Sono uscito dal Partito Democratico. Qualche giorno fa ho presentato le dimissioni al coordinamento del mio circolo. Ho rivolto il mio discorso ai dirigenti e ai tanti amici e compagni che rimarranno dentro e con i quali condivido valori, ideali, critica al presente e visione del futuro, augurandomi di proseguire con loro in futuro tante nuove battaglie con la forza e la passione che ha sempre contraddistinto tutte le meravigliose persone che ho conosciuto in questi 10 anni di militanza del PD.

Sono convinto, però, che non sia più possibile proseguire la battaglia politica in un partito di cui condivido ormai poco, con una visione del futuro diversa dalla mia e con un leader che ha incentrato tutto il dibattito interno al partito sulla sua figura e il suo futuro (facendomi dubitare per la prima volta che questo partito possa resistere al suo leader). Esco dal PD per tornare a respirare aria pulita, per riaccendere passioni ed entusiasmi che si erano spenti da ormai troppi anni, col fine ultimo di provare a cambiare le cose, compito principale della politica. È stata una scelta difficile, anche perché si è sperato fino all’ultimo di riuscire a fare una battaglia all’interno e capisco tutti i compagni che ancora non hanno avuto la forza di fare questa scelta. A loro dico che non è finito nulla, il progetto iniziato mesi fa con quel libretto rosso che tanti cuori e tante passioni ha riacceso non è terminato, è appena iniziato. Pensavamo che la “rivoluzione socialista” sarebbe stata semplice? Pensavamo che la costruzione di un nuovo progetto politico di così profonda e strutturata analisi e visione sarebbe stato un percorso liscio e senza ostacoli? No amici e compagni, sarà lunga a faticosa, delle stesse dimensioni della portata del progetto che abbiamo tutti in mente.

Sabato 18 al Teatro Vittoria è stato l’inizio, un meraviglioso inizio. Rivedere tante persone nel teatro e in piazza che avevano voglia di entusiasmarsi e partecipare è stato emozionante. Adesso non fermiamoci. Dovremo avere il coraggio di fare la scelta giusta. Si sente forte l’esigenza di ribaltare l’inerzia nella quale ci siamo soffermati ormai da troppi anni, di cambiare passo come abbiamo fatto in questi mesi, di aggregare tanti ragazzi appassionati, formarli, aiutarli e farli sentire partecipi di un grande progetto collettivo.
Perchè dico questo? Perchè dinanzi ad ogni scelta come ricerca, università, finanza pubblica, welfare e politiche comunitarie avremo di fronte due opzioni: l’inerzia e, dunque, la degenerazione delle energie e l’azzeramento di nuove opportunità (esattamente quello che per me ha fatto il governo Renzi) o la volontà di dividere, il marcio dal buono per “evitare che il morto possa mangiarsi il vivo”.
Per riuscire in questo dovremo essere capaci di far in modo che la somme delle nostre paure non superi la forza del nostro coraggio innovatore, solo così potremo dire di aver vinto la sfida.

I cittadini hanno bisogno di un partito politico che parli dei problemi quotidiani che vivono e in questo il PD è stato più slegato dalla realtà di quanto non lo si percepisca all’interno. Ci sarà bisogno di una nuova classe dirigente, il cui leader dovrà farsi percepire più come l’allenatore di una squadra che come il capitano, il fantasista a cui dare il pallone e risolvere una partita compromessa. Per fare questo non dovremo solo guardare al futuro ma anche studiare il presente, dovremo capire che sta cambiando tutto. Dobbiamo, infatti, comprendere con attenzione quali saranno le sfide dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca e i relativi riflessi sul fronte del nuovo assetto geopolitico in via di definizione, che strada riuscirà a intraprendere la Gran Bretagna, come si porrà la Russia nei confronti dell’Europa e se la Cina assumerà ufficialmente il ruolo di guida politica internazionale, oltre che economica. È, infatti, paradossale che mentre si cerca di individuare nuove strade per scrivere gli assi portanti della globalizzazione, ora a difesa dell’economia di mercato si schieri la Cina, mentre Trump si fa interprete di una linea protezionistica. Neoliberismo ed establishment si contrappongono ad una visione populista e priva di idee. Io vorrei stare invece dalla parte di chi tenta di governare il presente e scongiurare i populismi con una visione socialista, di sinistra e non sottomessa ideologicamente al neoliberismo di questi anni che tanti danni ha prodotto a tutti noi.
Abbiamo accettato le logiche dominanti dando per scontato che non ci fossero alternative, proponendoci di governare la globalizzazione meglio della destra ma senza nessun approccio critico, senza metterla in discussione così come l’abbiamo conosciuta e accettando paradossalmente il neoliberismo e l’austerità come unica soluzione ad una crisi prodotta dallo stesso sistema e metodo che l’aveva prodotto.

Per me la parole nuove per capovolgere l’approccio e creare un movimento politico che riesca a riunire la maggioranza silenziosa che da tempo non vota più o si è allontanata dal PD, è il Socialismo. Non inteso come un ritorno al passato ma come un sogno collettivo che si opponga sia all’ideologia dominante (che inizia a scricchiolare) sia ai populismi: “la nuova terza via”, questa volta però non moderata ma radicale e socialista. Siamo convinti dell’attualità dei valori e dei principi che l’hanno ispirato, che si riassumono in due domande: da che parte stai? Per cosa e per chi lotti?
Io vorrei essere di parte, vorrei far parte di un partito partigiano, non contiguo con i potenti, non fintamente e acriticamente rivolto al futuro e al governo, a qualsiasi costo.
Mi batto perché si crei una terza via veramente di sinistra, in alternativa alle forze centriste che affermano di guardare al futuro e all’innovazione ma lo fanno senza una mentalità critica e priva di spessore, e, dall’altra, a un populismo incarnato da Trump pericoloso e con lo sguardo solo rivolto al passato: emblematico in tal senso il suo slogan “make America great again”.

Le nuove parole della sinistra dovranno parlare chiaramente di investimenti pubblici e intervento dello Stato, spesa improduttiva, evasione fiscale, lotta alla corruzione e criminalità organizzata, economia della condivisione, ecologia, scuola pubblica, industria 4.0, lotta alla povertà, rapporto tra innovazione e lavoro e tra innovazione e diritti, partite IVA, Sud e giovani. Ad esempio, quando si parla di giovani e mezzogiorno non si può partire dall’idea assistenzialistica e precaria dei bonus ma bisogna parlare di infrastrutture e saperi. Bisogna puntare sull’alta velocità che colleghi tutto il mezzogiorno al nord e all’Europa senza accontentarsi di elogiare un provvedimento del governo che approva l’alta capacità sulla tratta Bari-Roma (cosa ben diversa dall’alta velocità), bisogna investire sul capitale umano qualificato e sul capitale finanziario. Un nuovo socialismo per i millennials vuol dire anche questo, vuol dire tornare ad ascoltare i problemi dei giovani e occuparsi di dar loro una visione del futuro che non sia più oscurata da una nebbia fitta di dubbi, paure e incertezze. Ci vuole poco a mettere in movimento e liberare energie di una generazione che ha il cuore nei paesi di origine e la testa nel mondo, una generazione nata durante i grandi sconvolgimenti politici e sociali e che è riuscita lo stesso a diventare una generazione democratica, pronta ad adattarsi a qualsiasi cambiamento e ad emozionarsi a progetti seri e innovativi. La sinistra deve tornare a studiare e immaginare il futuro, entrando con la testa e con il cuore in un periodo di grandi cambiamenti: dopo le grandi rivoluzioni della ruota, della macchina a vapore e della chimica, oggi si pone la sfida della rivoluzione informatica e dell’innovazione tecnologica che ha creato disintermediazione sul piano politico e dell’informazione, ossia la grande sfida di capire il nuovo rapporto tra capitale e lavoro.

In questo nuovo mondo noi come ci poniamo? La sinistra può avere il coraggio di dire che nell’era della disintermediazione e dei leaderismi, c’è bisogno di un nuovo progetto collettivo di carattere politico e sociale che abbatta l’illusione dell’individualismo e che torni a parlare del Noi? La sinistra può tornare a battersi contro il fatto che oggi un capo d’azienda guadagna mediamente 130 volte quello che prende un dipendente? Può tornare a battersi contro un capitalismo finanziario che ruba i soldi ai piccoli risparmiatori e non li restituisce, come è successo al Monte dei Paschi? E ancora, le questioni drammatiche del sud, della povertà in aumento e delle giovani generazioni alle quali se si chiede cosa si aspettano dal futuro non sanno neanche dare una risposta data la complessità del presente. E noi in tutto questo come ci poniamo? Sono stanco di stare in un partito che parla poco di tutto questo, di cui non condivido più valori, atteggiamento dei suoi leader, proposte politiche e di governo. Io voglio fare una scelta, difficile e incerta, ma giusta e di parte. C’è una generazione pronta a scendere in campo e battersi sulle idee, una generazione di sinistra, perché noi nel 2017 non ci vergogniamo a dire che siamo di sinistra.

Nella foto di copertina: Enrico Rossi, sabato, 18 febbraio, al teatro Vittoria, alla presentazione di democarticisocialisti

Commenti