Pippo Civati, Nicola Fratoianni, Roberto Speranza, Alessandro Capelli,

La guerra alle disuguaglianze: prima la Svezia, Italia sedicesima

Il tema della lotta alle disuguaglianze si è ormai imposto nel dibattito pubblico. Ma nel concreto qual è l’impegno degli Stati per la riduzione delle disuguaglianze? Quali sono i paesi più virtuosi e quali quelli che lo sono meno?

Un nuovo indice (Committment to reducing inequality index) elaborato da Oxfam in collaborazione con Development Finance International e pubblicato ieri fotografa la situazione attraverso l’analisi delle politiche di 152 Stati del mondo. Il CRI Index – si legge nel rapporto – misura gli sforzi dei governi in tre aree chiave: spesa sociale, tasse, lavoro (salari e diritti). Queste aree sono considerate centrali in quanto hanno un ruolo cruciale nel ridurre le distanze fra ricchi e poveri. Inoltre, le azioni su questi tre piani si influenzano positivamente a vicenda. La progressività fiscale, ad esempio, è di per sé buona cosa, ma per la lotta alle disuguaglianze i risultati migliorano ulteriormente se la leva del fisco viene impiegata sulla spesa sociale.

Il rapporto mostra che le disuguaglianze sono tutto fuorché inevitabili, ma risultano come prodotto di precise scelte governative. «I paesisi legge in un approfondimento sul Guardiansono solitamente valutati utilizzando il coefficiente Gini, che misura la distribuzione di redditto e ricchezza, e classifica un paese attribuendogli un valore da 0 (totale uguaglianza) a uno (totale disuguaglianza)». Tuttavia, viene sottolineato nell’articolo, «il coefficiente Gini non dà alcun senso delle cause delle disuguaglianze, che sono complicate e molteplici». Il CRI Index si prefigge di colmare questa lacuna.

Per stilare l’indice, a ogni Stato è stato attribuito un punteggio da 0 a 1 per ogni indicatore e poi inserito in classifica in base al punteggio complessivo. Più alto è il punteggio, maggiore è l’impegno dei paesi nel ridurre le disuguaglianze. Ai primi dieci posti si piazzano Svezia, Belgio, Danimarca, Norvegia, Germania, Finlandia, Austria, Francia, Paesi Bassi, Lussemburgo.

L’Italia occupa il 16° posto (nello specifico: 17° per la spesa sociale, 14° per la tassazione, 29° per le politiche del lavoro). Fanalino di coda la Nigeria, preceduta da Bahrain, Myanmar, Albania, Panama.

I paesi più ricchi, solitamente, perdono punti in classifica a causa delle tassazioni alle imprese. Per esempio, la media dei paesi G20 è crollata dal 40% del 1990 al 28,7% del 2015. Max Lawson, direttore del dipartimento per le politiche per le disuguaglianze di Oxfam International, commenta così: «I paesi ricchi tendono ad andare male sulle tasse perché è opinione comune che le tasse vanno fatte pagare ai consumatori con l’IVA. Così i ricchi pagano sempre meno perché questo viene visto come il modo per alleggerire l’economia e far sviluppare la crescita».

A gennaio scorso, il rapporto Oxfam sulle disuguaglianze ha fatto parlare moltissimo, a cominciare dai social media. Il dato principale che evidenziava come otto uomini possiedono la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale è la fotografia estrema delle disuguaglianze sul reddito. Confermata dalla crescita notevole negli ultimi anni della differenza fra i redditi dei capi e quelli dei lavoratori. Scrive sempre il Guardian, «nel Regno Unito, un dirigente del gruppo FTSE guadagna 386 volte quello che guadagna un lavoratore dal salario medio». Infatti, «mentre i salari reali sono rimasti sostanzialmente fermi, le paghe degli amministratori delegati hanno continuato a salire, nonostante la crescita lenta. La quota dei profitti utilizzata per i salari dei lavoratori è diminuita, mentre quella per il capitale (dividendi, interessi, utili delle aziende) cresce».

Per quanto riguarda la spesa sociale, i paesi che sono andati meglio sono gli Stati europei che, in passato, hanno creato un sistema di welfare forte. Ma molti di questi “vivono di rendita”: negli ultimi anni, infatti, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, i governi hanno iniziato a intaccare lo Stato sociale. Parlando del solo Regno Unito, molti considerano il suo servizio sanitario nazionale come il fiore all’occhiello del paese, che però la classifica di Oxfam pone al 77° posto per la spesa sanitaria.

In Svezia, al primo posto del CRI Index, il centro-sinistra ha governato il paese per 81 degli ultimi 100 anni, con l’obiettivo di essere la “casa del popolo” (folkhemmet): lo stato socialdemocratico è come una famiglia, che si prende cura di tutti e non lascia indietro nessuno. Grazie alle politiche portate avanti dai governi socialdemocratici, la Svezia è uno dei paesi più socialmente eguali al mondo. Ma, nonostante la sua reputazione, negli ultimi decenni ha dovuto affrontare dei problemi con le disuguaglianze. Dagli anni ’80, infatti, ha conosciuto la crescita delle disuguaglianze più notevole fra i paesi OCSE.

Le radici di questo aumento delle sperequazioni sociali risalgono agli anni ’80, quando i socialdemocratici iniziarono a sperimentare politiche di libero mercato e deregolarono il mercato creditizio. Questo cambiamento ha subito un’accelerazione ulteriore dopo la grave crisi economica all’inizio degli anni Novanta.
Infatti, prima il centro-sinistra svedese ha privatizzato infrastrutture e servizi (Poste, elettricità, telecomunicazioni, ferrovie), poi i conservatori, al potere dal 2006 al 2014, hanno tagliato le tasse sul reddito e sulle proprietà, tolto la tassa sulla ricchezza e, al contempo, hanno introdotto agevolazioni fiscali per i proprietari di piccole imprese.

La Sveziascrive il Guardian – conta adesso 178 miliardari (+22 rispetto al 2015), che insieme possiedono più del doppio del budget statale annuale.
Anche il numero di milionari sta crescendo rapidamente. L’anno scorso, poi, l’UNICEF ha rilevato che, sul fronte delle prospettive di vita dei bambini più poveri, la Svezia si trovava in una “spirale discendente”. Secondo l’Agenzia nazionale della Salute Pubblica, un cittadino svedese che ha solo un’istruzione primaria rischia di vivere cinque anni in meno rispetto a chi ha un diploma universitario.

Comunque sia, nonostante tre decenni di deregolamentazione del mercato, tagli alle tasse e riduzione del welfare, in Svezia – sottolinea Oxfam – tassazione e politiche di spesa sono ancora fra le più progressive del mondo e il supporto delle donne nel mondo del lavoro resta esemplare.
E da qualche tempo, dopo gli anni della deregulation neoliberista, il Paese ha invertito la rotta. Nel 2014 Socialdemocratici e Verdi sono tornati al governo e hanno raddoppiato gli sforzi per ridurre il gap fra ricchi e poveri. Sono tornati indietro sugli “irresponsabili tagli alle tasse”. Aiutati da un’economia fiorente, la coalizione rosso-verde ha aumentato i sussidi per la disoccupazione, per la malattia, per le famiglie con bambini e le tasse sui redditi più alti. Ha inoltre istituito una Commissione per l’Uguaglianza nella Sanità.

Ma aldilà del caso svedese, si assiste in generale a un cambio di prospettiva nell’approccio alle disuguaglianze. Mentre negli anni ’90 l’OCSE plaudiva ai tagli ai salari e al welfare, adesso – evidenzia il Guardian – produce ricerche che dimostrano come le disuguaglianze siano nocive per la crescita economica. L’FMI, che un tempo difendeva a spada tratta il neoliberismo, ora mette la lotta alle disparità al centro del proprio mandato, perché aiuta i paesi a migliorare la propria resa economica.

Oxfam suggerisce inoltre che anche chi è ai primi posti di questa nuova classifica può migliorare ulteriormente. Più di due terzi dei paesi inclusi nell’indice stanno facendo meno della metà di quello che potrebbero fare per ridurre le disuguaglianze. Ma, almeno, il tema è riaffiorato nel dibattito politico globale.

Commenti