socialismo_2019

Il socialismo può attendere. Per ora

Antefatto. Il 4 marzo 2018, in Italia la sinistra riceve un sonoro e dolorosissimo paliatone che non ha
precedenti nella sua storia. Logica e buon senso politico vorrebbero che se ne discutesse un attimo, che si
sfiorassero, se non è proprio possibile approfondirle, le cause. Invece, niente. E questi, come direbbe un
procuratore in un processo davanti ad una giuria negli USA, sono elementi che non sono in discussione,
sono oggettivi e non opinabili. Nel frattempo Movimento 5 Stelle e Lega danno vita ad un governo che nel
giro di un paio di mesi appena, capovolge (sondaggi alla mano) i rapporti di forza tra gli alleati, facendo
schizzare Salvini al doppio dei voti racimolati alle elezioni. I sondaggi, purtroppo, trovano conferma nei test
elettorali amministrativi (Friuli, Abruzzo, Sardegna, ecc.).

Nulla di grave, normali vicende democratiche se non fosse per la circostanza che atti e comportamenti del sedicente Ministro degli Interni e Vice Presidente
del Consiglio, senza che il sedicente Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico nonché Vice Presidente
del Consiglio faccia nulla di serio per limitarlo o bloccarlo, minano alla base la democrazia stessa, facendo
emergere e legittimando gli istinti più beceri, e riemergere e legittimare gruppi neofascisti con tutto
l’armamentario classico fatto di intimidazioni e aggressioni squadriste.

I rintronati delle idi di marzo, sostanzialmente tacciono. O meglio, qualcuno continua a fare indigestione di
pop corn, altri sono impegnati nell’arena delle primarie, altri ancora a decidere cosa sarà di LEU, MDP
sciorina un congresso dietro l’altro senza mai decidere nulla di concreto.
Intanto, e per fortuna, ci pensano qualche associazione e comuni cittadini ad alzare il livello di guardia e a
promuovere partecipatissime manifestazioni, Milano e Prato su tutte, dimostrando che c’è una Italia viva e
vivace che non solo resiste, ma vorrebbe contrattaccare.

Succede, in questo contesto, che il Sig. Carlo Calenda, persona capace, anche se politicamente
approssimativa, lancia un proprio manifesto, Siamo Europei, e dice una cosa semplicissima: è a rischio il
futuro dell’Europa. Se i sovranisti italiani e quelli del Patto di Visegrad dovessero veder confermata la loro
forza elettorale, il Vecchio Continente tornerà ad essere una polveriera. Gli egoismi nazionali metteranno a
rischio l’idea stessa di Unione Europea. La proposta di Calenda è accolta con freddezza da alcuni e con
aperto disprezzo da altri.

L’unico esponente politico nazionale che la accoglie positivamente è il Presidente della Regione Toscana
Enrico Rossi. E’ noto, lo ha ripetuto in più occasioni, che la sua idea di Europa sia quella del manifesto di
Ventotene, un’Europa unita e socialista. Unità e socialismo non garantiti dall’Armata Rossa 2.0, ma da un
processo democratico che rinnovi e renda di nuovo attuali i valori e gli ideali del socialismo. Ebbene, in
questa fase ritiene, e noi con lui, che l’emergenza sia un’altra e cioè quella di mandare a Strasburgo il
maggior numero possibile di parlamentari che hanno una visione dell’Europa diversa da Salvini e Orbàn.

Per il momento il socialismo può attendere, diciamo. Di più, non una difesa delle istituzioni europee così come
le abbiamo conosciute fino ad oggi, non una difesa delle politiche economiche e finanziarie così come una
maggioranza liberista e di destra hanno imposto negli ultimi anni, ma adottando le parole d’ordine del
manifesto di Piketty” (economista francese) e del programma del candidato socialista alla presidenza della
Commissione Timmermans: superamento dell’austerità concentrandosi sui problemi della protezione
sociale e dello sviluppo; salario minimo garantito in tutta l’Unione (si eviterebbe, ad esempio, in dumping
sociale); fondo europeo comune per la disoccupazione; fiscalità europea per far pagare le grandi imprese
che fanno profitti in Europa e pagano poco o nulla di tasse; tassazione minima europea per evitare il
dumping fiscale; una legislazione del lavoro per permettere ai sindacati europei di negoziare contratti
collettivi, soprattutto per i lavori precari; passaggio dall’attuale 1 al 4 per cento PIL europeo per finanziare
gli investimenti, la conversione ecologica dell’economia, la ricerca, la protezione sociale e la lotta alla
disoccupazione. E scusate se è poco.

Se questi obiettivi sono non solo condivisibili, ma auspicabili e necessari, può essere un brutto simbolo,
quale quello presentato da Zingaretti, a rimettere tutto in discussione? Si può accusare Rossi, e noi con lui,
di intelligenza con il nemico (il PD) se riteniamo di doverci impegnare pancia a terra per portare a casa un
risultato apprezzabile alle imminenti elezioni europee e amministrative? Il tema non è rientrare o meno nel
PD perché riteniamo, e lo scrivo forse per la centesima volta, che sarà necessario andare oltre tutto ciò che
c’è attualmente nel campo del centrosinistra. La sfida è contro la destra reazionaria ed europea, ed è una
sfida da vincere. Il rischio della probabile frammentazione elettorale è che un 7/8 per cento di voti
andranno dispersi e non porteranno nessun eletto al Parlamento Europeo. Gelosie identitarie e sguardi
adoranti del proprio ombelico saltino un giro, per favore.

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