Renzi-Smuraglia1

Il Referendum dopo Renzi-Smuraglia: i nodi del Si e del No

Il confronto Renzi-Smuraglia ha dimostrato due cose. Che è possibile discutere senza scannarsi e che le due posizioni, il Si e il NO, sono destinate a non trovare mai un momento di raccordo e che sono irrevocabili per ciascuna parte.
Il tema della possibilità di una discussione civile non è secondario. Se fosse cominciata così la battaglia referendaria, non staremmo oggi a contare i morti e feriti a due mesi dalla celebrazione del referendum.

Lo scontro è stato innescato dal premier che nel creare risse politiche non ha rivali. Quando si è intestato il SI, pensava di vincere facile e di chiudere gli avversari nella gabbia del conservatorismo. Il NO, dal canto suo, ha visto subito nella propria contrapposizione più che una ostilità verso il tema referendario, peraltro si tratta di una riforma da tutti loro votata in parlamento, la possibilità di dare il colpo decisivo a Renzi presentandolo, così come lo aveva rappresentato dopo la sua vittoria alle primarie, cioè come un dittatore in pectore.
Siamo andati e stiamo andando avanti così in questa petulante campagna elettorale che, vorrei farvi notare, sarà più lunga della campagna che precede l’elezione del presidente Usa.

C’era, quindi, un’altra strada. Era quella del confronto nel merito, delle rassicurazione reciproche, dell’aspettativa del risultato non come un giudizio di Dio ma come l’esito di una consultazione. E’ ancora possibile far rientrare il fiume tracimato nel suo letto naturale? Credo di no. Ma qualche anima buona può tentare di farlo.

L’irriducibilità delle due posizioni è l’altra questione emersa ieri sera. Nessuno ha dubbi su quel che chiede agli italiani di votare. La cosa più stupefacente è che entrambi gli schieramenti più che prodigarsi per convincere i dubbiosi, si affannano a trincerare il proprio campo. E’ il contrario della politica. L’antipolitica prodotta dalla attuale politica sta proprio in questo. Sparisce il tema del consenso, della necessità di allargarlo e prevale il tema della tutela del proprio elettorato più fidelizzato. Come direbbe Renzo Arbore, meno siamo meglio stiamo.

Le conseguenze di questi due atteggiamenti sono nefaste per il sistema politico e per il Paese. Chiunque vinca, non si saprà mi che cosa ha vinto davvero e a quale prezzo. La vittoria del NO, al di là di quel che dicono i suoi sostenitori, e buon ultimo anche l’egregio Smuraglia, apre una crisi politica al buio. Il premer può non dimettersi subito, ma l’evidenza del disconoscimento elettorale lo logorerà inevitabilmente portandolo in qualche mese alle dimissioni. E dopo? Altro governo di larghe intese? Se la sinistra si affeziona troppo alle larghe intese perde se stessa.

La vittoria del SI lascerà un seguito di maldipancia e di volontà di rivalsa che possono distruggere definitivamente il Pd. Anche perché Renzi, se vincerà, come credo, non avrà un atteggiamento soft, ma girerà per il ring con le braccia alzate e una parte del pubblico che lo fischierà ancora più sonoramente.
Il guaio in cui è stata infilata l’Italia da uno scontro interno al Pd reso simile alle battaglia intestine della vecchia Dc ( vi ricordate quando dicevamo che la Dc riversava sul paese le proprie divisioni interne?) può essere ridotto se emergeranno dal fronte del NO e da quello del SI posizioni distante dai due stati maggiore in guerra. Detto brutalmente se emergerà un NO anti-dalemiano, lo dice un vecchio amico di D’Alema e un SI antirenziano. Voglio dire, se emergerà una spoliticizzazione della battaglia referendaria.

Difficile che questo accada nel fronte del NO. La guida di D’Alema è molta salda e ha rimesso in riga una dubbiosa sinistra Pd. Può emergere nel fronte del SI, dove, per esempio, vi sono posizioni favorevoli al referendum, come quella di Enrico Letta e di Enrico Rossi, ma totalmente autonome da Renzi.

Pur essendo personalmente ancora indeciso sul voto da dare e molto propenso a non darne alcuno, mi interessa però , nel ragionamento del SI, un argomento, questo: la riforma che sarà votata non è un testamento, cioè un libro chiuso ma avvia un processo in cui sono possibili tanti miglioramenti. Il NO, purtroppo, chiude la porta non solo a questa riforma ma a tutte le riforme istituzionali. Chiude con l’ambizione riformatrice. D’Alema e Parisi dicono NO pensando a una successiva Assemblea costituente, idea di Rino Formica, che voterà NO pure lui. Ma non è credibile che l’opinione pubblica che ha visto il fallimento di tante Bicamerali e di due riforme portate a referendum, possa accettare un altro tentativo. Né prevedo, purtroppo, tempi facili e rapidi per una Assemblea costituente dopo il tracollo di una discussa esperienza di governo e il conseguente disastro nel Pd.

E’ per questo che credo che la parte ragionevole del SI debba fare due operazioni: una di distacco severo da Renzi. Il SI non è per lui. È “malgrado” lui. L’altra di definire un tragitto di interventi che migliorino la riforma. In generale l’emergere di un fronte, uso questo termine improprio, dei ragionevoli e dei pacati può solo far bene al Pd ( e all’Italia).

Nella foto di copertina: Carlo Smuraglia e Matteo Renzi (in mezzo Gad Lerner) alla festa dell’Unità di Bologna

Commenti