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“Jacindamania” in Nuova Zelanda

Meno di tre mesi fa, Jacinda Ardern aveva detto che sarebbe diventata la leader del partito laburista della Nuova Zelanda solo se tutti gli altri dirigenti fossero stati investiti da un autobus e lei fosse stata la “sopravvissuta designata”.

Adesso, si ritrova a diventare la terza prima ministra della Nuova Zelanda e, a 37 anni, quella più giovane da 150 anni.

Il Labour, prima che Ardern ne prendesse le redini in agosto – in seguito alle dimissioni del segretario Andrew Little – era dato al 24%. Little si era dimesso proprio per i pessimi risultati del partito nei sondaggi e vedeva in Ardern l’ultima speranza. L’“ultima speranza”, però, era riluttante e aveva rifiutato la proposta ben sette volte prima di accettare l’incarico (la sua ansia, ha spiegato in seguito, le impediva di ricoprire un ruolo così di spicco). Quando finalmente si è decisa, il Labour ha iniziato a crescere vertiginosamente nei sondaggi, suscitando l’entusiasmo degli elettori. Una vera e propria “Jacindamania”, come è stata chiamata dai quotidiani anglofoni.

Sotto la guida della carismatica Ardern e con un programma che ruotava attorno ai concetti di “speranza” e “cambiamento”, il partito ha raggiunto il risultato del 37%. Questo risultato, però, non è bastato per vincere le elezioni parlamentari del 23 settembre scorso. Il Labour è arrivato secondo. Il primo posto è stato ottenuto dal Partito Nazionale della Nuova Zelanda, di centro-destra – alla guida del governo uscente. Ma il suo 44,5% e i 56 seggi conquistati non sono stati sufficienti per riconfermarsi alla guida del Paese.

L’ago della bilancia fra un governo a guida Labour e un governo guidato ancora una volta dal Partito Nazionale della Nuova Zelanda è diventato, così, il terzo partito, il New Zealand First, con il suo 7% e i suoi 9 seggi.

Il NZ First nasce nel 1993, dopo che il suo leader e fondatore, Winston Peters, esce dal Partito Nazionale. Anti-immigrazione, nazionalista ed estremamente conservatore sulla questione dei diritti civili, ha comunque dei punti di contatto con il Labour, soprattutto in materia di politiche economiche e sociali. NZ First è contrario alle privatizzazioni e favorevole alle rinazionalizzazioni. È schierato, inoltre, per la difesa dei lavoratori e dei pensionati e contro l’innalzamento dell’età pensionabile. La stampa, tendenzialmente, si limita a definirlo “populista”. Ha già fatto parte di un governo di coalizione con il Labour dal 2005 al 2008.

Dopo un’attesa di 26 giorni, Winston Peters, giovedì scorso, ha sciolto le riserve e ha accettato l’alleanza con il Labour. E i Verdi hanno garantito appoggio esterno.

Ironicamente, la popolarità di Ardern era stata derubricata come «polvere di stelle» dal suo avversario principale, Bill English del Partito Nazionale, che aveva previsto che la luna di miele con l’elettorato sarebbe stata di breve durata. Ma si sbagliava. Ardern ha fatto sì che il suo partito conquistasse abbastanza posti in parlamento da avere ancora una possibilità di andare al governo, quando nessuna forza è riuscita a ottenere la maggioranza necessaria. E adesso è prima ministra.

«Vogliamo essere un governo per tutti i neozelandesi, che coglierà l’opportunità di costruire una Nuova Zelanda più equa, migliore», ha dichiarato Ardern. «Abbiamo detto che eravamo in grado di farlo e lo faremo».

Ardern si è impegnata a garantire standard di vita migliori ai neozelandesi, mettendo fine alla povertà infantile, alzando il salario minimo, costruendo migliaia di alloggi popolari e preparando al meglio per il futuro tramite università gratuita e più borse di studio.

Il risultato di Ardern rappresenta una grande conquista per la sinistra: le sue politiche progressiste sono in netto contrasto con il crescente isolazionismo nell’emisfero nord del globo. E questa è la ragione chiave per cui Winston Peters ha deciso di appoggiare il Labour e non il Partito Nazionale. Peters ha affermato che il contesto globale sta subendo cambiamenti rapidi e radicali, simili a quelli avvenuti negli anni antecedenti alla crisi finanziaria, ed è convinto che un governo a guida Labour sia la soluzione migliore per gestire il benessere sociale ed economico dei neozelandesi durante questo turbolento periodo storico.

«Per troppi neozelandesi, il capitalismo non è stato loro amico, ma loro nemico» ha aggiunto, sottolineando che le persone più fragili sono state lasciate indietro mentre l’élite politica si arricchiva. «Crediamo che il capitalismo debba riconquistare il proprio volto umano e questa convinzione ha influenzato profondamente la nostra decisione. Le questioni principali sono […] la povertà e il concentramento della ricchezza nelle mani di sempre meno persone. Tutto questo deve cambiare».

La stessa Ardern – nella sua prima intervista televisiva da capo del governo durante la trasmissione The Nation – ha chiamato il capitalismo un «enorme fallimento», prima di citare il numero di persone senzatetto e i salari bassi come prova che «il mercato ha rovinato» i poveri del suo paese. «Se hai centinaia di migliaia di bambini che vivono in case dove non c’è abbastanza per sopravvivere, questo rappresenta un enorme fallimento. Come altro si potrebbe definire? […] Com’è possibile parlare di successo quando il tuo paese è cresciuto di circa il 3% ma hai il più alto numero di senzatetto del mondo sviluppato?»

Gli indicatori utilizzati per misurare il successo economico – ha poi proseguito Ardern – «devono cambiare» e devono prendere in considerazione «la possibilità per le persone di avere davvero una vita degna di essere vissuta, in cui il loro lavoro è sufficiente per sopravvivere e supportare le loro famiglie». Il successo economico si deve basare su molto di più che il PIL («Il PIL […] misura tutto […], eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta», disse qualcuno, anni fa).

L’approccio di Ardern sembra essere diventato più radicale rispetto a quello della campagna elettorale, imperniata sui concetti di “speranza” e “cambiamento” e frasi motivazionali (non che non ce ne fosse bisogno dopo quasi dieci anni passati all’opposizione). Sicuramente lo è rispetto a quello di un partito che aveva abbracciato in tutto e per tutto la Terza Via, diventandone uno dei laboratori.

«Quando hai un’economia di mercato – ha continuato Ardern a The Nationsi riduce tutto al rendersi conto di dove il mercato ha fallito e dove c’è bisogno di intervenire». Quando le è stato chiesto se la sua politica interventista potesse essere considerata “nazionalista”, la leader laburista non lo ha negato. «Se vuole descrivere così un governo che sarà attivo e focalizzato sull’assicurarsi che ci sia lavoro nella nostra area, che ci siano infrastrutture ben sviluppate e che stiamo facendo crescere la nostra economia investendo sulla nostra gente, beh, può pure descriverlo così».

«Quello che mi hanno fatto capire la Brexit e Trump – ha dichiarato Ardern al Guardianè che questo senso d’insicurezza finanziaria è davvero presente in molti paesi. Noi politici possiamo rispondervi o con messaggi di speranza e un piano su come affrontare globalizzazione e automazione, assicurandoci che ci sia un futuro per la nostra forza lavoro e i nostri giovani; oppure assecondando quelle paure. Penso che quelle due elezioni traspirassero paura e, osservandole, ho capito di cosa dobbiamo parlare per placarla».

Quando le hanno chiesto se le era stato passato il testimone da Corbyn e Sanders, la leader laburista neozelandese ha risposto: «Cercherò sicuramente di mantenere la spinta positiva dai movimenti progressisti del resto del mondo. Ma posso solo essere me stessa. Non copierò mai nessun altro leader. Dal canto loro hanno fatto cose assolutamente incredibili, ma io sono Jacinda Ardern».

Foto di copertina: Jacinda Ardern, di Phil Walter/Getty Images Asiapac/Getty Images)

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