Scale mobili

In gioco per far posto agli esclusi

Domenica è risorta la speranza. Il socialismo non è un “cane morto”, ma fonte d’ispirazione ideale per affrontare le sfide del nostro tempo. Su questa base un gruppo di valorosi compagni ha deciso responsabilmente e razionalmente di separare i propri destini da quelli di un partito trasfigurato dal leaderismo e dall’ossessione post-ideologica.
Non è una questione di calendario, non è una questione di regole, poltrone e sottopotere. Ci siamo messi in gioco non per un posto, ma per far posto alle persone escluse. E’ una questione di egemonia. “E’ la mente che agita la mole”, diceva il poeta. E per questo, agitati e inquieti ci siamo mossi, mentre il segretario, capo e padrone, lasciava scorrere la sua scaletta di mazzolatori verbali.
La nostra battaglia nasce dall’indisponibilità a subire la trasformazione del partito, erede del riformismo italiano, nella confederazione di clan dove il capo della fazione più vasta e agguerrita impone la sua volontà.

Un partito esiste quando, oltre le divisioni sui programmi e le politiche, resiste un nucleo di valori comuni, un patrimonio condiviso, un patto costituzionale, il cui rispetto precede ogni contesa. Il renzismo è diventato invece la propaganda di una fazione che ignora sistematicamente il rispetto per questo patto costituzionale e applica, scientificamente, una logica proprietaria e divisiva. Questa fazione radicalizzata ha stretto le maglie del suo potere e la sua presa sugli altri clan generando un pensiero notturno ed esoterico, una dissidenza clandestina emersa nei “fuori onda” del “compagno in camicia biancaGraziano Delrio.
Che cos’è il suo fuoridonda se non una denuncia disperata della violazione di quel patto costituzionale che regge l’edificio d’una casa comune?

Quello che sta accadendo non è altro che la replica, nel partito, del copione che ha condotto Renzi allo schianto il 4 dicembre nel Paese. E quando una nave affonda chi si accorge della crepa ha l’obbligo di salvare più vite possibili.
Il renzismo, a volerlo analizzare da vicino, non si configura come cultura autonoma. È un peronismo ammansito, ma subalterno alla logica neoliberista – col suo slogan “meno tasse” – e alla logica populista, con lo slogan: “diamo all’Europa più di quanto prendiamo”.

Noi non siamo una banda di nostalgici. Democrazia e Lavoro sono per noi parole e valori eterni.
La nostra risolutezza finirà per aiutare anche quel che resta del Partito Democratico.
Noi crediamo che una maggiore articolazione dell’offerta politica e un ritorno al voto identitario non faranno che allargare il campo del centro sinistra e renderlo plurale.
Il partito pigliatutto post-ideologico contenitore indifferenziato non fa che mortificare le identità, le passioni, riducendo la politica a calcolo di convenienze.
Ed è anche per questo che le estreme e i populismi crescono.

Noi socialdemocratici stiamo assistendo alla rimonta del compagno Schulz in Germania che con parole chiare e con i valori del socialismo erode consensi a Angela Merkel e a Frauke Prety (AFD).

Una volta il “comunista senza partitoLuciano Canfora ha detto che la scomparsa della bandiera rossa ha rotto le inibizioni per un’ampia parte del voto popolare della sinistra, spingendolo a votare altre forze politiche. Soprattutto i 5Stelle o addirittura la Lega. Un voto popolare in cerca di simboli, riscatto e identità solide. In questi anni Renzi ha sostenuto che non esiste differenza tra destra e sinistra e molti hanno taciuto, ubbidendo. I politologi ci hanno detto che alla opposizione “destra-sinistra” è subentrata l’opposizione “basso-alto”. Ecco, con la nostra bandiera rossa noi intendiamo ricostruire la sinistra. Non v’è sinistra se il suo sforzo non coincide col consentire, machiavellianamente, a chi è in basso di risalire verso l’alto.
Siamo pronti e andremo a cercare i nostri compagni “casa per casa e strada per strada”.

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