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Joseph Stiglitz: La globalizzazione del malcontento

Traduzione dell’articolo di Joseph Stiglitz, pubblicato su Project Syndicate con il titolo “The Globalization of Our Discontent” (5 dicembre 2017).

Quindici anni fa, ho pubblicato “La globalizzazione e i suoi oppositori”, un libro che cercava di spiegare perché nei paesi in via di sviluppo ci fosse così tanta insoddisfazione nei confronti della globalizzazione. Semplicemente, molti pensavano che il sistema fosse “truccato” contro di loro e gli accordi commerciali globali erano chiamati in causa in quanto particolarmente ingiusti.

Adesso il malcontento per la globalizzazione ha alimentato l’ondata di populismo negli Stati Uniti e in altre economie avanzate, guidata da politici che affermano che il sistema è ingiusto nei confronti dei loro paesi. Negli Stati Uniti, il presidente Donald Trump insiste che i negoziatori americani per gli accordi commerciali siano stati imbrogliati da quelli messicani e cinesi.

Ma come è possibile che qualcosa che in teoria avrebbe dovuto beneficiare tutti, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, adesso sia disprezzato quasi ovunque? Come possono gli accordi commerciali essere iniqui per tutte le parti in causa?

Per coloro che vivono nei paesi in via di sviluppo, le affermazioni di Trump – come Trump stesso – sono risibili. Gli Stati Uniti hanno praticamente scritto le regole e creato le istituzioni della globalizzazione. In alcune di queste istituzioni – come, ad esempio, il Fondo Monetario Internazionale – gli USA hanno ancora potere di veto, nonostante il ruolo ridimensionato dell’America nell’economia globale (un ruolo che Trump sembra essere determinato a ridimensionare ancora di più).

Per qualcuno come me, che ha osservato i negoziati per gli accordi da vicino per più di un quarto di secolo, è chiaro che i negoziatori americani abbiano ottenuto buona parte di ciò che volevano. Il problema sta proprio ciò che volevano. Il loro programma è stato deciso, a porte chiuse, dalle aziende. Era un programma scritto da e per le grosse compagnie multinazionali, a spese dei lavoratori e dei comuni cittadini di tutto il mondo.

Infatti, spesso sembra che i lavoratori, che hanno visto i propri salari crollare e i lavori scomparire, siano solo un danno collaterale – vittime innocenti ma inevitabili nella marcia inesorabile del progresso economico. Ma c’è un’altra interpretazione di quello che è accaduto: uno degli obiettivi della globalizzazione era indebolire il potere contrattuale dei lavoratori. Ciò che le grosse aziende volevano era forza lavoro più economica e ottenerla in qualunque modo possibile.

Questa interpretazione aiuta a spiegare alcuni aspetti apparentemente incomprensibili degli accordi commerciali. Perché, ad esempio, i paesi più avanzati hanno ceduto uno dei loro vantaggi più grossi, ossia la preminenza del diritto? Infatti, misure contenute nei più recenti accordi commerciali danno agli investitori stranieri più diritti di quelli concessi agli investitori negli Stati Uniti. Gli investitori stranieri vengono risarciti se, ad esempio, il governo adotta una norma che nuoce ai loro profitti – a prescindere da quanto sia vantaggiosa questa norma e quanto grande sia il danno causato alle aziende.

Ci sono tre possibili risposte al malcontento globalizzato nei confronti della globalizzazione.

La prima – chiamiamola la “strategia Las Vegas” – è d’insistere con la scommessa sul continuare a gestire la globalizzazione come è stato fatto nell’ultimo quarto di secolo. Questa scommessa, come tutte le scommesse su evidenti fallimenti politici (come la trickle-down economics), è basata sulla speranza che prima o poi, in futuro, questa strategia avrà successo.

La seconda risposta è il Trumpismo: isolarsi dalla globalizzazione, nella speranza che facendo così si riporterà indietro un mondo ormai appartenente al passato. Ma il protezionismo non funzionerà. Globalmente, i posti di lavoro nell’industria manifatturiera sono in declino, semplicemente perché l’aumento della produzione ha superato l’aumento della domanda.

E anche se l’industria manifatturiera tornasse, non tornerebbero i lavori. La tecnologia avanzata impiegata nel manifatturiero, inclusi i robot, implica che i pochi posti che si andranno a creare richiederanno lavoratori altamente qualificati e che, inoltre, saranno mandati in aree diverse da quelle dove sono si sono persi posti di lavoro. Come l’intestardirsi, questo approccio è destinato a fallire, e così ad aumentare ulteriormente il malcontento di coloro che sono stati lasciati indietro. […]

C’è un terzo approccio: protezione sociale senza protezionismo, il tipo di approccio dei piccoli paesi nordici. Questi sapevano che in quanto piccoli paesi dovevano rimanere aperti. Ma sapevano anche che per rimanere aperti avrebbero esposto i propri lavoratori a dei rischi. Quindi, dovevano avere un contratto sociale che aiutasse i lavoratori a muoversi dai vecchi impieghi a quelli nuovi e fornire un po’ di aiuto durante il periodo di transizione.

I paesi nordici sono società profondamente democratiche, quindi sapevano che a meno che la maggior parte dei lavoratori non avesse considerato la globalizzazione come un qualcosa che portava loro benefici, questa non sarebbe stata sostenibile. E i ricchi di quei paesi si sono resi conto che se la globalizzazione funzionava come doveva, ci sarebbero stati guadagni per tutti.

Il capitalismo americano degli ultimi anni è stato segnato da un’avidità sfrenata – la crisi finanziaria del 2008 lo ha confermato ampiamente. Ma, come hanno dimostrato alcuni paesi, un’economia di mercato può prendere forme che temperano l’eccesso di capitalismo e globalizzazione, che portano a una crescita più sostenibile e a standard di vita più alti per la maggior parte dei cittadini.

Possiamo imparare cosa fare da questi successi, come possiamo imparare dagli errori del passato cosa non fare. Come è diventato evidente, se non gestiamo la globalizzazione in modo che benefici tutti, le reazioni negative – dai nuovi malcontenti nel nord del mondo e i vecchi malcontenti nel sud – rischiano d’intensificarsi.

(Foto: scanrail / iStock)

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