Rossi rivoluzionario

La “follia” rivoluzionaria di Enrico Rossi

1) Alcune considerazioni su un “libro” che segnala nella sua composizione la trasformazione della comunicazione, l’interazione tra social e stampa, la complessità del rapporto partito-istituzioni. Fresco di stampa “Rivoluzione socialista. Idee e proposte per cambiare l’Italia”(Lit Edizioni Roma 2016) è in effetti un dispositivo che tenta di rendere nuovamente senso comune il progetto politico. Non è solo una poderosa intervista a un leader e ad un amministratore. Esibisce a tutto campo, un insieme di testi etico-politici e un’attenta critica dell’”ideologia”. Nella sua forma programmatica si pone come una vera e propria alternativa alla cosidetta “rivoluzione passiva” — scandagliata di recente da Sabino Cassese.
L’autore è Enrico Rossi che delinea pezzi di un programma di sinistra senza disconoscere la funzione determinante delle riforme di Prodi e di Renzi , al fine di rimediare ai disastri del centrodestra e contrastare l’avventura populista. Sollecitato da un gruppo di lavoro che diventa co-autore , il presidente della regione Toscana associa con agilità di analisi la cronaca della polemica e dello stesso precipitare della crisi ad una prospettiva storica alta, nella quale ripone, senza rinunciarvi mai, l’intreccio e la distinzione costituzionali tra il richiamo ai valori e la pratica politica. Con accento erasmiano compara la propria scelta di concorrere alla segreteria del PD ad una follia, e fa slittare il richiamo filosofico nell’abito dell’amministratore che ripercorre la propria autobiografia inscrivendola nella tradizione della sinistra italiana. Cita in proposito Keynes e La Pira per sostenere che i veri pazzi sono quelli che non credono alla necessità della piena occupazione e perciò non sentono l’urgenza di ristrutturare l’economia a questo fine.

2) Senza incertezze Rossi presuppone il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte che riguardano la loro vita. Il suo socialismo non si sposa con una politica meramente pragmatica, priva di memoria, di radici, di autorevolezza, ma veicola una politica e una amministrazione che non solo sappiano come si governa ma sappiano riconoscersi nel loro intersecarsi europeo e occidentale. In tutto il testo non si fa appello ad una partecipazione generica al “nuovo”, ai “giovani” contro i “vecchi”. Nell’eredità della “fede socialista”, nella possibilità di superare lo stato di cose esistenti, l’autore invece che la divisione auspica il tenersi insieme delle generazioni (come esemplarmente quella del ’68 e quelle della Millennial Generation) il raccordo di diritti civili, di diritti sociali, dell’emancipazione di genere. Si fa promotore di un nuovo patto tra capitale e lavoro, intravisto ripetutamente, in questa fase, nell’alleanza con le “imprese dinamiche”, sparse in tutto il territorio nazionale e portatrici di un innesto economico-sociale rigeneratore della capacità di presa delle forze progressiste.
A partire da questi abbozzi, l’autore Rossi ci dice anche che si può fuoriuscire dalla cronaca della rottamazione e si può recuperare con chiarezza, su uno sfondo storico, la richiesta, che sembra utopica in Italia, di “un ricambio delle classi dirigenti” . Prospettiva, quest’ultima, già presente a partire dagli anni Settanta del “secolo breve” come orizzonte di aspettative mancate –anche per responsabilità del Pci che non seppe aderire allora, tempestivamente, al socialismo europeo e non “riuscì a costruire l’unità a sinistra”. Dopo di allora, continua Rossi, il Paese fu consegnato per la forza delle cose al consociativismo e a una modernizzazione di facciata, fondata sull’evasione fiscale, sulla corruzione e su una spesa pubblica distorta.

3) La democrazia come fonte propulsive di mediazione e distinzione, come snodo e rimedio che impedisce la centralizzazione violenta e velleitaria delle forze populiste alla conquista delle periferie, è richiamata dal presidente toscano, come grande questione nazionale anche a proposito del rapporto stato-regione e delle riforme costituzionali. La posizione è interessante non solo perché ovviamente e decisamente contraria alla visione reazionaria e preunitaria della lega e a quella ingegneristica della destra centrista ma perché nella “questione” viene coinvolta quella meridionale. Personalmente, alcuni tratti del programma di Rossi mi sembrano vicini, ovviamente aggiornati, a quelli del gruppo Gramsci a Napoli—descritti da Ermanno Rea. La vera unità e sicurezza nazionale del Paese, dice Rossi, dipende dai servizi essenziali e dai beni pubblici—campi irrinunciabili per una forza di sinistra. Sanità e scuola, regime pubblico dell’acqua, dei trasporti, assetto idrogeologico e tutela del paesaggio, rigenerazione delle periferie delle città sono fondamenti e radici dello Stato in tutte le regioni. Sono anzi la stessa relazione stato-regioni, anche nelle tragiche realtà del meridione. Sul tema, per niente secondario, del governo del territorio, il presidente della Regione Toscana non ha peli sulla lingua: risale al 1963, al fallimento della riforma di Fiorentino Sullo che lasciò mano libera alla speculazione fondiaria, ai condoni, alla distruzione del paesaggio e alla cementificazione del territorio . A questo proposito, anche per le “indie interne”, Rossi richiama in più punti l’esperienza toscana. Si dichiara apertamente a favore di ”una misura universale di sostegno al reddito , per iniziare ad affrontare il divario che oggi esiste al Sud rispetto al Nord del Paese. E per ritrovare un simbolo del Mezzogiorno democratico sottolinea con forza la distinzione tra destra e sinistra, la partecipazione e l’emancipazione delle masse offese nel loro ciclo vitale, la dimensione del collettivo, della comunità, dei corpi intermedi, del sindacato, opposti alla politica dei “manipoli”.

4) La seconda e la terza parte del testo sono peculiari per se stessi. L’una è una raccolta di scritti pubblicati in varie occasioni (Huffington post, Facebook) In essi l’amministratore, il politico, il cittadino, non è estraneo all’ uomo. Sembra quasi che la scelta degli interventi, che assumono a volte l’aspetto di frammenti etico-politici, sia stata dettata non solo dai problemi e dal taglio con cui vengono affrontati , ma anche in quanto palesano la “situazione emotiva” dell’amministratore e del leader, la sua partecipazione, e l’accento quasi di confessione con cui spesso si mette in gioco. Politica e autobiografia: è questo il caso per es. di “Le macerie di Roma e il partito nuovo“; di “La mia storia “(“La mia storia è quella di un comunista democratico”), di “La dieta di mia nonna” (“Io vengo da una famiglia di contadini”…), di “Morire di lavoro” (Ci sono notti in Puglia…) di “La libertà delle donne, la brinata e le erbe, mia nonna Santina” …. L’altra parte del testo, tematizza l’aut-aut di Enrico Rossi, proiettato sul lettore a cui viene chiesto, sulle note di una folksong, da che parte sta, oggi: nell’attuale era digitale, nell’attuale contesto di sviluppo della tecnica e dell’ideologia liberistica globale, dove quotidianamente, e in particolare in Italia, emerge in primo piano la soggettività inquietante del “rifugiato”, dell’”immigrato”.

Rammento, infine, con un cenno il gruppo di lavoro-intergenerazionale che ha lavorato eccellentemente al testo: Peppino Caldarola ha condotto l’intervista. I frammenti etico-politici sono stati scelti da Alfonso Musci e Pasquale Terracciano. Tommaso Michea Giuntella (un cognome che mi riporta alla memoria gli incontri della “Rosa Bianca” nel Trentino) ha scritto la postfazione.

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