Legalita

La generazione della legalità

La legalità è di sinistra. Penso che una compagine politica che si dica veramente rivoluzionaria, di Sinistra e coraggiosa non può non affrontare a testa alta e con forza delle battaglie imprescindibili: Legalità, questione morale e lotta alla mafia e alla corruzione.

Dico questo perché sono un ragazzo di 25 anni che fa parte di una generazione nata durante anni drammaticamente bui per la politica e la lotta civile italiana. Gli anni dall’’89 al ’94, anni che hanno segnato la nostra generazione, nel bene e nel male. Eravamo piccoli, molti erano neonati, ma abbiamo lo stesso implicitamente assorbito gli effetti di un periodo che ha cambiato radicalmente la direzione della nostra Repubblica, dando avvio a vent’anni di storia, dal mondo all’Italia, tra spinte verso un futuro da costruire e rassegnazione ad un inesorabile declino.

Gli anni ’90 hanno rappresentato uno spartiacque per la politica italiana. Cambia tutto in maniera rapida e radicale.

Il 1992 vede protagonista il governo Amato, tra campagne elettorali estenuanti, passaggi istituzionali complessi, instabilità politica e una situazione economica pericolosa, situazione destinata a chiudersi a fine aprile 1993, qualche mese dopo il primo avviso di garanzia inviato a Bettino Craxi che avrebbe dato l’avvio a Tangentopoli e subito dopo il primo avviso di garanzia a Giulio Andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa.

Siamo in un contesto generale di tensione del paese che vede da una parte il Mezzogiorno teatro di due violenti attacchi di stampo mafioso nei confronti dei due più importanti giudici del pool antimafia, il 23 maggio 1992 venne ucciso Giovanni Falcone e il 19 luglio Paolo Borsellino.
Il 1992 e 93 sono anni in cui il debito pubblico reale sale in maniera più veloce del Pil e dal 1991 al 1994 il rapporto debito pubblico/Pil passa dal 98,59% al 121,84%. Con la fine del governo Ciampi, che seguì ad Ameto, si assiste alla discesa in campo dell’imprenditore Silvio Berlusconi, siamo nel 1994 e Berlusconi vince immediatamente le elezioni del 27/28 marzo, sulle macerie di Tangentopoli e di partiti ormai devastati, ricevendo l’incarico dal presiedete Scalfaro.

La nostra generazione non era ancora capace di “intendere e di volere”, non era capace di capire, ad esempio, che cosa stava accadendo durante quei 57 giorni che hanno rappresentato il periodo più oscuro e drammatico della storia della nostra Repubblica, dalla strage di Capaci a quella di Via D’Amelio. Negli anni però, crescendo, ci siamo appassionati e interessati a queste tematiche e abbiamo ben inteso quello che è accaduto. Per noi Falcone e Borsellino e tutti i morti per la libertà, la lotta politica e per la legalità, hanno rappresentato dei punti di riferimento, forse gli unici nel panorama desolante degli ultimi 20 anni. Per questo motivo Falcone e Borsellino non rappresentano per noi degli eroi ma delle persone per bene, dei combattenti per la legalità e il bene comune, dei punti di riferimento appunto.

Ho riassunto brevemente il quadro politico, economico e istituzionale di quegli anni perché risulta inquietante, a mio modo di vedere, il paragone con il periodo che stiamo vivendo noi, dalla caduta di Silvio Berlusconi nel 2011 fino ad oggi, quei neonati e bambini ormai cresciuti che hanno visto quasi solamente cosa voglia dire vivere in piena crisi economica, politica ed istituzionale, ed oggi scoprono anche cosa voglia dire vivere in un periodo di terrore, di stragi, di sospetto, di illegalità e corruzione diffuse.

La legalità è per noi motivo di passione, di lotta politica e civile, e dovrà essere imprescindibilmente al centro del futuro programma di governo del paese.

Questo punto di vista parte dal presupposto che la futura alleanza di sinistra avrà dinnanzi ad ogni scelta due opzioni: l’immobilismo e la degenerazione delle energie positive e l’azzeramento delle opportunità, oppure la volontà di dividere il buono dal marcio, come diceva Gramsci “per evitare che il morto possa mangiarsi il vivo!”.

Legalità, cultura, coesione sociale e democrazia dovranno essere viste in una visione complessiva e radicalmente opposta a come sono state messe in pratica fino ad oggi.

La democrazia per noi poggia su tre pilastri: giustizia, dignità umana e responsabilità, solo così la lotta per la legalità e contro tutte le mafie e la corruzione potrà partire da basi solide.

C’è bisogno, ad esempio, di una legge anticorruzione seria che incida sui rapporti tra Stato e singoli e non solo tra singoli cittadini. Dopo aver assistito ad anni di depenalizzazioni e taglio dei termini di prescrizione, ora il parlamento deve costruire una normativa seria contro la corruzione, coerente con i trattati europei e degna di un paese civile.

Questa battaglia deve rientrare in una grande e generale operazione di ridistribuzione di risorse, ricchezze e opportunità!

I giovani di oggi hanno bisogno del nostro impegno e nostro coraggio per poter reagire e tornare a impegnarsi per il proprio paese e futuro e solo così potremmo inserire quella linfa vitale che riaccenda le speranze e rimetta in moto un processo di cambiamento sano.

E allora bisogna dire con forza che la lotta alla mafia si fa nei territori, certamente, ma sopratutto a Roma! Abbiamo bisogno di trasformare la paura in speranza: democrazia, opportunità, lavoro, scuola e formazione. Abbiamo un vitale bisogno di ritornare a distinguere per non confondere, perché a parlare di legalità siamo bravi tutti.

È importante, come in ogni cosa, lo studio della realtà che andiamo ad affrontare e cambiare. Cosa Nostra ad esempio, all’epoca dei drammatici fatti, imponeva il potere attraverso direttive che erano implicitamente collegate allo Stato per non creare un clima ostile (spesso però le tregue si scioglievano). Oggi invece come e dove agisce?

C’è bisogno di tornare a parlare di questione meridionale per liberare una generazione dalle catene del clientelismo, dell’omertà e della povertà: le armi migliori di scambio e di potere per una classe dirigente miope e rapace. La Mafia interviene proprio in questi casi, sostituendosi allo Stato, cogliendo le opportunità e le debolezze del popolo e del mondo istituzionale e imprenditoriale.

C’è bisogno di riaccendere l’entusiasmo e la passione attorno alla riscoperta di una cultura della legalità che sia costituita dall’insieme di principi e non solo del semplice rispetto della legge. La legalità è la forza dei deboli, la mafia è violenza e prevaricazione contro ogni regola e rappresenta in questo l’eclissi della legalità. Il silenzio e l’indifferenza sono ossigeno per i criminali.

Questa è la cultura della legalità, non quella sospettosa che addita immigrati come possibili criminali. Siamo chiamati a non sbagliare e a respingere la cultura del sospetto, quella cultura agghiacciante e violenta in nome della quale sono stati commessi i crimini più efferati. In nome della cultura del sospetto sono stati trucidati uomini, donne, omosessuali, disabili, dissidenti politici, e sempre in nome del sospetto sono stati trucidati oltre sei milioni di ebrei per mani di bestie naziste. Non è questo che serve quando si parla di sicurezza, lotta alla corruzione, alle mafie, al terrorismo.

La conquista della legalità non deve essere legata a poche figure di eroi, come è accaduto troppo spesso in passato, con la responsabilità delle attuali e passate classi dirigenti delle quali è mancata la coerenza, la morale, l’autorevolezza. I giovani hanno bisogno di legarsi a dei modelli positivi e questa mancanza ha portato ad una progressiva riduzione dell’etica.

Nel parlare di legalità e di lotta alla mafia non posso non pensare ancora a quei drammatici 57 giorni che si conclusero con la strage di Via D’Amelio, con l’uccisione del giudice Borsellino e della sua scorta, con la scomparsa dell’agenda rossa.

Quell’agenda, regalata dall’arma dei Carabinieri, è diventato un simbolo della richiesta di una verità occultata per troppo tempo al nostro paese. Borsellino vi registrava tutti i fatti, anche quelli più insignificanti, che aveva vissuto dal 23 maggio precedente, da quando cioè sull’autostrada di punta Raisi le mafia e chi se ne serve aveva strappato la vita del compagno di lotta Giovanni Falcone.

Falcone e Borsellino erano arrivati in maniera chiara a contrastare quella che Don Ciotti definisce “la zona grigia di questo paese”, perché la forza della mafia sta in quelle alleanze, in quelle connessioni e collaborazioni, in quell’area grigia fatta di parti di corpo sociale di cui alcuni professionisti si mettono a servizio, fatta di segmenti della politica e del mondo imprenditoriale.

Oggi abbiamo di fronte un quadro in cui poche persone sanno ancora la verità, ma si può ben intuire che nel sottoscala di questa Repubblica si nascondono fatti ed atti scomodi. Che cosa è accaduto attorno alla croma blindata di Borsellino mentre il corpo del Magistrato giaceva sull’asfalto ardente di una Via D’Amelio devastata dal tritolo? Chi è stato in quel momento di macerie, di vite spezzate, in quel momento in cui il tempo del nostro Stato e della nostra democrazia si è fermato, chi ha avuto la lucidità di prendere quell’agenda? Noi vogliamo verità per onorare il lavoro di uomini di Stato che si erano messi di traverso ad una trattativa tra mafia e pezzi dell’antistato. Sì, parlo di antistato, perché lo Stato, quello di cui essere orgogliosi, erano persone come Flacone e Borsellino.

Falcone e Borsellino forse erano dei sognatori, ma sono tuttora la testimonianza di chi ha pagato per migliorare il mondo sognando un paese migliore, forse hanno dato vita ad un movimento utopico ma sono convinto che questi movimenti alimentino più di ogni altra cosa la democrazia e il cambiamento storico. In questo la qualità dei giovani sta nell’essere ingenui e genuini, non ancora dotati di scetticismo, pensando banalmente che i sogni siano ancora realizzabili, proprio come hanno pensato a testa alta, fino alla fine, Falcone e Borsellino.

Nella foto di copertina: La strage di Capaci

 

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