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La malattia di Ratko Mladić che infetta l’Europa

Traduzione dell’articolo di Nidzara Ahmetasevic, pubblicato su Al Jazeera con il titolo “The Ratko Mladic disease infecting Europe” (22 novembre 2017). Nidzara Ahmetasevic è una studiosa e giornalista indipendente della Bosnia ed Erzegovina ed è, inoltre, membro dell’Alliance for Historical Dialogue and Accountability della Columbia University.

Ratko Mladić, comandante in capo dell’esercito Serbo-bosniaco, è stato condannato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Bosnia ed Erzegovina fra il 1992 e il 1995 e per il genocidio commesso a Srebrenica nel luglio del 1995.

Il giudice del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) ha dichiarato che Mladić è stato dichiarato colpevole per alcuni dei crimini più orrendi conosciuti all’umanità. E che passerà il resto della sua vita in prigione.

Questo verdetto non cambierà nulla nelle vite delle persone in Bosnia o in quelle della diaspora in tutto il mondo. Ma almeno possiamo trovare conforto nel pensiero che una qualche giustizia esiste in questo mondo e che coloro che sono responsabili per certi crimini orribili, prima o poi, finiranno in prigione.

Almeno, è come mi sono sentita io, mentre ero seduta nell’aula di tribunale e ascoltavo il giudice mentre leggeva il verdetto. Ma c’è ancora una domanda che mi turba: cosa abbiamo imparato dalle guerra in Jugoslavia, se abbiamo imparato qualcosa?

Ratko Mladić e il Presidente dell’allora Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, Radovan Karadžić (condannato a 40 anni di prigione dall’ICTY), hanno iniziato la loro sanguinosa campagna nel 1992. Sotto il loro comando, le persone sono state uccise, stuprate, torturate, cacciate dalle loro case, bruciate vive e mutilate. Tutto questo accadeva nel cuore dell’Europa, mentre l’Unione Europea e le sue istituzioni venivano costituite, celebrate e lodate come un qualcosa che avrebbe portato speranza, pace e stabilità per tutti.

Nasceva una nuova Europa e alle persone veniva promesso che avrebbero vissuto nell’unità e nella solidarietà, in uno Stato di diritto, nel rispetto dei diritti umani e civili. Tuttavia, quell’Europa non era abbastanza saggia o coraggiosa da trovare un modo per prevenire o, almeno, fermare le uccisioni che stavano avvenendo nel suo cuore.

Non reagendo in tempo per impedire che venissero commessi crimini di massa, i leader occidentali hanno mandato un messaggio a tutti, dicendo che va bene uccidere le altre persone e promuovere idee pericolose e ultra-nazionaliste. E che va bene commettere genocidi, perché il mondo farà finta che si tratti di qualcos’altro, che è solo un piccolo conflitto regionale fra certi popoli tribali. E che va bene essere fascisti, basta però usare un altro termine. Mentre si raccontavano che può accadere solo a noi nei Balcani, chiudevano gli occhi davanti al crescente movimento di estrema destra e alla rinascita del fascismo in tutta Europa e nel mondo.

I leader europei e occidentali esitarono, allora, a chiamare Mladić e Karadžić criminali di guerra o etichettare quello che stavano facendo come genocidio. Non volevano paragonare la loro campagna sanguinosa agli omicidi di massa dei nazisti o chiamare le loro idee fasciste.

Invece, cercavano un modo di negoziare con gli assassini, mentre utilizzavano termini gentili per descrivere quello che stava accadendo in Bosnia, come “conflitto” o “guerra civile”. Impiegarono molto tempo a rendersi conto che venivano commessi crimini di guerra. E anche allora, ci vollero quasi quattro anni per agire e fermare la guerra, quattro anni che ci sono costati più di 100.000 vite e più di 2 milioni di rifugiati.

Quando hanno finalmente fermato la guerra, costringendo tutte quelle persone con le mani sporche di sangue a firmare un accordo di pace, ci sono voluti altri anni ancora per trovare un modo per processarle. I processi erano lenti e tremendi, come quello per Slobodan Milošević, ex-presidente della Serbia, che non è mai davvero finito. È morto prima che il verdetto fosse emesso.

Noi bosniaci abbiamo sofferto molto e subiamo ancora le conseguenze dell’esitazione europea. Ma queste conseguenze adesso le posso vedere ovunque nel mondo.

Non reagendo in tempo per impedire che venissero commessi crimini di massa, i leader occidentali hanno mandato un messaggio a tutti, dicendo che va bene uccidere le altre persone e promuovere idee pericolose e ultra-nazionaliste. E che va bene commettere genocidi, perché il mondo farà finta che si tratti di qualcos’altro, che è solo un piccolo conflitto regionale fra certi popoli tribali. E che va bene essere fascisti, basta però usare un altro termine.

Mentre si raccontavano che può accadere solo a noi nei Balcani, chiudevano gli occhi davanti al crescente movimento di estrema destra e alla rinascita del fascismo in tutta Europa e nel mondo.

Se i Karadžić e i Mladić dei Balcani fossero stati fermati in tempo e le loro idee proclamate pericolose, questo sarebbe potuto essere un messaggio chiaro per tutti coloro che sostengono idee ultra-nazionaliste e fasciste. Ma tutti dimenticarono la lezione che avremmo dovuto imparare negli anni ’90 in Jugoslavia – che il fascismo è una malattia: si diffonde facilmente e può infettare chiunque.

E anche nel mio paese, la Bosnia e Erzegovina, sembra che non abbiamo imparato nulla dagli ultimi 25 anni. Nulla, dopo tutto il dolore che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere.

Non abbiamo imparato a non fidarci dei politici nazionalisti. Sono ancora a capo del paese, mentre tengono costantemente in vita vecchie paure e ci ricordano che non siamo altro che vittime. La parola “sopravvissuto” non è ancora stata introdotta nelle nostre vite del dopo guerra.

Non abbiamo imparato a non fare affidamento sulla comunità internazionale, qualsiasi cosa quel termine significhi. Oggi, la maggior parte dei cittadini dei Balcani attendono ancora che la salvezza venga da fuori. Pensiamo ancora di essere incapaci di salvarci da soli.

Siamo ancora incapaci di smetterla di essere vittime, trasformarci in sopravvissuti e andare avanti con le nostre vite. O ricominciare dall’inizio. Qualsiasi cosa, pur di voltare pagina.

Se i Karadžić e i Mladić dei Balcani fossero stati fermati in tempo e le loro idee proclamate pericolose, questo sarebbe potuto essere un messaggio chiaro per tutti coloro che sostengono idee ultra-nazionaliste e fasciste. Ma tutti dimenticarono la lezione che avremmo dovuto imparare negli anni ’90 in Jugoslavia – che il fascismo è una malattia: si diffonde facilmente e può infettare chiunque.

Dopo anni di attesa, ancora un altro mostro – Ratko Mladić – è stato punito per quello che ha fatto. Ma, sfortunatamente, non posso dire che le sue azioni e le sue idee sono state eliminate nel frattempo. Non sono state nemmeno sconfitte.

Il 28 maggio del 1992, sono stata ferita da una scheggia di proiettile mentre ero a casa mia, a Sarajevo. Quel giorno, Mladić aveva dato l’ordine ai suoi soldati di utilizzare tutte le munizioni disponibili per sparare contro la nostra città. “Fateli impazzire”, aveva detto loro.

Non solo ci ha fatto impazzire, ma ha anche lasciato un duraturo cratere ideologico nel cuore d’Europa. Non c’era nessuno a fermarlo e a metterlo in prigione anni fa, quindi le sue idee si sono diffuse come un virus resistente ai farmaci, adattandosi a periodi e circostanze diverse.

Oggi, posso ascoltare Mladić e Karadžić nelle parole di molti leader di estrema destra in Europa e nel mondo. Posso ascoltarli nelle parole delle persone che giustificano le guerre e i crimini di guerra. Posso ascoltarli nelle politiche delle frontiere chiuse e della “sicurezza nazionale”.

Però, a differenza di molti altri nell’Europa di oggi, posso ascoltarli e riconoscerli. E, a differenza di molti altri, questo mi preoccupa.

(Foto di copertina: EPA/BGNES)

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