epa05133258 A Union Jack flag flutters next to European Union flags ahead a visits of the British Prime Minister David Cameron at the European Commission in Brussels, Belgium, 29 January 2016. Cameron arived in Brussels for unscheduled talks on a Brexit referendum.  EPA/LAURENT DUBRULE

La lezione della Brexit: ricostruire il socialismo in Europa

Brexit vuol dire anche crisi del socialismo europeo. L’idea di Europa nasce dalla convergenza del popolarismo, del socialismo e dalla visionarietà di personaggi come Spinelli. In anni cruciali il socialismo europeo era guidato da leader carismatici come Blair, dalla sequenza di leader francesi, e da leader dell’Spd come Schmidt come Schroeder, oggi piazzista del gas russo.

Sono stati anni importanti, soprattutto quelli che hanno coinciso con l’invenzione della Terza Via e con l’avvento di Prodi come pivot europeo. Di quegli anni è rimasto poco ovvero niente. Il prodismo ha lanciato il tema dell’apertura erga omnes dell’Unione incorporando paesi che poi si sono rivelati vera fucina di xenofobia e di estremismo di destra. Il socialismo europeo si è presentato all’appuntamento per la guida del Vecchio continente senza alcuna idea bucata in testa, anzi debitore di tutto il credo liberista possibile.

Non è solo morta in questi giorni una certa idea di Europa, è morta anche la funzione del socialismo come motore dell’idea europea. Ed è morta perché non c’è stata alcuna differenza fra il socialismo delle famiglie socialiste e le politiche delle burocrazie comunitarie o le ferree regole di austerità propugnate dai governanti tedeschi. Il socialismo europeo non ha speso una lacrima per la Grecia, per la Spagna, era pronto a sacrificare pure noi. L’Europa socialista semplicemente non è mai esistita se non come ceto politico che collaborava o faceva in proprio le politiche di austerità dei governanti tedeschi.

Non era questo il punto di partenza. Il punto di partenze era un’Europa di eguali, che ricercava ossessivamente i tratti comuni e difendeva le differenze, che si istituiva non solo come mercato unico ma soprattutto come “patria” unica alla cima di tante patrie. Era un’Europa che traeva dalla storia del suo Welfare le idee di lotta alle diseguaglianze che il mondo invidiava e capiva. Era l’Europa he sapeva stare in prima fila, nell’auto o nel tecnologico più avanzato.
E’ diventata l’Europa delle regole, delle burocrazia, del popolarismo privo di amore per la persona, di socialismo senza riforme.

Vista dall’Europa l’ultima crisi finanziaria avrebbe dovuto suggerire una vera riflessione sul mondo, sul ruolo dei governi, delle istituzioni sovragoverntive, sulle possibilità di controllo di potenze finanziarie apparentemente irrefrenabili. Vista dall’Europa il mondo avrebbe potuto ricavare il vantaggio della sindacalizzazione e della tutela sociale parlando così alla più numerosa classe operaia della storia dell’umanità, alla faccia di chi scrive che la classe operaia è finita perché a Vigevano ce n’è un po’ di meno.

Invece leadership e culture socialiste si sono appannate, hanno persino personalità, hanno curvato la scena. Timorosi di essere definiti critici del mercato, di questo mercato impazzito hanno accettato tutto, complici i burocrati comunitari. Poi vi chiedete perché i poveri fanno la loro personale lotta di classe a fianco dei ricchi e dei populisti.

Non ricostruiamo l’Europa se non ricostruiamo il socialismo in Europa. E il socialismo da ricostruire in Europa non è pura enfatizzazione del nome, né terza via blairiana. E’ potere e redistribuzione. E’ critica del capitalismo, è ruolo di uno stato leggero ma influente sulle grandi scelte. Servono leader per questa nuova avventura. Probabilmente da non scegliere fra gli sconfitti delle altre.

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