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La campagna elettorale e i numeri

In questa campagna elettorale fatta di sogni a buon mercato, un richiamo ai numeri della dura realtà potrebbe essere utile a rendere meno brusco il risveglio degli italiani all’indomani del voto.
Tra le tante sciocchezze che i politici vecchi e nuovi ci raccontano, un numero sembra fare da spartiacque tra i più “virtuosi” e quelli più dotati di fantasia e di finanza creativa.
Si tratta del mitico 3% di deficit. Con Berlusconi-Renzi che si impegnano a rispettarlo, da una parte, e Salvini-Di Maio che, invece, propongono con ardimento di andare oltre l’ostacolo.

Tornando alla realtà, va detto innanzitutto che quella percentuale semplicemente non esiste se non nei sogni e nelle aspettative di chi la propone.
Con la legge di bilancio da poco approvata, infatti, gli impegni assunti con la Commissione Europea, sono che per quest’anno il deficit dovrà scendere all’1,6% del Pil e per il 2019 attestarsi allo 0,9%. Si tratta di limiti che sono il frutto di lunghe ed estenuanti trattative, condotte con Bruxelles da tutti i governi, dal 2011 ad oggi, per rinviare, anno dopo anno, il risanamento dei nostri conti pubblici.
Raggiungere questi obiettivi, a legislazione vigente, sarà molto complesso. Infatti, per stare nell’1,6% di deficit quest’anno occorrerà una manovra finanziaria a maggio di alcuni miliardi ed immaginiamo già come questa verrà raccontata agli italiani dal vecchio o dal nuovo governo che guiderà il Paese, dopo le attuali promesse mirabolanti.

Sempre il governo, stavolta presumibilmente il nuovo, si troverà in autunno a scrivere la legge di bilancio 2019. Scoprirà che serviranno 15 miliardi solo se si vorranno disinnescare le clausole automatiche di aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti, del tutto assenti dal dibattito elettorale.
Battendo i pugni sui tavoli di Bruxelles fino a slogarsi i polsi, forse il nuovo Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’economia riusciranno ad ottenere una qualche limitata flessibilità. Ma se non saranno 15 i miliardi da trovare, certamente non scenderanno sotto i 10. Non c’è infatti da sperare troppo nella magnanimità dei nostri partner, i quali sono ormai piuttosto malfidati riguardo alle promesse di risanamento italiane.

E qui ci sovviene un altro numero: quello del rapporto tra il debito pubblico e il PIL che nell’intera Eurozona (Italia compresa) è sceso in questi anni all’88% e si avvia ad avvicinarsi all’85% nei prossimi anni.
Quasi tutti i paesi dell’area euro, infatti, approfittando dell’eccezionale calo dei tassi assicurato dalla politica di espansione monetaria della BCE e della crescita economica nominale (crescita reale più inflazione) conseguita in presenza (o, meglio, grazie) alla virtuosità, hanno ridotto il loro debito in rapporto al prodotto e ne stanno beneficiando in termini di tassi di interesse da pagare agli investitori per collocare i propri titoli di Stato. Tutti gli spread si stanno avvicinando a quello dei bund tedeschi, ad eccezione di quello italiano (136 punti base oggi, contro i 76 della Spagna, non molto tempo fa considerata più rischiosa, e i 112 del Portogallo).
Anche a voler prescindere dagli ostacoli della Commissione Europea, l’interlocutore più importante da convincere saranno il mercati obbligazionari, oggi ancora tenuti a freno dalla BCE.
Questa, con le parole del suo Presidente, Mario Draghi di ieri, ha assicurato il mantenimento dei tassi attuali almeno per tutto il 2018. Però il quantitative easing si avvia al termine, così come il mandato di “supermario”, che scadrà a ottobre del 2019, quando probabilmente sarà sostituito da un esponente più vicino agli interessi dell’area più rigorista dell’Unione monetaria.

In conclusione, sarebbe quanto mai necessaria una certa ragionevolezza anche in campagna elettorale e sono certo che gli italiani apprezzerebbero programmi più vicini alla realtà, limitati negli obiettivi e certi nelle coperture.
Su molti punti c’è convergenza da parte di tutte le forze politiche: una scuola in grado di formare le professionalità richieste (abbiamo un deficit di laureati in discipline scientifiche e di diplomati negli istituti tecnici), risorse per combattere la povertà e il disagio sociale, interventi sulla competitività per favorire gli investimenti privati (sulla scorta del piano industria 4.0) e pubblici per rinnovare le infrastrutture e la difesa del territorio. E accanto a queste, il perseguimento di una maggiore efficienza delle strutture pubbliche, condizione essenziale anche per favorire gli investimenti esteri in Italia, ancora tra i più bassi fra i paesi dell’Eurozona, nonostante l’Italia sia uno dei paesi più attrattivi del mondo per bellezza, clima e cibo.
Gli spazi ci sono ed anche le risorse, che devono però venire da tagli alle spese e, se ciò non basta, da nuove imposte. Ovvio che non potremo più permetterci bonus come il regalo di compleanno del governo ai 18 enni e l’esenzione da imposte anche delle case dei ricchi.
Ma una forza politica seria si definisce tale perché sa operare delle scelte.

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