Assemblea Pd

Impressioni di dicembre

Dicembre è stato, politicamente, un mese molto intenso, iniziato con il referendum costituzionale e conclusosi con l’Assemblea nazionale del PD. E proprio su quest’ultima ritengo opportune alcune considerazioni che, parafrasando il titolo di un celeberrimo brano della PFM, potrei definire Impressioni di dicembre.

Si è trattato, complessivamente, di un’assemblea assai deludente. Se proprio un aspetto positivo vogliamo cogliere, è l’effetto terapeutico che l’insulto di Giachetti nei confronti di Speranza ha avuto su Debora Serracchiani facendole, finalmente, ritrovare il sorriso dopo che insulti personali le avevano provocato amare e commoventi lacrime. C’è un passaggio che mi ha particolarmente colpito nella relazione di Matteo Renzi, stranamente sottovalutato e che invece è la cifra del suo modo di intendere le istituzioni, della sua idea di governo. Il segretario si è rammaricato del fatto che sperava, alla vigilia del voto, in 13 milioni di voti e che invece non sono bastati “tredici e mezzo per vincere”.

Due aspetti emergono. Il primo è l’assunzione a strategia politica del “Teorema Lotti” per il quale tutti i voti favorevoli al Sì sono da ascrivere esclusivamente a Renzi e al suo cerchio magico. La seconda, che desta un po’ più di preoccupazione, riguarda un (allora) Presidente del Consiglio che scommette sulla speranza che poco più della metà del corpo elettorale si recasse alle urne. La matematica, lo ammetto, non è mai stato il mio forte, ma se il corpo elettorale è costituito da circa 48 milioni di cittadini, per vincere con 13 si deve prevedere o sperare che si rechino alle urne meno di 26 milioni, non più cioè del 53/54%. Scommettere e sperare che il trend di disaffezione dalle urne continui e si consolidi per poter vincere, non è il modo più opportuno per caratterizzarsi come statista. Allo stesso modo, un leader di un grande partito che esce sconfitto da un appuntamento importante come quello del referendum costituzionale, comunque la si pensi sul merito della riforma, si interroga e si confronta seriamente sulle cause e non si limita a elencarle genericamente (giovani, sud, web) senza indagare con tutta l’onestà politica possibile sulle reali cause che hanno spinto giovani e sud a bocciare non tanto e non solo la riforma, ma l’azione complessiva del Governo e del Premier.

Probabilmente non c’è stato difetto di comunicazione nel veicolare i possibili effetti positivi, ma non dirompenti, del “Patto per il Sud” ma la diffidenza per risorse, seppur aggiuntive rispetto a quelle comunitarie, affidate quasi esclusivamente alla disponibilità dei Presidenti di Regione. Non se ne abbiano a male i “Governatori” ma nelle regioni meridionali, fatta eccezione per la Puglia durante la presidenza Vendola, le percentuali di fondi utilizzati per politiche di sviluppo e formazione al lavoro sono state scandalosamente irrisorie. Probabilmente i cittadini del sud sanno che quel poco che si è utilizzato, e spesso destinato a raddrizzare banane e spaccare chicchi di caffè, non sono l’auspicabile viatico per un futuro migliore. Probabilmente un coerente e strategico disegno di governo che includesse un serio piano per il lavoro e per il mezzogiorno, in cui fossero chiaramente indicate le priorità di sviluppo economico-industriale, di investimenti in infrastrutture anche immateriali, di protezione e riqualificazione ambientale, avrebbe avuto un impatto e una fiducia diversi.

Probabilmente il fatto che nel nostro Paese ci sono almeno dodici mila bambini che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena e altrettanti per cui un solo pasto giornaliero spesso non è garantito, dove il 7,6% della popolazione vive sottoVendola la soglia di povertà e moltissimi di più galleggiano appena sopra, avrebbe consigliato di finanziare in debito non bonus per tutti, non togliere l’IMU a tutti, ma selezionare e individuare gli interventi in direzioni diverse. A fronte della solita lista in cui si sono magnificate, per l’ennesima volta, le virtù del precedente governo, se ne potrebbe stilare un’altra che le confuterebbe. Ma sarebbe un esercizio inutile e anche pericoloso per il futuro stesso del PD. Si dovrebbe, piuttosto iniziare serenamente un percorso congressuale che metta al centro della discussione il Partito, le sue regole, la sua guida, la sua idea di democrazia, la sua idea di società. Prefigurare, prima del congresso, primarie per l’indicazione del candidato premier significherebbe continuare a lacerarsi in questo clima di tensione e di scontro, sottintenderebbe la malcelata volontà di avvelenare i pozzi. L’attuale maggioranza (?) che regge le sorti del PD ha ritenuto politicamente rilevante trasmettere e far ascoltare ai componenti l’assemblea nazionale, un brano del pugliese Checco Zalone, La Prima Repubblica, con l’intento (spero e presumo) di voler ribadire ciò che non si vuole essere. Se dicessi che quel brano, per i suoi contenuti, sembrerebbe più adatto ad un’assemblea dei 5 Stelle, mi beccherei l’eterno epiteto di radical chic. Quindi io rilancio con l’ultima quartina di una poesia in vernacolo del toscanissimo e compianto Carlo Monni (da “Berlinguer ti voglio Bene”): Quella razza siamo noi/è inutile far finta/c’ha trombato la miseria/ e siamo rimasti incinta. Ecco, ripartire dalla volontà di sterilizzare la miseria, di fare la vasectomia ai padri delle ingiustizie, sarebbe un bel modo per ripartire da sinistra. Tutto il resto è noia.

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