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Il Pd di Renzi: tanta Leopolda e poco partito

In questi giorni di tormentato avvio verso le elezioni sono in molti, anche tra coloro che lo hanno sostenuto spesso con enfasi e talvolta con convinzione, a indicare a Matteo Renzi la strada per evitare al suo Pd il tracollo: farsi da parte e puntare tutto su Paolo Gentiloni come futuro presidente del Consiglio e, soprattutto, come guida della campagna elettorale peraltro già in corso. Di questo scrivono soprattutto “Repubblica” e i suoi editorialisti. Qualche giorno fa era Stefano Folli, prendendo spunto da quanto andava accadendo nella commissione banche, disegnava questo non incoraggiante quadro: “Un Pd chiuso all’angolo, dominato da un vertice prigioniero di una dimensione irreale“. Dimensione irreale che si concretizzava in un Matteo Renzi che continua e continuerà “a dichiararsi vincitore del duello su Banca Etruria” e la Boschi che continuerà “a non prendere in considerazione l’ipotesi di lasciare“.

Fin qui gli editorialisti se non proprio amici, certamente non pregiudizialmente ostili. Ma questa discussione, questa richiesta di convincente autocritica e di visibile passo indietro che eco ha trovato sinora all’interno del Pd? Un’eco modesta a me sembra: qualche sguardo aggrondato e qualche borbottio, ma per ora nessuna riunione di organismi dirigenti. Al massimo un invito ad un’attenuazione dei toni e lasciare il più aperta possibile la questione del prossimo presidente del Consiglio. La cui scelta, peraltro, è esclusiva prerogativa del Presidente della Repubblica. Quanto alla direzione e agli organismi dirigenti, questi si riuniranno nei prossimi giorni, ma lo faranno per varare o, meglio, per ratificare candidati e liste messe a punto dal segretario e dai suoi più stretti collaboratori non soltanto di partito. E non mancherà il saggio consiglio dei Carrai di turno.

E allora, credo che sia più che mai lecita una domanda: il partito democratico di Renzi è ancora un partito e, ammesso e non concesso che lo sia, fino a che punto lo è? Qui il primo punto sul quale riflettere è come il segretario ha costruito la sua scalata alla guida del partito? Lo ha fatto, è la mia convinzione, con strumenti e sostegni in larga parte del tutto esterni al partito. Anzi volutamente esterni al partito. Un susseguirsi annuale di Leopolde come esibizione di un futuro gruppo dirigente ben collegato con il più consolidato establishment nazionale (Marchionne e dintorni) e poi le fondazioni tipo Open come robusta fonte di finanziamento senza che (c’è la privacy) ci sia pubblicità di chi sono i finanziatori. Naturalmente (ma questa è un’altra storia mentre si provvedeva con enfasi all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti.

Naturalmente c’ è stata poi, e in più occasioni, la legittimazione democratica, attraverso primarie senza regole, aperte a tutti, che, anche dopo il disastro referendario, hanno eletto Renzi a capo del partito. Si dirà: ma le primarie erano previste anche prima dell’era dell’ex sindaco di Firenze, dallo Statuto Vassallo, ancora in vigore nel Pd. Ma regole sbagliate tali restano anche se non le ha fatte direttamente Renzi. Il quale, peraltro, le ha interpretate anche in maniera robustamente espansiva. Del tipo: visto che ho vinto le primarie e con esse il congresso, se qualcuno non è d’accordo dovrà aspettare la prossima scadenza congressuale. Cioè tre o quattro anni. Quasi che in un partito la democrazia interna debba affievolirsi fino a diventare irrilevante tra una primaria e l’altra.

Naturalmente questo stato di cose un contraccolpo (e che contraccolpo!) lo ha avuto a livello di tesseramento e di iscritti. I quali sarebbero passati da 400mila dell’anno precedente (già un risultato non particolarmente brillante) ai 100mila scarsi di adesso. Ma in tempi di partiti liquidi, alimentati soprattutto dall’esterno non sono cose particolarmente preoccupanti per un gruppo dirigente che se c’è, c’è davvero poco.
In questo quadro è facile per Renzi organizzare la sua irriducibile resistenza a chi senza mezzi termini lo invita a farsi da parte per salvare quel che resta del Pd. Questa mattina attraverso i giornali fa sapere: “Nè rinunce nè ticket“! Il che vuol dire: Gentiloni e i ministri saranno al mio fianco, e dovranno spendersi in campagna elettorale, ma il leader del Pd sono e resto io. Il che tradotto in concreto significa: le liste e i parlamentari li scelgo io. Del resto è a questo che serviva il Rosatellum.

Nella foto: Matteo Renzi e Maria Elena Boschi alla Leopolda

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