queste dichiarazioni. E’ una follia. Così dimostra di ignorare come va pensata l’Europa: non come la cancellazione delle identità nazionali, ma come una nuova comunità capace di sfruttare, in un nuova visione, le dimensioni nazionali. Non c’è un’opposizione tra Stati Uniti d’Europa e nazionalità. Se poni la questione in questi termini non hai proprio il senso di quello che può diventare l’Europa. Gli Stati nazionali sono in una fase oggettiva di dissoluzione: è cambiata la base materiale. Anche Renzi, ora, si sta ponendo il problema di quello che è il destino di cittadinanza. E’ una cosa enorme. Vuol dire che cambia il modo in cui si è italiani. Puoi essere nero o giallo, se nasci in Italia sei italiano. Ma bisogna fare anche uno sforzo ulteriore: pensare l’italianità non più soltanto congiunta al fatto che sei nato in Italia, ma perché ti riconosci all’interno dei valori che costituiscono la nazione italiana nel contesto europeo.

Che Europa sarà?

C’è una distinzione che si fa in filosofia tra il noto e il conosciuto. Generalmente ci si muove al livello del noto. Bisognerebbe però muoversi a livello del conosciuto, che implica autocoscienza, autoconsapevolezza, sentimento di sé. Invece si vive in un mondo in cui si è risucchiati nel noto. Ma in questo modo non si riesce più a sviluppare gli elementi di autoconsapevolezza, di autocoscienza che sono propri della tradizione civile europea e che devono, appunto, costituire l’Europa nuova, che nasce dal riconoscimento, della valorizzazione in termini di autocoscienza complessiva ed europea delle tradizioni nazionali. Junker, al contrario, contrappone l’Europa e le nazioni europee agli stati nazionali europei. Stati e Nazioni vanno distinti e bisogna capire che gli Stati si consumano (perché sono costruzioni che come sono nate si consumano) e le Nazioni sono, invece, qualcosa di molto più lungo e più profondo degli Stati. È stupido immaginare che gli Stati Uniti d’Europa presuppongano la fine delle Nazioni.

Tra l’altro, non mi pare solo un problema italiano ed europeo.

Accanto a questa crisi materiale profondissima, c’è la crisi delle forme della democrazia rappresentativa classica. Questo, giustamente, non è un fatto solo italiano, è europeo, è anche più che europeo. Pensa a Trump e alla Clinton. Cosa c’è di più visibile della crisi della democrazia rappresentativa dei dibattitti fra questi due, di quello che si dicono?
E’ un problema immane, perché significa la crisi del rapporto tra governanti e governati, tra dirigenti e diretti. Li sta il punto, la forza dei 5Stelle. Rispetto alla democrazia rappresentativa propongono la democrazia diretta. Ma la democrazia diretta sfocia sempre del dispotismo. Lo vedi storicamente: é sfociata cosi nel 1793 in Francia, è finita così nell’Unione Sovietica. E’ accade così, fatte le proporzioni, nel Movimento 5Stelle. Alla fine quella democrazia diretta cosa ha prodotto? Il capo politico. “Io sono il capo politico”, come ha detto Grillo. Non vuol dire che i 5Stelle non siano un partito anche con sensibilità di sinistra, è un partito che raccoglie destra e sinistra, né vuol dire che loro non abbiano avuto una funzione positiva per la democrazia italiana (hanno impedito degenerazioni di tipo antiparlamentare, antidemocratiche). Ma ritengo che da questo punto di vista i 5Stelle siano proprio l’avversario del Pd, l’altra visione.

L’avversario di questo Pd o del Pd?

L’avversario del progetto del Pd in generale, che vuol essere un progetto di democrazia compiuta, anche di democrazia sociale compiuta, innovandola anche in modo profondissimo, ma tenendo ferma la democrazia rappresentativa. Questa è la vera sfida: senza democrazia rappresentativa si finisce nel baratro. Per questo, ripeto, i 5Stelle sono i veri avversari.

Per il momento è però Pd che invece si sta scannando sul Referendum.

Ci troviamo in un mondo nel quale tutto si decompone e si trasforma. Pensa alla questione delle unioni civili, oppure alla questione della cittadinanza, oppure alla trasformazione della composizione demografica degli Stati dell’Europa, che significa un’altra Europa, un’altra idea di Stato. Sono fenomeni enormi di cui non c’è, però, consapevolezza o non sufficiente consapevolezza. E’ un mondo plurisecolare che si sta completamente sgretolando di fronte ai nostri occhi, ma noi abbiamo una tale nebbia ideologica davanti che non riusciamo a capire quello che sta accadendo. Non c’è rapporto tra la cosa – ciò che accade – e la coscienza, fra quello che accade e la consapevoleza di quello che accade. E allora hai il Pd che si chiude, che fa diventare una battaglia epocale quella del referendum, che invece sarebbe un normale, ordinario progetto di aggiornamento di pezzi della Costituzione che non sono quelli decisivi. Quello che sarebbe una naturale questione come quello dell’aggiornamento della Costituzione nelle zone che sono, in quanto tali, aggiornabili, è diventata una sorta di sfida all’ “ok Corral”, cioè una battaglia in cui si contrappongono e si consumano eserciti. E’ tutto insensato, perché la nebbia ideologica è tale che non ti fa più capire quali siano i problemi decisivi e quali quelli secondari, laterali.

Quali sono i problemi decisivi?

Come si stanno trasformando le società nazionali, le società europee, come si trasforma l’Italia, che cosa dobbiamo fare, qual è la visione che vogliamo avere di questa Europa, che non potrà non essere multiculturale, multireligiosa, multietnica. Solo il Papa – lo riconosco da laico – in qualche modo cerca di proporre una visione di quello che può essere. E lo fa sempre. Quando nomina tredici nuovi cardinali da tutte le parti del mondo e gli italiani sono solo due e, fra l’altro, ultraottantenni, mostra di muoversi in un altro orizzonte, di avere una visione nella quale – e anche questo va detto – l’Europa svolge un ruolo secondario. Per lui, il respiro del mondo è altrove. Noi, invece, non riusciamo più a vedere quello che accade di fronte e sotto di noi.
Il problema essenziale ora, lo ribadisco, è ritrovare la realtà , che vuol dire i rapporti materiali nella società, le forme di sfruttamento, come si è trasformato il lavoro. Nella consapevolezza, almeno per me, che finché c’é capitale e lavoro, profitto e salario, Marx ha ancora molto da dirci. Tutto questo è completamente perduto, viviamo proprio in un mondo lattiginoso.

Ma come si fa a riacciuffare il toro per le corna?

C’è un problema come Pd. Manca proprio un cervello collettivo, mancano cultura e teoria politica. Si vive, come dire, di politique d’abord, la politica prima di tutto. Come se la politica non avesse fondamento. Ma se tu sbagli l’analisi sbagli la politica. Questi fanno politica senza analisi, perché hanno perso la cosa, non riescono più ad afferrarla. Per cui ne discendono cose molto casuali, molto improvvisati, tipo gli ottanta euro. Per non sbagliare analisi serve uno sforzo immane. Si tratta di ridefinire i pilastri della storia e della cultura europea che stanno crollando o si stanno trasformando. E’ un tempo straordinario e affascinante, se c’è passione della conoscenza, come diceva Nietzsche: non c’è più il primato della religione cattolica e cristiana, perché c’è l’Islam che ti assedia da tutte le parti; non hai più il rapporto tra Nazione e Territorio, che è saltato completamente; stanno saltando le vecchie strutture del vivere individuale e collettivo, sono fenomeni e processi enormi… E’ una trasformazione potente che richiede un potente intelletto, ma un potente intelletto deve essere organizzato, ci vogliono centri di ricerca, centri di cultura politica, investimento nella ricerca, nella cultura, nella teoria. Queste cose non vivono da sole. E non sto parlando nemmeno solo di Università, ma di strutture, di centri di riflessione, di ricerca e di studio che si sforzano di comprendere come si è trasformato il mondo interrogandosi sul che fare. Invece, si rimane nell’approssimazione, nel dilettantismo, nella casualità, in cui le cose vengono fuori senza essere mai adeguatamente pensate. Come se ci fosse un annebbiamento del pensiero e della potenza del pensiero. Ma approssimazione è casualità non portano da nessuna parte.

Ma a quale Pd pensi?

Non certamente a quello di ora. Il problema è di capire se di fronte alle critiche che il Pd di ora si merita, il Pd, ripensandosi e riorganizzandosi, ce la possa fare. Adorno diceva che la speranza è solo per i disperati, e noi siamo talmente disperati che possiamo avere una qualche speranza per il Pd. Ma deve cambiare in modo radicale. Non è solo la critica dell’uomo solo al comando, è l’approssimazione delle proposte e dei progetti che nascono da una perdita di conoscenza di quello che avviene nel mondo. E’ impressionate. E non avviene solo da noi.

Dove, per esempio?

Chi l’avrebbe mai immaginato Trump in America? Ma era proprio il caso di proporre come alternativa a Trump la Clinton, l’espressione più stretta del ceto politico americano di parte democratica? Con l’eccezione di Obama, gli ultimi 4-5 presidenti americani sono un padre e un figlio, una moglie e un marito. Sono follie. Significa che il canale di relazione tra governanti e governati, fra dirigenti e diretti è saltato. Il ceto politico è talmente chiuso su di se che è diventato un ceto familistico! E allora sei costretto a votare una Clinton, che in una situazione ordinaria non voteresti mai. La politica diventata familismo non ti fa discutere dei destini dell’America, ma di altro. Quello che fa impressione è l’immensità della trasformazione e la miserabile consapevolezza di quello che accade.

Ma quando si arriverà alla fine, quanto si sarà tutti consapevoli di questo?

La battaglia va fatta con gli strumenti a disposizione. In Italia, ribadisco, se vuoi fare una battaglia di sinistra seria la fai nel Pd. Ma questo implica una capacità del Pd di aprirsi, che oggi è minima, e uno sforzo da parte di quelli che stanno fuori dal Pd di riavvicinarsi al Pd. Ma anche loro non ne hanno voglia, e si capisce: che peso avrebbero? Si tratta allora di vedere se si riesce a rimettere in circolazione sia l’uno sia l’altro polo, altrimenti si rimarrà in questa lunga deriva, per cui, alla fine, un ordinario, ripeto, problema di aggiornamento della Costituzione diventa l’”alfa e l’omega” della politica italiana.

E’ una follia se ci si pensa. E’ diventata l’ordalia del Paese che quelli di Renzi stanno giocando tutta in senso populistico (tagliamo i politici, i parlamentari). Il bicameralismo perfetto c’era in Italia perché c’era stato il fascismo e c’era la paura del comunismo, per cui, si diceva, una Camera non basta. Come hanno fatto in America a suo tempo con la Costituzione americana. Tocqueville lo spiega: avevano tanta paura delle masse che crearono una Camera dei deputati e il Senato. Aveva una funzione di contenimento di un pericolo. Quel pericolo non c’è più, in Italia non c’è né il pericolo del fascismo né quello del comunismo. Quindi, è una cosa ordinaria, normale, riformare il bicameralismo per governare in modo più veloce, più rapido, senza assumere che la velocità sia di per sé un valore. Invece è diventata l’ordalia del paese. E’ il motivo per cui, quando mi chiedono voti sì o voti no, mi rifiuto di rispondere. E’ una cosa insensata. Ma questo avviene perché si sono persi di vista i veri problemi del paese, che non sono solo il problema delle miseria, della crisi sociale, ma anche quello dello sviluppo del paese, dello sviluppo delle forze produttive, con enormi processi di deindustrializzazione, che cambiano la vita degli individui e il volto delle città. E’ curioso (per dire della nebbia ideologica), non fanno altro che sostenere che Marx non ha più niente da dire, che non ci sono più le classi. Ma, domando, c’è o no ancora lo sfruttamento, ci sono i poveri, quelli che non arrivano alla fine del mese, ci sono le differenze di classe? A tutto questo si dà però una risposta o in chiave caritatevole (“ti do 80 euro“), o senza vedere addirittura il problema, senza capire che ci sono delle bombe sotto terra.

Ma che Paese siamo diventati?

L’Italia è un paese profondamente risentito (altrimenti non spieghi i 5Stelle), però continuo a pensare che siamo un paese che vuole sperare, che non si sente è ripiegato. La forza di un partito di sinistra è riuscire a rincontrare questa speranza.

Quello che ha fatto Renzi?

La forza di Renzi è stata, 4-5 anni fa, di incrociare una speranza. La sua debolezza oggi è che quelli che hanno sperato in lui non sperano più. La sua debolezza è il venir meno di questa speranza.

Che leader servirebbe?

Oggi c’è spazio per un leader politico che assuma il problema della materialità, delle trasformazioni, sia in alto sia in basso, sia dalla parte del salario che dalla parte del profitto, sia dalla parte del lavoro che dalla parte del capitale, perché un partito moderno, un partito di sinistra riformista, si deve fare carico anche delle forme di sviluppo del capitale. Se un leader politico riesce in questo, allora troverà uno spazio enorme. Ma deve saper reinterpretare questa a speranza. La forza di un leader è nella capacità di avere un riscontro con le esigenze del paese. Ma non lo può fare come un gesto di volontà, deve avere virtù, capacità in grado di farlo riscontrare con la speranza. L’Italia è un paese che spera ancora, è risentito ma spera. Non si spiegherebbero altrimenti 5Stelle. Lì dentro c’è tutto, risentimento e speranza. Noi dobbiamo far prevalere le ragioni della speranza su quelle del risentimento, ma andando a cercare quello che sta accadendo.

Ma pensi che ce la si possa fare a mettere insieme queste cose per il prossimo Congresso del Pd?

Il fatto è che oggi la politica è diventata rappresentazione, e in questo Renzi è un maestro. Ma la rappresentazione non basta. La crisi è troppo profonda e la gente non ritiene che alla propria esigenza di cambiamento sia sufficiente rispondere con la rappresentazione. La rappresentazione è sempre ideologia. Renzi è uno dei massimi esponenti della rappresentazione, della riduzione di tutta la realtà a ideologia. E in questa fase il testo teatrale, visto che non ne ha altri, è diventato il referendum, la rappresentazione teatrale in cui lui sta giocando la partita della vita. Ma è mai possibile che la vita politica italiana, e tutti i drammi della società italiana, si riducano a questo, all’“ok Corral” sul bicameralismo? Il mondo va da un’altra parte, questo, però, conferma che il vero problema di Renzi non è il referendum, ma la legge elettorale, il nesso tra referendum e legge elettorale. Questa è il fondo vero della sua battaglia. Sono curioso di vedere se e come la cambia.

E gli altri ci cascano…

Fino ad un certo punto. Perché credo che la gente di una rappresentazione teatrale, com’è diventato il referendum, non ne possa più. Lui sta facendo di tutto per far diventare questa cosa qui centrale, perché una volta che dovesse riuscire a convincere la gente che quel testo teatrale (che è proprio la politica ridotta a gioco letterario, a esercizio teatrale) è fondamentale, una volta finita questa rappresentazione, ne metterà in moto subito un’altra. Passerà subito all’atto secondo…

Di una tragedia, a questo punto!

Come diceva Hegel, e anche il vecchio Marx, non sarà una tragedia, sarà una farsa. Il mondo dell’ideologia, della rappresentazione, il mondo puramente teatrale, il mondo della nebbia è il mondo della farsa. La tragedia implica lo scontro reale, che scorra il sangue. Lì non scorre il sangue, scorre una finzione di sangue, una finzione di politica. E noi stiamo in un mondo di pura finzione. Che è il motivo per cui quest’anno, come ti ho detto, nel mio corso alla Normale, parlo di ideologia e anche di Marx: perché lo ritengo il problema dei problemi. Naturalmente su base scientifica, come si deve fare in un’aula universitaria: i professori, diceva Weber, non sono profeti. E io sono totalmente d’accordo.

Ma come superare questo mondo finto?

Se non siamo in grado di superarlo, come classi dirigenti saremmo proprio travolti. Le trasformazioni, le modificazioni profonde vanno avanti. L’Islam ce lo troveremo in casa. Come fai a non costruire una moschea? Il problema è elaborare un punto di vista laico che consenta la comprensenza di una pluralità di religioni. Anche questa è una cosa immensa per l’Italia e l’Europa. Noi siamo abituati al primato del Cattolicesimo e al Concordato. Ma il Concordato è sparito nella realtà. Che senso ha più un Concordato con questa enorme complicazione della presenza religiosa nel nostro paese. Lo stato “cristiano” è finito in tutte le sue forme, anche in quelle di tipo concordatario. È cominciata un’altra storia, che metterà alla prova tutte le vecchie tradizioni: il Papa questo lo sa. A questo tumulto di trasformazioni viene contrapposto una rappresentazione teatrale e finta di cose, attraverso cui si costituiscono – intendiamoci bene – nuove forme di dominio, anche di carattere dispotico: un dispotismo di tipo nuovo, ovviamente, con un ulteriore crisi della democrazia rappresentativa.

Che fare e come fare?

Come diceva il poeta, è la mente che agita la mole. Quello che manca oggi è la mente, non la mole. Il primo problema è ricostituire la mente. E’ la mente che agita la mole e la pensa, ma se la mente non pensa la mole, la mole va per la sua strada. Ma pensare le cose, hai ragione, non è un lavoro di un mese. Bisogna ricominciare a ragionare delle trasformazioni del mondo assumendo come problema il destino dell’uomo. Oggi si è riaperto il destino dell’uomo: questo è il problema immenso con cui dobbiamo fare i conti. Cominciare a capirlo sarebbe già qualcosa.

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